Incredibile: nessuno controlla le navi che scaricano il grano estero in Italia… E noi mangiamo!

22 febbraio 2017

Iddio solo sa che cosa arriva con le navi che scaricano il grano nel nostro Paese! “Quello che succede è inenarrabile – ci racconta il presidente di GranoSalus, Saverio De Bonis -. E’ un problema che fino ad oggi abbiamo sottovalutato. Ci ha aperto gli occhi il giornalista Gianni Lannes. Non esiste alcun controllo sulle navi che trasportano, indifferentemente, grano e altre sostanze che è meglio che non vi dico… E poi questo prodotto finisce sulle nostre tavole sotto forma di pasta, pane, pizze, farine, semole, dolci”. Buon appetito…   

“Può sembra incredibile, ma in Italia nessuno controlla le navi cariche di grano che arrivano nei nostri porti. Bari, Pozzallo, Catania, Messina, Crotone, Manfredonia, Salerno, Livorno, Cagliari, Molfetta, Ortona, Ancona, Ravenna, Monfalcone. In questi porti arrivano spesso navi in condizioni sanitarie pietose. Certo, sapevamo che, in alcuni casi, il grano viene trasportato su navi petroliere riadattate. Ma nulla sapevamo delle pessime condizioni igienico-sanitarie. Ce l’ha fatto notare il giornalista Gianni Lannes. Sono navi che non fanno mai viaggi a vuoto. Una volta giunte nei porti italiani scaricano il grano estero e caricano altre sostanze. Cosa? Ci dicono di tutto. Sì, di tutto… E poi il grano trasportato da queste navi finisce sulle tavole di milioni di ignari consumatori sotto forma di pasta, pane, pizze, farina, semola, dolci…”.

Sembra un racconto dell’orrore, quello di Saverio De Bonis, presidente di GranoSalus, l’associazione che raccoglie produttori di grano duro di tutto il Mezzogiorno d’Italia e tanti consumatori.

“La verità – ci dice – è che più andiamo avanti, più emergono particolari che non esito a definire raccapriccianti. L’ammetto: questa storia delle navi, delle pessime condizioni igienico-sanitarie delle navi l’avevamo intuita, ma è stata da noi sottovalutata. Man mano che andiamo avanti tante cose cominciano ad apparire nella loro giusta luce. Per carità, il gioco delle dogane l’abbiamo sempre avuto chiaro. Nell’Unione Europea non esistono sanzioni uniche. Se una nave carica di grano approda a Marsiglia, a Rotterdam o a Malta, i controlli sono di un certo tipo e le sanzioni anche. Se approda in un porto italiano cambiano controlli e sanzioni. Da noi le sanzioni sono pesanti. E infatti…”.

“Ci sono porti europei – continua sempre De Bonis – nei quali i controlli sono superficiali e le eventuali sanzioni leggere. E infatti è lì che attraccano in prima battuta le navi cariche di grano duro di provenienza estera. Al massimo si beccano una contravvenzione non eccessiva. Ormai questo fa parte dei costi del trasporto. Una volta che hanno attraccato in un porto dell’Unione Europea, nessuno gli può più dire nulla una volta arrivati nei porti italiani. Così arrivano nei nostri porti, scaricano il grano che Iddio solo sa cosa contiene. Come detto, non fanno viaggi a vuoto. Ricaricano la nave – ci risulta anche di rifiuti – e ripartono”.

“La prima cosa da fare – insiste il presidente di GranoSalus – è l’unificazione del regime delle sanzioni. Non è possibile che nell’Unione Europea, per fatti gravissimi come la presenza di sostanze inquinanti nel grano, ogni porto europeo operi con un proprio regime sanzionatorio. Ovviamente, tutto questo non è casuale. Fa parte del gioco. Su questo fronte l’Unione Europea è un colabrodo”.

“Non è finita – prosegue De Bonis -. All’interno di questo scenario da brivido ci sono, poi, altri problemi. All’interno dei porti italiani ogni Autorità doganale opera liberamente. Esiste, in altre parole, una sorta di autonomia delle dogane sancita dalla legge”.

De Bonis ci invita a leggere un passo di un articolo di Gianni Lannes:

“Alcune realtà portuali della Puglia tra cui Manfredonia (dove già dal 2 gennaio 2017 una mezza dozzina di portarinfuse hanno scaricato grano), e la stessa Bari, si confermano come il luogo privilegiato di sbarco di frumento straniero, nonché spesso anche di armi e rifiuti. Non è cambiato nulla dall’autunno dell’anno 1988 quando fu sequestrata la prima carretta del mare imbottita di grano radioattivo proveniente dall’estero. O meglio, sono venuti meno i rigorosi e serrati controlli di un tempo trapassato. Oggi si fanno a campione, o meglio a casaccio, ovviamente quando capita. Qui vale il Port State Control? E l’accordo di Parigi (Paris-MoU) è forse carta straccia in Italia? Perché tanti relitti galleggianti che trasportano rifiuti speciali sotto bandiere fuorilegge non vengono arrestati definitivamente? In ossequio a chi o a cosa? Si tratta di semplice negligenza? Dal 1988 ad oggi sono stati controllati tutti i carichi di grano delle navi straniere giunte in Italia?”.

