Da Lombardo a Genovese: quando i voti nella vecchia politica siciliana sono come la ‘roba’ di Verga…

24 settembre 2017

Se per don Luigi Sturzo la politica consiste nel dare, per il parlamentare nazionale, Francantonio Genovese, inguaiato in una vicenda giudiziaria, l’attività politica, o meglio, i voti sono come la ‘roba’ descritta da Giovanni Verga: da accumulare non separandosene mai. In questo caso, ‘trasmettendola’ ai figli, candidandoli pure da neo ventenni, come ha fatto cinque anni fa l’ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo  

Fa discutere la candidatura di Luigi Genovese, figlio di Francantonio Genovese, il parlamentare nazionale del PD – oggi passato sotto le bandiere di Forza Italia – finito nei guai per la gestione dei corsi di Formazione professionale. Ventunenne, studente universitario, questo ragazzo è stato catapultato nell’agone elettorale per evitare – questa alla fine è la motivazione – che il patrimonio di voti del padre vada perduto.

La vicenda giudiziaria di Francantonio Genovese non si è ancora conclusa. E’ stato condannato in primo grado ad undici anni per associazione per delinquere, truffa, riciclaggio, frode fiscale, peculato: con gli enti e le società controllati da lui e dai suoi familiari avrebbe truffato la Regione siciliana. La somma della quale enti e società riconducibili a Genovese ammonterebbe a circa 20 milioni di euro.

Ribadiamo: si tratta di una condanna in primo grado. Si attendono i giudizi di secondo e, con molta probabilità, di terzo grado.

Genovese è nipote di un importante leader della DC, Nino Gullotti, ed è legato a un gruppo imprenditoriale che a Messina opera da decenni nel settore dei trasporti marittimi.

Francantonio Genovese, per la cronaca, è stato un autorevole esponente del PD. Per volere dell’allora segretario nazionale di questo partito, Walter Veltroni, è stato il primo segretario regionale del Partito Democrarico in Sicilia.

Per anni, insieme con Nino Papania – ex parlamentare regionale, ex assessore regionale al Lavoro e alla Formazione professionale, ex parlamentare nazionale – con il quale condivideva la ‘passione’ per la gestione dei corsi di Formazione professionale, è stato a capo di una delle correnti più forti e più organizzate del PD dell’Isola.

E’ importante analizzare il perché, oggi, Francantonio Genovese sente l’esigenza di candidare il figlio. Precisando che non è la prima volta che i figli seguono le orme politiche del padre.

La vicenda del ventenne Genovese ricorda quella di Massimo Grillo. Anche se, come vedremo, i fatti sono diversi.

Correva l’anno 1986, gennaio, quando Nino Salvo – noto personaggio della politica siciliana – passa a miglior vita.

Nino Salvo e il cugino Ignazio erano diventati famosi alla fine degli anni ’50 del secolo passato, quando in Sicilia imperversava il cosiddetto ‘milazzismo’, ovvero un Governo regionale – presieduto dal democristiano ‘ribelle’ Silvio Milazzo – che era stato eletto presidente della Regione contro la DC ufficiale retta all’epoca da Amintore Fanfani, in quegli anni una sorta di ‘monarca assoluto’, se è vero che occupava, contemporaneamente, la carica di segretario nazionale della Democrazia Cristiana, di Presidente del Consiglio e di Ministro degli Esteri.

Per fargli un ‘dispetto’ (che, in realtà, era più che un dispetto), una parte di democristiani ‘ribelli’ (e tra questi c’erano Giuseppe Alessi e don Luigi Sturzo che da Roma ‘benediva’ l’operazione Milazzo), insieme con uno strano schieramento che andava dai comunisti ai fascisti avevano eletto Silvio Milazzo (nativo di Caltagirone, la cittadina di don Surzo del quale lo stesso Milazzo era stato allievo e seguace) presidente della Regione.

L’accordo era che, messo alle corde Fanfani, tutto sarebbe tornato come prima. Ma Milazzo ci prese gusto e, nel nome di un malinteso rilancio dell’Autonomia siciliana, dopo aver presieduto un Governo, decise di continuare.

Dall’ottobre del 1958 ai primi mesi del 1960 Milazzo presiedette tre Governi. Il primo, in effetti, fu un Governo di rottura, il secondo e il terzo furono Governi disastrosi durante i quali se ne videro di cotte e di crude.

Tra le ‘perle’ del secondo e terzo Governo Milazzo c’è anche, come dire?, la ‘valorizzazione dei cugini Nino e Ignazio Salvo di Salemi, provincia di Trapani, che diventarono gli esattori delle imposte in mezza Sicilia (l’altra mezza Sicilia restò appannaggio della potente famiglia di esattori messinesi, i Cambria).

Superfluo aggiungere che allora, con la riscossione delle imposte, ci si arricchiva (la riforma di questo settore arriverà nei primi anni ’70).

I cugini Nino e Ignazio Salvo negli anni ’60 e ’70 condizionavano la vita politica siciliana e, segnatamente, gli equilibri in seno all’Assemblea regionale siciliana.

Nel 1986 i Salvo erano già indeboliti. Sulle loro tracce c’era il giudice Giovanni Falcone. Ma erano ancora molto potenti.

I Salvo intrattenevano rapporti con tanti politici, anzi – come già accennato – oltre che grandi esattori erano anche grandi elettori, quando non erano direttamente impegnati in politica.

Operavano nella DC, condizionandone gli equilibri interni, ma avevano legami, anche stabili, anche con esponenti di altri partiti, compresi i partiti di opposizione. Erano in tanti, forse troppi, all’Ars e, in generale, nel mondo politico siciliano di quegli anni a godere dei ‘favori’ della potente famiglia Salvo di Salemi.

