Lettera a Lillo Zucchetto. Un uomo, un poliziotto

7 novembre 2018

Pippo Giordano ricorda Calogero ‘Lillo’ Zucchetto, il poliziotto che, nei primi anni ’80, collaborava con il commissario della Squadra Mobile di Palermo, Ninni Cassarà, alla stesura del cosiddetto “rapporto Greco Michele + 161”. Il ricordo struggente di un’amicizia nata in Polizia, durante la rischiosa caccia ai latitanti di mafia. ‘Lillo’ Zucchetto è stato ammazzato dai mafiosi il 14 novembre del 1982 a Palermo, in via Notarbartolo

di Pippo Giordano

Caro Lillo, il 14 novembre 2018, ricorre il 36esimo anniversario della tua morte: una morte atroce causata dalla folle crudeltà dell’uomo. I tuoi killer – cosiddetti uomini d’onore di Cosa nostra – non ebbero nemmeno il coraggio di affrontarti a viso aperto. Ti colpirono da dietro le spalle. Sapevano e temevano il tuo coraggio. Sono sicuro, visto che li conoscevi, che appena li avresti visti non saresti stato con le mani in mano e avresti reagito.

Ma anche i tuoi sicari, in quella spirale di inaudita violenza che attanagliò Palermo, furono poi uccisi a colpi d’arma da fuoco sparati a tradimento. La quadratura del cerchio, voluta da Totò Riina.

Lillo, in questi giorni ti ho pensato intensamente. Sai nel vedere guardare le mie cinque principesse, e le foto su Facebook postate dal nostro amico Vincenzo e quelle di Rosalia, moglie di Natale, coi loro nipoti, mi sono chiesto: perché a te fu negato l’amore di essere sposo, padre e nonno? E ho pensato anche la stessa cosa per Ninni Cassarà, Beppe Montana, Roberto Antiochia e tanti nostri colleghi e amici ammazzati da Cosa nostra.

Lillo, mi ricordo di te quando ci incontravamo alla Squadra mobile di Palermo, ma non c’era mai stata occasione di conversare, eravamo in Sezioni diverse: io all’antirapina e tu alla V° Investigativa di Cassarà. Ma un giorno, il destino ci fece “conoscere” facendo nascere in noi una piacevole amicizia.

Io passai alla tua Sezione, proprio per catturare Salvatore Montalto, capo della famiglia di Villabate -ora defunto- a cui tu avevi dato la caccia da tempo e che più volte ti era sfuggito. Per portare a termine l’operazione della cattura, Cassarà mi assegnò te e Ciccio Belcamino.

Tutti e tre trascorremmo giorni e giorni nascosti sul costone della montagna che sovrasta Ciaculli Croceverde-Giardina. Il nostro rifugio era una macchia mediterranea che ci rendeva invisibili. Le nostre armi erano un potente binocolo e un cannocchiale poggiato sul treppiede (prestati da un privato) che ci consentiva di osservare la villetta situata nell’agrumeto dove viveva il latitante.

Giorno dopo giorno a “guardare”. E mentre guardavamo, ogni tanto Ciccio perlustrava la zona per coprirci le spalle: innanzi a noi il precipizio. Lillo, ti ricordi quel giorno quando udimmo la frenata di un’auto eppoi gli spari d’arma da fuoco e guardando di sotto, nella via Gibilrossa, vedemmo un omicidio in diretta? La nostra amarezza di non poter intervenire e nemmeno lanciare l’allarme fu davvero dolorosa: non avevamo le radio trasmittenti e, anche se le avessimo avute, non l’avremmo potuto usare per paura di essere intercettati.

Una domenica vedemmo un summit di mafia proprio nella villetta del ricercato: una dozzina di uomini erano penetrati all’interno mentre gli autisti erano rimasti accanto alle auto. Di corsa prendemmo l’auto, facendo come solito il percorso più lungo e tortuoso per non essere intercettati, passando da Belmonte Mezzagno. Alla prima cabina telefonica chiamai Ninni Cassarà a casa, mi rispose la signora Laura, dicendomi:

“Ninni è a giocare a tennis”.