In verità, come scriviamo spesso, qualche anno fa l’allora dirigente generale del dipartimento Agricoltura della Regione siciliana, Cosimo Gioia, dispose proprio di effettuare i controlli sulle navi cariche di grano duro che arrivano nei porti siciliani. Non si stava sostituendo alle dogane: erano, infatti, controlli sanitari. La Regione ha il potere per effettuare tali controlli (in realtà, lo Statuto siciliano interviene anche sui noli: altra parte dell’Autonomia siciliana ignorata!).

Oggi – siamo nel 2017 – parliamo del grano che arriva con le navi e delle pessime condizioni igienico-sanitarie di questo prodotto. Tra il 2008 e il 2010 non parlava nessuno. Provate a immaginare cosa è successo quando Gioia dispose i primi controlli… Ovviamente, nel giro di qualche settimana il Governo regionale retto, all’epoca di questi fatti, da Raffaele Lombardo, mandò a casa Gioia di corsa…

Secondo voi la situazione è mutata? Assolutamente no. Mentre noi scriviamo e mentre voi leggete, nei porti italiani continuano ad arrivare le navi cariche di grano. Lannes ne ha censite alcune nel solo porto di Bari:

“Oggi 20 febbraio 2017 (l’articolo di Lannes è di qualche giorno addietro ndr), tra l’altro, ad un diretto esame visivo nell’area portuale del capoluogo pugliese, sono presenti i seguenti sette mercantili (6 con bandiera ombra) da considerare con particolare attenzione (i dati tecnici e logistici sono ufficiali e detenuti dalle autorità italiane):

Viktor (general cargo, bandiera Liberia, number IMO 9631929, stazza lorda 5.880 tonnellate, lunga 140 metri e larga 17). Era partita il 10 febbraio scorso dal porto ucraino di Kherson ed è giunta a Bari il 17 febbraio alle ore 08:00 UTC.

Pos Esperance  (bulk Carrier, bandiera Panama, number IMO 9562453, stazza lorda 21.213 tonnellate, lunga 172 metri e larga 28). Ha levato gli ormeggi da Vancouver in Canada il 4 gennaio scorso ed è arrivata in loco il 12 febbraio 2017 alle ore 00:00.

Omer Dadayli (general cargo, bandiera Panama, number IMO 9512525, stazza lorda 2.994 tonnellate). E’ partita da Nikolaev in Ucraina il 12 febbraio 2017 ed è arrivata qui il 18 febbraio 2017 alle ore 15:00.

Adatrans (general cargo, bandiera Turchia, number IMO 9037276, stazza lorda 6.167 tonnellate). Partita da Yuzhnyy in Ucraina il 13 gennaio scorso. Il 1 febbraio ha toccato il famigerato porto di Casablanca in Marocco, poi Ceuta, Livorno (base dell’export bellico) ed è giunta a Bari il 20 febbraio alle ore 07:02.

Murveta Ana (general cargo, bandiera Turchia, number IMO 8202939, stazza lorda 5.962 tonnellate). Partita da Nikolaev in Ucraina è giunta in loco il 19 febbraio alle ore 07:00.

Frojdi III (general cargo, bandiera Albania, number IMO 8919233, stazza lorda 1.574 tonnellate). Partita da Durazzo il 19 è giunta a Bari il 20 febbraio alle ore 04:00.

Lijun C (general cargo, bandiera United Kingdom, number IMO 9522001, stazza lorda 5.629 tonnellate). E’ giunta a Bari il 19 febbraio”.

Secondo voi la nave che è arrivata da Vancover, Canada, che cosa trasporta? E quella proveniente dall’Ucraina che cosa ci ha portato? Indovina indovinello…

E secondo voi quante altre navi sono approdate in Sicilia? Chissà chi lo sa…

La nostra ‘sensazione’, mettiamola così, è che mentre GranoSalus conduce una durissima battaglia in difesa del grano duro del Sud Italia, mentre noi scriviamo, cercando di capire che cosa arriva sulle nostre tavole, il grano duro del Sud Italia – con particolare riferimento al grano duro pugliese e siciliano – viene utilizzato per ‘tagliare’ il grano duro avvelenato che arriva dall’estero.

