Sentenza pret-à-porter della Consulta e via un altro ‘pezzo’ di Statuto siciliano!/MATTINALE 108

21 luglio 2018

La Corte Costituzionale, con una sentenza ‘politica’ ha abolito l’articolo 15 dello Statuto autonomistico siciliano. Tutto è cominciato nel 1957, con la nascita della Consulta che, appena insediata, assorbì le competenze dell’Alta Corte per la Sicilia, che era lo strumento che qualificava e dava testa e gambe alla superspecialità della Sicilia che lo Stato fedifrago rinnegò. Da quel momento iniziò una retromarcia ingloriosa che è difficile fermare  

In ginocchio! Entra la Corte!

Rassegniamoci. Per noi siciliani non c’è un giudice a Berlino. Nemmeno a pagarlo in contanti (!).

La Corte Costituzionale, quella che ha “assorbito” l’Alta Corte senza “riproteggere”, manco fossero passeggeri di una compagnia aerea di sguazzo, i nostri 4 giudici costituzionali nominati per Statuto dall’Assemblea regionale siciliana, si è ancora una volta coperta di gloria.

Con una delle tante, ormai troppe sentenze politiche che hanno caratterizzato e caratterizzano la sua lenta e irreversibile decadenza come organo di garanzia giurisdizionale (tutti stiamo peggiorando, è ufficiale, quindi anche i giudici costituzionali), la Corte ha dichiarato incostituzionale una legge della Regione siciliana che “si pone in contrasto con la disciplina armonizzante sottesa al progetto di riforma avviato con la legge Delrio, secondo cui l’intervento di riordino di Province e Città metropolitane rientra nella materia: legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”.

Materia, questa, mi piace ricordarlo ai sopravvissuti del PCI, PDS, DS, PD scippata con la riforma unipartitica costituzionale del 2001-2, detta Bassanini, alla Regione siciliana.

Il “cuore” della sentenza starebbe nella qualificazione della riforma nazionale Delrio come “norma fondamentale di riforma economico-sociale”, si legge su un articolo di stampa. Subito una precisazione: così come era la precedente legge del centrosinistra in materia, così è questa del centrodestra appena bocciata. In entrambe l’ultima preoccupazione dei “legislatori” che si sono succeduti non era e non è l’interesse del cittadini e il rispetto delle norme statutarie.

Ciò che oggi Antonello Cracolici, cervellone del PD e lupo di cattiva coscienza, rimprovera a Nello Musumeci, ovvero di avere usato la prospettiva del voto diretto nelle Province come esca per ottenere voti dal proprio ceto politico, si può agevolmente ribaltare sul ceto politico dello stesso Cracolici, ovvero il suo partito, il PD, che, allora maggioranza nella Regione, intendeva servirsi del voto di secondo grado per mantenere al potere i suoi sodali (Enzo Bianco a catania, Leoluca Orlando a Palermo e l’ex presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, che sognava di diventare sindaco di Messina).

Ma il vero tema non è questo. Non sono queste schermaglie tra nani della politica, destra o sinistra che sia, che ci debbono preoccupare. Il tema è che la Corte costituzionale non può, pena il suo suicidio, definire una legge, la Derio, appunto, che concerne modifiche istituzionali, come “norma fondamentale di riforma economico sociale”. A parte il fatto che una legge non si definisce: una legge E’ o non E’ di riforma economico sociale. Che ovviamente, lo dicono le stesse parole, è tutt’altra cosa.

E allora? Torno su un concetto già da me espresso in altre simili circostanze.
L’assassinio dell’Alta Corte per la Sicilia è stato un assassinio politico. L’Alta Corte era il cuore del pactum che i padri fondatori stipularono tra Stato italiano e Sicilia. Era lo strumento che qualificava e dava testa e gambe alla superspecialità della Sicilia che lo Stato fedifrago rinnegò. Da quel momento iniziò una retromarcia ingloriosa che è difficile fermare.

Lo dico parafrasando Shakespeare, che lo dice a proposito dei marinai.
Che cosa sono i giudici? Uomini, con tutto il loro bagaglio di onestà e disonestà, con le loro debolezze, le loro virtù e loro viltà. E proprio riconoscendo questa loro debolezza, che è anche quella di tutti noi, io grido ancora nel deserto:

dove sono i quattro giudici costituzionali dell’Alta Corte di nomina dell’Assemblea regionale siciliana come rappresentanti della Regione?

dove sono il Presidente e il Procuratore generale dell’Alta Corte, presidii e strumenti che ponevano sullo stesso piano Stato e Regione?

perché “l’assorbimento” dell’Alta Corte fu necessario?

Perché ha dovuto comportare un indebolimento delle prerogative statutarie della Regione?

non poteva sopravvivere l’impianto statutario all’interno del nuovo assetto delle Garanzie costituzionali previste negli articoli 134 e 135?

Lo dico ricordando le scene indecorose che si svolgono nel Parlamento della Repubblica quando, ai sensi dell’art.135, primo comma, uno o alcuni dei giudici della Corte costituzionale devono essere nominati dal Parlamento in seduta comune. Credete che la scelta venga fatta immediatamente, e che i soggetti candidati siano il meglio del meglio? Che il nome o i nomi dei papabili siano indiscutibili? No, certamente.

Comincia un mercato delle vacche in cui ogni parte politica tenta di piazzare suoi amici o simpatizzanti o di vicinanza ideologica. La stampa ogni volta ci va a nozze.

Basta questo per capire che la certezza del diritto esiste solo nell’Iperuranio, non certo a Palazzo della Consulta. E quindi se il diritto diventa manipolabile, ecco la guerra delle nomine e gli accordi indicibili. Si lavora per avere giudici à la carte, e sentenze pret-à-porter. Se le cose stanno così ecco che, lo dico laicamente, i nostri quattro giudici, che saranno esattamente come gli altri, diventano fondamentali.

PS

Relatore della Sentenza è stato Mario Rosario Morelli. Non Adalberto Cazzaniga, o Ambrogio Brambilla

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