Agricoltura ‘bio’ in Sicilia: 4 mila Euro l’anno per azienda. Servono controlli modello GranoSalus

14 gennaio 2017

E’ inutile che ci giriamo attorno: la certificazione dei prodotti biologici, da sola, non basta. Servono controlli sui prodotti finiti a tutela dei consumatori, sul modello di quelli che GranoSalus sta avviando in tutta l’Italia sui derivati del grano. In Sicilia si farebbe finalmente chiarezza su un settore che ogni anno assorbe 40 milioni di Euro di contributi a fondo perduto 

Le aziende agricole siciliane che operano nel cosiddetto ‘biologico’ sarebbero circa 8 mila. Bene. Ma se sono così tante – da giustificare contributi a fondo perduto per oltre 40 milioni di Euro all’anno (una cifra colossale: sono quasi 80 miliardi di vecchie lire: 8 milioni di vecchie lire all’anno in media per ogni produttore, oggi circa 4 mila Euro all’anno, sempre in media per ogni produttore: una pacchia!) – dove sono tutti questi prodotti agricoli biologici?

Ce lo chiediamo perché noi, con tutta la buona volontà del caso, non li vediamo. A meno che questi prodotti agricoli ‘bio’ – citiamo l’esempio di Palermo – non si trovino in certi supermercati che si presentano come luoghi d’elezione dei prodotti biologici dove, accanto a qualche pacco di pasta artigianale, magari anche siciliana, campeggiano i marchi classici della pasta industriale italiana fatta con abbondante uso di grano duro estero!

Sono gli stessi negozi dove frutta e ortaggi ‘bio’ somigliano – stranamente – ai prodotti coltivati con i metodi tradizionali. E non dovrebbe essere così, perché frutta e ortaggi ‘bio’, spesso, non sono di bella presenza: anzi.

Insomma, una mela ‘bio’ – per fare un esempio – non può presentarsi come la mela di Biancaneve: grande, rossa, senza nemmeno una macchiolina…

Sempre con rispetto parlando, ci capita spesso di frequentare i ‘Mercati contadini’, sempre a Palermo: ma i prodotti che vediamo esposti – frutta e ortaggi freschi – non somigliano molto, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, ai prodotti agricoli biologici.

Le definizioni dell’agricoltura biologica sono tante. Noi ci limitiamo a illustrare alcuni elementi essenziali per provare a fare chiarezza su un settore tutt’altro che ‘trasparente’.

L’agricoltura biologica dovrebbe essere un modo di coltivare le piante con tecniche antecedenti all’introduzione, in agricoltura, dei prodotti chimici di sintesi avvenuta negli anni ’70 del secolo passato. Insomma, niente concimi chimici di sintesi e niente pesticidi. E niente “esternalità negative”: inquinamento di acqua, terreni e aria.

Si utilizzano solo fertilizzanti organici, nel caso di seminativi si ricorre alle rotazioni colturali, mentre i ‘nemici’ delle piante – insetti e altri parassiti – si combattono con preparati minerali e vegetali che non debbono essere frutto di sintesi chimica (con l’eccezione di alcuni prodotti tradizionali che si utilizzavano prima dell’avvento dei pesticidi di sintesi).

Nel caso di alcuni insetti che danneggiano le piante o i frutti si utilizzano i nemici naturali di tali insetti. Per esempio, le coccinelle che si mangiano gli afidi. 

L’agricoltura biologica vale anche per la zootecnia. Nell’allevamento degli animali ‘bio’ si utilizzano tecniche che rispettano il loro benessere: per alimentarli si fa uso di prodotti vegetali ottenuti secondo i principi dell’agricoltura biologica e sono bandite le tecniche di forzatura della crescita: insomma, niente ormoni. Quanto alla cura di eventuali malattie, si ricorre a rimedi della tradizione, quasi sempre a base di piante e anche a rimedi omeopatici. I cosiddetti medicinali allopatici – per esempio gli antibiotici – sono limitati e normati da appositi regolamenti.

Per dirla in breve, frutta, ortaggi, verdura, grano e via continuando non debbono contenere residui di pesticidi e di diserbanti. Mentre la carne prodotta negli allevamenti biologici non deve contenere ormoni e antibiotici e nemmeno pesticidi, visto che gli animali debbono mangiare solo vegetali prodotti biologicamente o altri alimenti privi di residui chimici.

Sul ‘biologico’ non mancano i dubbi, come potete ascoltare in questo servizio di Report del 2000. 

Quattordici anni dopo c’è questo nuovo servizio di Report.

Interessante anche questo video.

Per ciò che riguarda i prodotti biologici, anche in Sicilia ci dobbiamo fidare degli enti certificatori.

Mancano i controlli sul prodotto finito, che sono i controlli più importanti.

Anche per i prodotti biologici vale quello che scriviamo per altri alimenti: la certificazione è già importante, ma da sola non basta: ciò che conta veramente è la vera qualità di un frutto o di un ortaggio e, nel caso di un prodotto confezionato, conta ciò che sta dentro le confezioni.

In Sicilia ci sono 8 mila aziende ‘bio’? Benissimo. A tutela dei consumatori andrebbero effettuati i controlli sui prodotti. Non su tutti i prodotti, ovviamente, ma su campioni rappresentativi di tutti i prodotti.

Per queste attività di controllo potrebbero essere coinvolte le Aziende Sanitarie Provinciali (ASP).

Ma accanto a questi soggetti pubblici si dovrebbe seguire il metodo GranoSalus: dovrebbero essere gli stessi produttori ‘bio’, in associazione con i consumatori, ad effettuare controlli a campione che poi dovrebbero essere confrontati con i controlli delle ASP.

Se un prodotto – un ortaggio o un frutto – non contiene veramente residui di pesticidi, allora è giusto che i consumatori lo paghino a un prezzo maggiorato. Ma questo deve essere accertato – ribadiamo – con il metodo che GranoSalus sta promuovendo per i derivati del grano duro, cioè con i controlli sui prodotti finiti.

Il resto sono solo chiacchiere.

Lo stesso discorso vale per la carne ‘bio’. I ‘bollini’, da soli, non bastano. Servono controlli per verificare, in primo luogo, l’assenza di antibiotici, che oggi sono il vero, grande problema della carne. E poi anche l’assenza di residui di pesticidi e di ormoni. Se sono presenti queste sostanze, ebbene, la carne non è biologica.

Anche sul grano ‘bio’ va fatta chiarezza. Si può produrre grano biologico. Sapendo che la produzione per ettaro si riduce sensibilmente. Il grano ‘bio’ costerà di più. Ma anche in questo caso serviranno i controlli.

Poi c’è il discorso dei luoghi di produzione: i terreni agricoli. Se un’azienda che coltiva in biologico confina con un’altra azienda dove si pratica l’agricoltura tradizionale, inevitabilmente residui di pesticidi finiranno anche là dove si coltiva in biologico. Questo fa venire meno il principio secondo il quale dove si produce in biologico non ci deve essere alcuna forma di inquinamento dell’ambiente. 

Perché diciamo tutto questo? Perché l’agricoltura biologica è una pratica difficile. Che stride con la superficialità con la quale, spesso, vengono presentati certi prodotti biologici che sanno tanto di raggiro.

 

 

 

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