Allora ci fiondammo in ufficio e avvertimmo il dirigente Ignazio D’Antone, ma il blitz sfumò perché nel frattempo gli “ospiti” avevano lasciato la villetta. E quando un giorno tu con enfasi mi dicesti:

“Iddu è, Montalto!”.

Io risposi: “Cavolo il mio amico aveva ragione!”

Sì, era proprio lui, finalmente l’avevamo materializzato: erano passati giorni e giorni da quando avevamo iniziato l’appostamento.

Lillo, in quei giorni quante confidenze ci facemmo? Eravamo diventati davvero amici, raggiungendo una sintonia in poco tempo. Noi due parlavamo poco, ma in quel lasso di tempo ci accorgemmo che fiducia e stima facevano parte di noi.

Tu Lillo, ti sei lasciato “andare”, raccontandomi verità inconfessabili. Non ci fu nemmeno bisogno di dirmi “resti tra noi”, perché sapevi che la mia silente parola valeva più di un contratto scritto. E ancora oggi, non ho tradito la tua fiducia.

Ti ricordo caro Lillo, il primo giorno di pattuglia insieme (Ciccio non c’era ancora, era in ferie) quando vedemmo Scarpuzzedda, Mariolino e Montalto, che pur essendo ricercati sostavano in via Messina Montagna intenti a conversare. Tu guidavi e appena ti accorgesti di loro (io non li conoscevo, conoscevo solo il padre di Montalto) hai urlato:

“Iddi sunnu, Greco, Prestifilippo e Montalto”.

E sì! Tu li conoscevi bene. Invertimmo la marcia ritornando indietro con le pistole in mano, ma il terzetto era sparito. Caro Lillo, credimi oggi sono stanco, molto stanco. E’ una stanchezza mentale non fisica, dovuta al comportamento di certi personaggi che erano in servizio alla Mobile. Ma non voglio tediarti con queste cose caro Lillo.

Invece, vorrei esaltare la tua onestà e l’attaccamento al dovere. Mi piace ricordare il tuo encomiabile impegno nella lotta a Cosa nostra. Mi sovviene quando, insieme con Ninni Cassarà, avete incontrato nell’agro di Ciaculli/Balate Pino Greco”Scarpuzzedda”, Mario Prestifilippo “mariolino” e Fici Giovanni. Ma quell’incontro non ti impedì di partecipare al blitz per la cattura di Montalto. E nemmeno la silente minaccia ti fece desistere quando, la sera di mercoledì prima del blitz, notasti Mariolino Prestifilippo appoggiato a una Fiat/131 Mirafiori parcheggiata sotto casa tua.

Lillo, dopo la tua morte iniziarono a diffamarti mettendo in giro la “voce” che il tuo omicidio era stato originato da “questione di fimmini”. No, tutto falso! Io e Cassarà mettemmo sotto intercettazione un telefono di una donna, che abitava nello stesso stabile del giudice Giovanni Falcone (quasi di fronte al bar dove sei stato ucciso). Le telefonate intercettate, costrinsero me e Nini Cassarà a volare a Roma, per interrogare una persona che stava lasciando l’Italia.

Accertammo la falsità della “voce”. I “fimmini” non c’entravano nulla, fu la mafia ad ucciderti.

Lillo, non mi sono mai dimenticato di te e spero che un giorno io possa incontrare tua sorella e raccontarle gli ultimi mesi della tua vita che trascorremmo insieme. Ma non dirò nulla dei tuoi segreti.

Lillo, da un decennio vado nelle scuole ad incontrare gli studenti. Ebbene, a loro racconto la tua breve vita e ti rappresento come modello ideale del poliziotto onesto con alto senso di appartenenza alla Stato.

In verità ricordo tutti i nostri amici ammazzati da Cosa nostra e lo faccio anche se qualcuno di tua conoscenza e purtroppo anche mia, abbia scritto, riferendosi a me, “ è disgustoso ca mette ‘nto mezzu i morti!”. Questo “qualcuno” se ne faccia una ragione: fintanto che potrò, parlerò sempre di coloro che scrissero la pagina d’oro della lotta alla mafia.

Ciao Lillo, carissimo amico mio.

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