Certe partite di grano duro estero sono così piene di glifosato e di micotossine DON che non dovrebbero assolutamente essere utilizzate per l’alimentazione umana. A questo punto avviene il ‘miracolo’: il grano duro estero viene miscelato con il grano duro pugliese e siciliano e diventa a ‘norma di legge’, perché la carica di sostanze inquinanti (in primo luogo glifosato e micotossine DON, ma anche altri veleni, come, per esempio, certi metalli pesanti) si abbassa.

Il problema è che questi veleni rimangono e finiscono nella pasta, nel pane, nelle pizze, nella farina, nella semola, nei dolci e via continuando. E ci avvelenano. Piano piano. 

E’ uno scenario verosimile quello che abbiamo descritto? “Purtroppo è lo scenario reale – ci dice De Bonis -. Questi signori hanno bisogno del grano duro del Sud Italia, perché il grano duro estero non miscelato con il nostro grano duro è fuori legge. Gli industriali della pasta vogliono imbonire i produttori di grano duro del Sud con i contratti di filera. E lo fanno violando il diritto europeo sulla concorrenza”.

Siamo arrivati alle cronache della scorso autunno. Fatti che vi abbiamo raccontato nel seguente articolo:

Grano duro/ GranoSalus attacca il Governo Renzi: “Viola le regole della concorrenza e crea rischi per la salute”

Il gioco è semplice: le multinazionali dei cereali – che hanno base operativa nel mercato di Chicago – tengono basso il prezzo del grano duro (la scorsa estate al vergognoso prezzo di 14 Euro al quintale, meno del costo di produzione del prodotto!). Poi arrivano le grandi industrie della pasta – che sono legate alle multinazionali (quando non sono, direttamente, multinazionali) – si presentano dagli agricoltori e gli dicono:

“Il grano duro è a 14 Euro al quintale? Noi ve lo paghiamo il doppio: 28 Euro al quintale. Però dovere produrre il grano duro che vi diamo noi con le tecniche colturali che vi indichiamo noi”.

Morale: niente valorizzazione dei grani duri locali della Puglia, della Sicilia, della Basilicata, del Molise e via continuando. Ma coltivazione di grani duri ricchi di proteine: non meno del 14% di glutine. Le industrie della pasta ci guadagnano: con il 14% di glutine impiegano due ore per essiccare la pasta invece che 24 ore, con risparmio di tempo e di energia elettrica. E pazienza se gli apparati digerenti di centinaia di milioni di persone vanno in tilt per l’eccesso di glutine nella pasta. Quanto valgono, alla fine, gli stomaci di centinaia di milioni di persone? Valgono di più del grande business dei colossi industriali della pasta? Volete mettere?

Tutto questo gioco, ovviamente, si regge sul grano duro estero, soprattutto su quello canadese. E’ questo il grano duro che contiene elevate quantità di glutine. Il perché ve l’abbiamo già raccontato qui di seguito:

Il grano duro canadese migliore di quello siciliano? Falso: è solo un grande imbroglio al glifosato

Guarda caso, quando mezza Europa ha ‘sgamato’ il gioco del grano duro canadese pieno di glifosato e di micotossine DON è arrivato il CETA, il trattato commerciale tra Unione Europea e Canada approvato nei giorni scorsi dal Parlamento Europeo. In base a questo trattato commerciale internazionale – che ancora deve essere ratificato da ogni Paese europeo: è lì ci divertiremo con i parlamentari nazionali italiani! – i Paesi europei, come nel romanzo di Mario Puzo, Il Padrino, non potranno rifiutare il grano duro e altri prodotti che arriveranno nel Vecchio Continente dal Canada. Notevole, no?

Chiudiamo la nostra chiacchierata con De Bonis con due ‘grandi’ economisti agrari italiani che hanno salutato favorevolmente il CETA: i professori Paolo De Castro e Giovanni La Via. Entrambi docenti universitari ed entrambi parlamentari europei.

“Mi fa piacere rispondere a questa domanda – ci dice sempre De Bonis -. Negli anni passati, in Italia, ci si lamentava del fatto che i partiti politici mandavano al Parlamento europeo i ‘trombati’. Oggi ci mandano i docenti universitari. Ecco, dico che da quando al Parlamento Europeo l’Italia viene in parte rappresentata da certi docenti universitari la situazione è peggiorata, molto peggiorata. E il CETA ne è la drammatica testimonianza…”.

QUI L’ARTICOLO DI GIANNI LANNES

QUI L’AVVENTURA DI COSIMO GIOIA E DEI CONTROLLI SULLE NAVI BLOCCATI DAL GOVERNO REGIONALE

QUI VI RACCONTIAMO LE ‘SPLENDIDE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE’ DEL GRANO DURO CANADESE

Che fare per contrastare il CETA? Intanto cominciamo a non acquistare più la pasta industriale!

 

 

 

 

 

 

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