Elezioni: Renzi perde, ma non straperde. I grillini vincono, ma non stravincono. Il resto è noia

6 giugno 2016

Dalla Lombardia alla Sicilia, passando per Roma, l’analisi del voto non è facile. Troppi risultati altalenanti. Forse i dati importanti di questo passaggio elettorale sono altri. L’informazione ‘officiale’, Tv in testa, conta sempre meno. E questo potrebbe essere un problema serissimo per Renzi a Ottobre, quando gli italiani voteranno per il referendum sulle riforme, o presunte tali, della Costituzione. Anche perché si è visto – parlano i risultati di Roma e Napoli – che dove lo scontro diventa ‘politico’, il PD renziano perde. Ombre e luci sulla Sicilia dove i grillini avanzano

Non è facile commentare i risultati di questa tornata elettorale. C’è la vittoria del Movimento 5 Stelle: una vittoria non uniforme in tutta l’Italia, ma importante. Soprattutto a Roma, ma non soltanto. Sintetizzando, si può dire che là dove il voto è ‘politico’, i grillini vanno avanti. Mentre in altre realtà nelle quali, bene o male, pur con le dovute eccezioni, il dibattito politico locale prevale, prevalgono, per l’appunto, le ragioni locali: e nel localismo la vecchia politica resiste: non stravince ma resiste.

Un altro elemento sul quale sarebbe bene riflettere è la personalizzazione della politica. In molti casi, le personalità forti attirano più consensi dei programmi.

Ed è anche logico, in un’Italia dove la crisi economica cresce di giorno in giorno, al di là delle frottole raccontate da Renzi e da alcune istituzioni, il più delle volte diventa praticamente impossibile mantenere gli impegni assunti.

Un terzo elemento importante riguarda l’informazione tradizionale: carta stampata e tv. Negli anni ’90 il centrosinistra pretese una legge – la par condicio – perché si dava assiomaticamente per scontato che la televisione era indispensabile per costruire il consenso. Oggi non è più così.

Renzi, in questa campagna elettorale, è stato presente ogni giorno in quasi tutta la carta stampata, in tutti i Tg e perfino nelle radio. Ma non gli è servito a niente. E questo è un messaggio molto brutto per lui: significa che il tam tam che ha già messo in moto – anche sulla rete – per provare a condizionare gli italiani in vista del referendum di Ottobre gli servirà a poco.

Con molta probabilità, Renzi ha commesso un errore a personalizzare lo scontro sul referendum costituzionale di Ottobre. Gli italiani, come già ricordato, quando la competizione diventa ‘politica’, non sembrano seguire l’attuale Governo. Anzi. Al netto delle roccaforti storiche – dove magari il centrosinistra potrebbe vincere ai ballottaggi (come a Torino e a Bologna) – non è detto che sul referendum costituzionale Renzi riesca a portarsi dietro la maggioranza degli elettori. Anche perché, come già detto, l’informazione tradizionale, con in testa la Tv, non riesce più a condizionare le convinzioni degli italiani.

Proviamo, adesso, a commentare alcuni risultati. Il giovane collega Accursio Sabella, sulla propria pagina facebook, traccia un quadro sintetico ma efficace:

“Il PD arriva secondo a Roma (staccato di oltre dieci punti dalla Raggi) solo perché il centrodestra ha litigato e si è diviso. A Milano, dove voleva stravincere al primo turno, ha solo pareggiato. A Napoli ha straperso, restando fuori dal ballottaggio. A Torino e Bologna, dove pensava di piazzare già i propri sindaci, dovrà vedersela – non senza rischi – al secondo turno. Mi sa che hanno ‘cambiato verso’ un’altra volta”.

C’è, in questa tornata elettorale, come detto all’inizio, una vittoria del Movimento 5 Stelle. Clamoroso il risultato di Roma dove, con molta probabilità, il PD, per non perdere il controllo della ‘Capitale’, al ballottaggio, mobiliterà l’universo mondo. Molto dipenderà dall’atteggiamento di Giorgia Meloni che, da sola, finalmente affrancata da Berlusconi (a Roma i leghisti contano poco e dubitiamo che abbiano potuto aiutare la Meloni), ha preso il 20% dei consensi. Se gli elettori della Meloni, che sono molto ‘politicizzati’, decideranno di affondare Renzi, per il candidato del PD, Giachetti, ci sarà poco da fare.