Quando Nino Salvo passa a miglior vita in tanti si dileguano. Chi non si dilegua e, invece, va ai funerali di Nino Salvo è l’allora parlamentare regionale della DC, Salvatore ‘Turi’ Grillo. Dimostrando anche coraggio, Grillo afferma di essere stato sempre amico di Nino Salvo ed è giusto, aggiunge, partecipare ai suoi funerali.

Non mancano le polemiche, venate da ipocrisia. Dagli anni ’50 al 1986 i parlamentari dell’Ars vicini ai Salvo erano stati tanti, di maggioranza e di opposizione: se qualcuno avesse voluto contarli si sarebbe perso di casa: insomma, come provare a contare le stelle in una sera d’estate…

Quando Nino Salvo morì – con il cugino Ignazio già toccato dalle inchieste della magistratura – furono in tanti a scomparire. Non scomparve, come già ricordato, ‘Turi’ Grillo che si presentò ai funerali.

Quattro mesi dopo i partiti politici sono alle prese con le liste per le elezioni regionali del 1986. Il ‘pallino’, nella DC siciliana, è nella mani della sinistra demitiana, che decide di non ricandidare ‘Turi’ Grillo. La responsabilità politica dell’esclusione di Grillo dalle liste democristiane del collegio di Trapani se l’assume l’allora segretario regionale di questo partito, Calogero Mannino.

‘Turi’ Grillo non si scompone. Due giorni dopo, o giù di lì, fa sapere di ‘rispettare’ le decisioni del suo partito e annuncia la candidatura dei figlio ventenne, Massimo, all’epoca studente universitario (come, del resto, il figlio di Genovese, anche lui studente universitario).

Molto diverso il caso di Bernardo Mattarella, tra i fondatori della DC in Sicilia, parlamentare nazionale e Ministro della Repubblica. Due dei sui figli hanno fatto politica. Ma in modo molto diverso.

Chi era stato designato alla vita politica era Piersanti Mattarella, che arriva in politica con una solida preparazione.

Come altri grandi politici siciliani, Piersanti Mattarella si guadagna i galloni sul campo: prima,come già accennato, gli studi (il compianto presidente della Regione siciliana, oltre ad essere un giurista, era un profondo conoscitore della storia della Sicilia e, segnatamente, della storia dell’Autonomia siciliana), poi gli anni passati al Consiglio comunale a Palermo, quindi l’elezione all’Ars, nella DC. Poi, ancora, l’elezione ad assessore regionale (con la vecchia legge gli assessori regionali venivano eletti dall’Ars). E poi l’elezione a presidente della Regione.

In politica – dopo l’assassinio del fratello Piersanti, avvenuto il 6 gennaio del 1980 – entrerà anche Sergio Mattarella, sempre nella DC, oggi Presidente della Repubblica.

Sono, come si può notare, tre percorsi diversi.

In Piersanti Mattarella c’era la passione per la politica.

Nel caso di Massimo Grillo, alla fine, c’è stata una risposta ferma a un’ipocrisia. Si può e si deve dissentire dai ‘metodi’ della famiglia Salvo (che, peraltro, era molto conosciuta nel mondo politico, se è vero che Ignazio Salvo aveva ricoperto anche incarichi di partito).

Ma che ‘Turi’ Grillo, nel 1896, risultasse l’unico politico amico di Nino Salvo era un’offesa all’intelligenza!

Molto diverso, invece, il caso della famiglia Genovese, che somiglia molto al ‘caso’ della famiglia politica di Raffaele Lombardo.

Anche l’ex presidente della Regione – parliamo di Raffaele Lombardo – cinque anni fa, colpito da una vicenda giudiziaria, ha candidato il figlio Salvatore ‘Toti’ Lombardo (che, a quanto sembra, non dovrebbe essere candidato in queste elezioni).

Nei casi di Lombardo e di Genovese le motivazioni forse potrebbero essere ricercate in sentimenti ‘verghiani’: nel culto di quella famigerata ‘roba’ alla quale rimanere attaccati (che nei due casi si identifica con i rispettivi patrimoni elettorali da non ‘disperdere’).

C’è, in Raffaele Lombardo e in Francantonio Genovese, un’idea di politica che è lontana anni luce dal pensiero sturziano. Se per don Sturzo l’attività politica consiste nel ‘dare’, per Lombardo e Genovese, al contrario, consiste nel ‘prendere’. E quindi, come già accennato, nel non ‘disperdere’ i mezzi (cioè i voti) con i quali si va in politica per prendere…

Tirando le somme, siamo davanti a una concezione feudale della vita politica.

Al ‘Palacultura’ di Messina, qualche giorno fa, a presentare la candidatura alle elezioni regionali, nelle liste di Forza Italia, del giovane rampollo della famiglia Genovese c’erano, tra gli altri, Gianfranco Miccichè Gaetano Armao (l’ex assessore del Governo Lombardo designato vice del candidato di centrodestra alla presidenza della Regione, Nello Musumeci).

Non c’era, invece, lo stesso Musumeci, che deve aver intuito che la candidatura di Genovese il piccolo rischia di essere, per lui, un mezzo autogol…

P.S.

Ma se Miccichè e Armao da una parte e Nello Musumeci dall’altra parte sono già in disaccordo su un passaggio politico così importante – perché la candidatura del rampollo di casa Genovese non è un fatto politico secondario: tutt’altro – cosa succederà se dovessero vincere le elezioni? Ingovernabilità totale? 

Foto tratta messinaoggi.it

 

 

 

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