La riforma costituzionale Renzi-Boschi è quasi uguale al “Piano di Rinascita democratica” di Licio Gelli

27 novembre 2016

Promemoria  per tutti coloro che domenica 4 dicembre si recheranno alla urne per esprimere il loro voto sulla riforma costituzionale voluta dal Governo Renzi. E’ bene sapere che questa riforma trae origine dalle ‘riflessioni’ del Gran Maestro venerabile della Loggia P2, Licio Gelli, scomparso un anno fa. Come potete leggere qui di seguito, quasi tutti gli ‘obiettivi’ che i piduisti si prefiggevano di raggiungere si ritrovano nella riforma costituzionale del Governo Renzi

di Ignazio Coppola

Una riforma costituzionale che ci fa andare indietro nel tempo di 40 anni. E’ infatti datata 1976 quando fu scoperto il “Piano di Rinascita democratica”, detto anche programma di Rinascita Nazionale del piduista Licio Gelli che consisteva in un assorbimento degli apparati democratici della società italiana dentro le spire di un autoritarismo legale i cui obbiettivi essenziali consistevano in una serie di riforme e modifiche costituzionali. Il piano di Gelli si prefiggeva lo scopo di “rivitalizzare”ed “addomesticare” il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati e agli stessi cittadini elettori. Programmi a medio e a lungo termine che prevedevano, in premessa, il ritocco della Costituzione, con precisi obbiettivi di modifica degli assetti istituzionali

In un ‘intervista sul Corriere della Sera del 5 ottobre 1980, Licio Gelli Gran Maestro venerabile della loggia P2, che fu definita dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini un’associazione a delinquere, esponeva all’intervistatore Maurizio Costanzo il suo programma contenuto nel Piano di Rinascita Democratica che consisteva in alcuni punti fondamentali:

1) Il controllo dei politici (nominati e non eletti), dei partiti, delle televisioni e degli organi di informazione;

2) ridimensionamento dei sindacati;

3) privatizzazione di tutti gli enti pubblici;

4) mutamento della Repubblica in senso presidenziale;

5) accentramento dei poteri nelle mani di pochi in un regime governo-centrico a discapito delle autonomie locali (che oggi   con la riforma Renzi-Boschi troverebbe riscontro nella clausola di supremazia dello Stato sulle Regioni).

Un articolato programma, quello del Piano di Rinascita democratica di Gelli, che prevedeva una svolta di stampo autoritario da imporre al Paese attraverso opportuni interventi sui principali settori della vita pubblica italiana: Parlamento, Governo, partiti politici, magistratura, informazione, sindacati.

Interventi da portare avanti non dall’esterno, in modo violento, ma dall’interno, attraverso la scalata ai vertici del mondo politico, istituzionale e dell’informazione.

Mancava l’ultima parte al disegno gelliano: quello per il raggiungimento di questi obbiettivi, finalizzato allo stravolgimento della Costituzione (oggi riforma Renzi-Boschi) e del sistema elettorale (oggi Italicum).

Dove non è riuscito Silvio Berlusconi (tessera della P2 n. 1819), troppo distratto dai bagordi e dalle cene di Arcore, ha pensato, sotto l’abile e “sapiente” regia del presidente emerito Giorgio Napolitano, a tappe forzate con il suo Governo, Matteo Renzi.

E’ di questo Governo, infatti, l’abolizione dell’art. 18; è di questo Governo l’ultimo attacco all’unità sindacale; è di questo Governo la riforma per l’introduzione della responsabilità civile dei magistrati; è di questo Governo la pericolosa riforma costituzionale per rovesciare, con il “combinato disposto” con l’Italicum (legge che si può considerare la fotocopia della legge Acerbo del 1923 che fu l’anticamera del fascismo), la centralità del Parlamento a favore di un premierato forte, con un’enorme concentrazione di potere nella mani dell’esecutivo e del suo “capo”.

Un uomo solo al comando, con tutti i rischi che per la democrazia questo ovviamente comporta. Così da far dire al giudice Nino di Matteo, lo scorso 22 ottobre, a proposito delle riforma Renzi- Boschi:

“Questa riforma ha un solo obbiettivo, quello voluto dallo stesso Licio Gelli nel piano di Rinascita democratica della P2 e dai successivi governi, ossia quello di favorire il potere esecutivo a scapito del potere legislativo e giudiziario, trasformando così la democrazia in una sorta di dittatura dolce, fondata non sulla sovranità popolare, ma sul potere oligarchico che obbedisce solo alle leggi della finanza e dell’economia internazionale”.

Dalla democrazia all’oligarchia il passo è breve. Al giudice Di Matteo ha fatto poi eco il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, magistrato, esponente dello stesso partito di Renzi, il PD. Emiliano ha definito la riforma sottoposta a referendum un “attacco alla Costituzione”.

Questi sono importanti elementi di riflessione per gli elettori che, domenica prossima 4 dicembre, andranno a votare: soprattutto se pensano di votare sì.

Detto questo, se il sì dovesse vincere sorgerebbe, per Matteo Renzi, un altro costoso problema: ossia quello di pagare agli eredi di Licio Gelli, che legittimamente li rivendicherebbero, i diritti d’autore della riforma costituzionale di cui il loro congiunto era stato, a suo tempo, l’ideatore con il suo piano di Rinascita democratica ed ora riproposto agli italiani dal duo Renzi-Boschi.

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