La Sicilia tra Separatismo, Secessionismo, Indipendentismo e Autonomia – Seconda puntata

5 aprile 2017

Oggi la base giuridica dell’indipendentismo è la rivendicazione del principio di autodeterminazione dei popoli, così com’è riconosciuto nel diritto internazionale. Che fare per raggiungere l’indipendenza? L’unica strada percorribile, oggi, è quella indicata dalla Corte Suprema Canadese che, valutando le rivendicazioni di indipendenza del Québec rispetto al Canada, ha definito attentamente i limiti di tale principio…

Prima di affrontare la seconda parte della mia riflessione vorrei ringraziare tutti quelli che sono entrati nel merito delle mie osservazioni, sia per contestarle, sia per fornire contributi, pareri e consigli. Quanto a quelli che hanno preferito la via dell’insulto e dell’offesa personale, li perdono, però ricordando loro un aforisma di Rudyard Kipling, che ben si attaglia alle loro condizioni:

“Ognuno di noi ha il diritto di sognare, ma tutti abbiamo il dovere di impedire al nostro sogno di diventare il nostro padrone”.

Che cos’è l’indipendentismo?

L’indipendentismo è il fenomeno politico caratterizzato dalla rivendicazione dell’indipendenza di un territorio dalla sovranità di uno Stato di cui quel territorio fa parte.

Che cos’è invece l’autonomismo?

Un fenomeno analogo, ma da tenere distinto, in quanto meno radicale negli scopi e in genere fondato su considerazioni di diversa natura. L’autonomismo si prefigge come scopo l’ottenimento di maggiori poteri nell’amministrazione di una località che rimane comunque sottoposta alla sovranità dello Stato.

Oggi la base giuridica dell’indipendentismo è la rivendicazione del principio di autodeterminazione dei popoli, così com’è riconosciuto nel diritto internazionale. I fautori dell’indipendentismo fondano la legittimità di tali rivendicazioni sulla storicità di una passata indipendenza del territorio o su una specificità culturale del popolo che lo abita.

Fin qui tutto bene. Però va detto subito che il riconoscimento di un nuovo Stato o Governo è un atto che solamente altri Stati o Governi possono concedere o negare. L’Organizzazione delle Nazioni Unite, per esempio, non ha il potere di compiere tale riconoscimento. L’Organizzazione delle Nazioni Unite può ammettere un nuovo Stato tra i propri membri.

Inutili, impropri o non pertinenti sono i ricorsi alla Corte Internazionale di Giustizia che delibera sulle controversie fra Stati, basandosi sulla partecipazione volontaria degli Stati interessati.

C’è poi la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che è un organismo internazionale istituito nel 1959 in seno al Consiglio d’Europa. Lo scopo della Corte però è quello di garantire l’effettività e l’efficacia della tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali negli Stati facenti parte del Consiglio d’Europa. Purtroppo tra questi non vi è l’autodeterminazione.

L’unica strada percorribile è quella indicata dalla Corte Suprema Canadese che, valutando le rivendicazioni di indipendenza del Québec rispetto al Canada, ha poi definito attentamente i limiti di tale principio: di esso sono autorizzati ad avvalersi ex colonie, popoli soggetti a dominio militare straniero e gruppi sociali cui le autorità nazionali rifiutino un effettivo diritto allo sviluppo politico, economico, sociale e culturale. (Sentenza 385/1996).

Ci troviamo dunque oggi alla presenza di un’importante conquista di civiltà giuridica:

l’autodeterminazione dei popoli da “principio” di politica diventa un “diritto fondamentale” espressamente riconosciuto dalla legge universale (scritta) dei diritti umani.

Tuttavia un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo corrispondente; l’adempimento effettivo di un diritto non viene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa, il che vuol dire, nel caso della Sicilia, che se lo Stato italiano non riconosce quel diritto, le nostre istanze restano tali.

La questione fondamentale sembra dunque essere questa: non ci troviamo di fronte ad un problema “giuridico”, bensì al cospetto di un problema “politico”.

E allora? Che si fa?

Fine seconda parte/continua

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