Ma se i grillini, nel complesso, sono andati bene, il vero sconfitto di queste elezioni amministrative è Berlusconi. Il dato di Milano, dove il candidato del centrodestra, Parisi, prende quasi gli stessi voti del candidato del centrosinistra, Sala, non deve trarre in inganno: Milano non è l’Italia, ma è la città dove Berlusconi ha costruito il proprio impero economico. E dove il centrosinistra – con riferimento alla tradizione socialista che, nel bene e nel male, il PD ha ereditato – ha una storia importante. Ed è anche la città della Confindustria, alla quale Renzi ha ‘scaricato’ una barca di soldi con il Jobs Act. Il ‘grazie’ degli industriali al Governo era nelle cose.

Ma tolta Milano, il centrodestra non brilla. Certo, tiene la posizione – e in alcuni casi vince – là dove si presenta unito. Ma unito, ormai, il centrodestra non lo è più: e forse non lo sarà più, almeno sotto l’egida di un Berlusconi che ormai sembra passato remoto.

Perché Giorgia Meloni, con il suo 20% di Roma, è ormai in grado di lavorare alla ricostruzione del centrodestra. Con Forza Italia? Forse con i suoi dirigenti. Ma non con Berlusconi. Anche perché sull’ex Cavaliere pesa sempre il dubbio – che forse è più di un dubbio – che, sottobanco, regga il gioco a Renzi in cambio della tutela delle sua ‘aziende’.

Insomma, quel ‘conflitto di interessi’ di Berlusconi che il centrosinistra, in vent’anni, ha di fatto mantenuto in piedi, lo potrebbe risolvere la Meloni, sbarazzandosi definitivamente di Berlusconi.  

L’ex Cavaliere e le sue tv, come si usa dire in questi casi, non incantano più. E il motivo c’è. Berlusconi, per esempio nel caso di Roma, non ha certo lavorato per il centrodestra. Perché, di fatto, l’ex Cavaliere ha favorito Renzi: prima ha spaccato il centrodestra, poi, quando ha capito che Bertolaso sarebbe stato un disastro, ha ripiegato su Marchini per ostacolare la candidatura di Giorgia Meloni. Operazioni riuscita, perché con il 4-5% dei voti di Forza Italia a Roma, la Meloni sarebbe andata al ballottaggio al posto di Giachetti.

E’ chiaro che questo Giorgia Meloni non lo dimenticherà.

Da questa tornata di elezioni amministrative viene fuori non un’Italia, ma tante Italie. Il PD mantiene alcune roccaforti, ma perde voti. E, soprattutto, non passa al primo turno in alcune città chiave: Torino e Bologna. Detto questo, quella di Renzi non è una vittoria, ma non è nemmeno una sconfitta.

Se le Tv non sono più convincenti come un tempo, il potere conta ancora: e molto. Non dobbiamo dimenticare che mai, in Italia, un uomo politico ha avuto, al centro e in periferia, il potere che oggi è nelle mani di Renzi. La crisi economica si fa sentire: ma il PD di Renzi, oggi, controlla tutti gli apparati dello Stato, buona parte delle Regioni, buona parte delle ex Province e la maggior parte dei Comuni. Alcuni Comuni, anche importanti, li ha persi e li perderà. Ma esercita ancora oggi un potere immenso. E questo conta in un Paese in crisi dove il ricatto del lavoro, anche precario, produce ancora consenso.

Non solo. Renzi è stato scelto dall’Europa dell’Euro per far approvare in Italia il Jobs Act: una riforma, peraltro fallita, che se fosse stata proposta da un Governo di centrodestra avrebbe scatenato, come in Francia, rivolte di piazza. Invece, una volta che il Jobs Act è stato proposto e imposto dal PD di Renzi, CGIL, CISL e UIL hanno solo fatto finta di opporsi.

Di più. In un’Italia dove un Governo propone di cambiare la Costituzione – e la cambia grazie a un Parlamento nazionale di ‘nominati’, delegittimato da una sentenza della Corte Costituzionale, che ha definito incostituzionale la legge elettorale Porcellum – non è certo facile andare al voto contro lo stesso Governo. E il fatto che, in tanti Comuni, i cittadini non abbiamo seguito Renzi e il suo codazzo politico e mediatico è un risultato molto importante.

