Catania, manifestazione dei docenti contro la “Secessione dei ricchi”

22 marzo 2019

Il presidio è stato organizzato da Potere al Popolo insieme con Liberi Pensieri Studenteschi, il PCI, i Cobas scuola di Catania, il PMLI, l’USB-PI scuola Catania, Il Sud Conta e una delegazione del combattivo comitato ‘Il Sud non si svuota’ delle docenti esiliate dalla renziana Legge 107 sulla scuola. Illustrato il caos che l’Autonomia differenziata provocherebbe nel mondo della scuola 

C’è in Sicilia una sinistra alternativa al PD? Ogni tanto qualcosa si vede. E qualcosa si è vista a Catania con il presidio davanti la Prefettura organizzato da Potere al Popolo. Tema: la difesa della scuola pubblica statale e contro la cosiddetta “Autonomia differenziata” di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Oltre ai rappresentanti di Potere al Popolo, come leggiamo in un comunicato, c’erano gli esponenti di “Liberi Pensieri Studenteschi, il PCI, i Cobas scuola di Catania, il PMLI, l’USB-PI scuola Catania, Il Sud Conta e una delegazione del combattivo comitato ‘Il Sud non si svuota’ delle docenti esiliate dalla renziana Legge 107 sulla scuola”.

Fra gli interventi al megafono quelli degli insegnanti Antonio Allegra di Potere Al Popolo e di Claudia Urzì del Coordinamento nazionale USB Scuola.

Antonio Allegra:

“La recente crisi economica sta aumentando le differenze all’interno dell’EU e all’interno degli stessi singoli Stati. La forbice sociale si allarga e colpisce i soggetti sociali più deboli. Ancora una volta a pagare sono lavoratori e lavoratrici, studenti, precari. A questa crisi in Italia alcuni stanno cercando di rispondere con una vera e propria secessione legislativa, con l’autonomia differenziata, che formalizza la differenziazione economica tra Nord e Sud. Un progetto di differenziazione sociale che colpisce particolarmente il mondo della scuola: con l’autonomia differenziata richiesta dalle Regioni più produttive del Nord, che vuole trattenere maggiori fondi per le proprie amministrazioni locali, si vuole indebolire il Sistema scolastico nazionale sia dal punto di vista dei finanziamenti che dal punto di vista legislativo”.

“Tutto ciò – ha aggiunto Antonio Allegra – ha degli effetti negativi prevedibili: la differenziazione tra scuole di serie A scuole di serie B, che sempre più corrisponde alla differenziazione tra scuole del Nord e scuole del Sud la differenziazione tra scuole ricche e scuole povere (di periferia) anche nelle stesse Regioni del Nord, la differenziazione tra gli stessi studenti, in cui quelli che frequentano scuole di serie B si vedranno sottoposti a una feroce selezione di classe all’ingresso del mondo della scuola e, di conseguenza, all’uscita (…) Contro tutto questo noi diciamo No e chiediamo una scuola Pubblica Statale nazionale, che investa di più sui giovani e sulla formazione, non rubricandoli a mere appendici dei sistemi produttivi locali. Una scuola che sia un diritto universale e non un privilegio locale. Una scuola laica, aperta e non chiusa allo stretto orizzonte del localismo…”.

Claudia Urzì:

“I progetti di regionalizzazione in corso hanno lo scopo prioritario di mantenere il gettito fiscale all’interno delle Regioni ricche del Nord, in assoluta violazione del principio di redistribuzione, che trova fondamento nella Costituzione. Peraltro in un Paese dove tanto peso ha avuto la migrazione interna della forza lavoro e dove la ricchezza del Nord è stata costruita anche e soprattutto dalle lavoratrici e dai lavoratori emigrati dal Sud (…)”.

“Con la regionalizzazione della scuola e il conseguente passaggio del personale neoassunto non più allo Stato ma alla Regione – ha sottolineato Claudia Urzì – si creerà un sistema in cui alle tantissime docenti da anni esiliate al Nord diventerebbe impossibile il rientro nella propria terra, creando ulteriori difficoltà e sofferenze dopo quelle provocate dalla renziana Legge 107 (…) Inoltre, con questa regionalizzazione, in occasione della modifica/rinnovo dei contratti si inseriranno clausole che favoriranno la precarietà, la licenziabilità e la ricattabilità dei neoassunti “docenti regionali” da parte dei capi di istituto (…). Legare la distribuzione dei fondi statali in base e in funzione della ricchezza dei cittadini di una certa area geografica, è un pericolo rispetto agli organici, alla mobilità della scuola, ma anche rispetto allo stesso servizio erogato”.

Nel comunicato si illustra quello che succederebbe ai docenti della scuole:

“La mobilità potrebbe determinare accordi tra Regione e Regione o tra Stato e Regione o tra Regione e privati. Accordi dove in alcune Regioni una parte dello stipendio degli insegnanti dipenderebbe dai contratti di secondo livello, da incentivi e da premi che farebbero lievitare gli oneri fiscali per i contribuenti, dove l’ente regionale diventerebbe il datore di lavoro dei nuovi docenti a fronte di lavoratrici e lavoratori nelle medesime scuole che rimarrebbero dipendenti statali, con la presenza di differenti categorie che fanno lo stesso lavoro (…)”.

 

 

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