Clamoroso, per certi versi, il risultato di Napoli, dove il sindaco uscente, Luigi De Magistris, sfiora il 50% dei voti. Un risultato che il sindaco della città partenopea ha raggiunto personalizzando lo scontro con Renzi. Certo, poi in Campania c’è De Luca con il suo seguito. Ma l’onda napoletana, in Campania – e forse in altre aree del Sud – significa che questa parte del Paese, bistrattata dal Governo Renzi, comincia a non credere più alla demagogia renziana.

E la Sicilia? La vittoria dei grillini è nei fatti. Forse la linea politica del Movimento 5 Stelle nella nostra Isola – più ragionata che barricadiera – è quella giusta. I grillini avanzano in tanti Comuni, da Alcamo a Favara, fino a Grammichele. In alcune realtà magari non sono molto presenti. Ma, nel complesso, questa forza politica va avanti. E, anche in Sicilia, raccoglie e accoglie i voti alla sinistra del PD che stenta a materializzarsi in modo credibile.

Del resto, quando a Palermo Sinistra Italiana non si distingue dall’esperienza di Leoluca Orlando – fallimentare sotto il profilo amministrativo – non si capisce perché gli elettori palermitani della sinistra dovrebbero premiarla. Che senso avrebbe?

Il PD in alcune aree dell’Isola arretra, in altre tiene, in alcuni Comuni vince. Nel complesso, questo partito non va avanti, ma non crolla. La spiegazione, con molta probabilità, è legata al potere, che in Sicilia attrae un certo elettorato ‘scafato’.

Il blocco di circa 800 mila voti che tiene in piedi il centrosinistra alla Regione – del quale questo blog parla spesso – è ancora in piedi. Le risorse finanziarie diminuiscono, ma le promesse sono ancora uno strumento di consenso.

Tra l’altro, in Sicilia quasi tutti i sindaci sono di centrosinistra (e quasi tutti riconducibili al PD). Lo stesso discorso vale per le ex Province commissariate e gestite dal centrosinistra. Tutto il potere, in Sicilia, è nelle mani del centrosinistra. Logico che resista, forte anche dell’incapacità dei Siciliani di capire che Regione e Comuni sono al default.

Con la crisi economica spaventosa i disoccupati, in Sicilia, dovrebbero essere in piazza un giorno sì e l’altro pure. Ma la vecchia politica siciliana, che oggi si incarna nel PD, riesce ancora a giocare la carta delle promesse. Emblematici i concorsi nella sanità: il settore è al collasso tra mancanza di medici, di infermieri e di posti letto, ma l’attuale Governo, da due anni, promette improbabili ‘concorsi’: finora ‘sti concorsi non si sono visti, ma migliaia di disoccupati vengono ammaliati e continuano a vivere ‘’escatologicamente’ tale attesa…E votano…

Sembra incredibile, ma, sempre nel centrosinistra resiste ancora la figura dell’ex Ministro Salvatore ‘Totò’ Cardinale. Sì, ci sono ancora tante persone che gli vanno dietro. E in alcuni casi i suoi voti – cioè i voti dei deputati regionali che gli riconoscono la leadership – contano ancora.

Nel centrodestra c’è il bel risultato della lista Musumeci a Caltagirone. Ma un dato politico sembra ormai chiaro: senza Totò Cuffaro il centrodestra siciliano, anche se unito, non è più irresistibile. Il carisma di Cuffaro teneva in vita una parte importante della tradizione democristiana siciliana. E dava al centrodestra dell’Isola il valore aggiunto per vincere.

Senza Cuffaro, nonostante la caparbietà di Gianfranco Miccichè, il centrodestra è ancora forte, ma non è detto che sia vincente.

Il centrodestra siciliano degli anni ’90 si reggeva su tre piedi: la novità di Forza Italia, lo sdoganamento della destra, con AN che era al 10-12% dei consensi e, soprattutto, la ‘macchina’ di voti di Totò Cuffaro. Senza quest’ultimo, il centrodestra siciliano annaspa.

Il Nuovo Centrodestra Democratico, infine. Ricordiamoci che questo partito, appena qualche anno fa, veniva dato, in Sicilia, al 12-14%. Del resto, è qui, nella nostra Isola, che nasce questa formazione politica, se è vero che il Ministro Alfano è siciliano. Ma oggi questo partito non c’è più. I primi a non crederci sono proprio in dirigenti e i parlamentari alfaniani, che in questa tornata elettorale si sono eclissati.

Pur di non vedersi ‘morire’, hanno preferito sparire…

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