Giuseppe ‘Pippo’ Scianò: “L’accordo tra il Fronte Nazionale Siciliano e Sicilia Nazione? Un grave errore politico e strategico”

19 marzo 2016

“La storia è sempre la stessa: pensano, mettendosi insieme, di diventare più forti. Non capiscono che la rivoluzione culturale deve partire dal popolo”. Una chiacchierata a trecentosessanta gradi con il Padre nobile dell’Indipendentismo siciliano. La necessità di liberare la Sicilia dalla mafia come fecero gli algerini con i mafiosi della Casba prima di liberarsi dai francesi. I problemi con lo Stato italiano e con l’Unione Europea. Il ricordo di Gianfranco Miccichè presidente dell’Ars che si sbarazza della Trinacria. I grillini, “ragazzi di buona volontà” che “nel cuore non hanno la Sicilia”. I ricordi del separatismo siciliano, la storia e tanto altro ancora

E’ considerato il ‘Padre nobile’ degli Indipendentisti siciliani. Anche se negli ultimi tempi Giuseppe ‘Pippo’ Scianò ha lasciato il timone del Fronte Nazionale Siciliano (FNS). Per dedicarsi al Centro studi ‘Andrea Finocchiaro Aprile’. ma le cose, a quanto pare, hanno subito preso una piega strana, se è vero che nei giorni scorsi il Fronte Nazionale Siciliano – che è sempre stato un esempio di coerenza – è stato calamitato nel confuso e forse un po’ troppo entropico dibattito tra le tante sigle sicilianiste, o presunte tali, che oggi somigliano a un allevamento di “capponi di Renzi”.

Così abbiamo deciso di fare una chiacchierata con Scianò. Anche per provare a capire che cosa sta succedendo nel Fronte Nazionale Siciliano. E per farci raccontare la Sicilia anno di grazia 2016 vista con gli occhi di un uomo che è stato per lunghi decenni un osservatore attento della Regione siciliana, tra vizi (tanti) e virtù (poche).

Allora, dottore Scianò, che cosa sta succedendo?

“Succede che oggi c’è un’inflazione di sicilianismo”.

Lei si è chiamato fuori dal Fronte Nazionale Siciliano.

“Sono ancora il presidente onorario. Ma presto lascerò anche questo incarico. Mi dedicherò sempre di più al centro studi ‘Andrea Finocchiaro Aprile”.

Abbiamo la sensazione che tra autonomisti, sicilianianisti e indipendentisti ci sia un po’ di confusione…

“Avete la sensazione giusta. Per carità, fa piacere assistere a un risveglio dell’indipendentismo siciliano. Ma bisogna stare attenti alla demagogia. E a chi vuole utilizzare questo particolare momento storico per utilizzare l’indipendentismo siciliano per fini che nulla hanno a che vedere con gli interessi della Sicilia. Purtroppo è la storia che si ripete. In questi ultimi anni abbiamo assistito alla presenza di un localismo in funzione antisiciliana. Penso alla storia del ponte sullo Stretto di Messina. Che avrebbe dovuto creare una regionicchia. Il ponte che diventa una rivendicazione sicilianista. Un’indecenza”.

Ma lei perché si è chiamato fuori dal Fronte Nazionale Siciliano?

“Per tanti motivi. Il primo motivo è generazionale. Qualcuno diceva che restavo ad occuparmi del Fronte Nazionale Siciliano per la poltrona. Ovviamente non è vero. Per me occuparmi del movimento era una fatica. Non è facile, in Sicilia, lavorare per una rivoluzione culturale. La nostra è una terra difficile, complessa. Libera da condizionamenti, la Sicilia sarebbe la Regione più indipendentista del mondo”.

Invece?

“Invece i siciliani, non da ora, sono tenuti nel bisogno. Costantemente. Con questo ricatto continuo la voglia di indipendenza dei siciliani viene intrappolata. A questo si aggiunge la memoria storica negata. E le ingiustizie. Tante ingiustizie. Che dire, per citare un esempio, della mancata riapertura del casinò di Taormina? Deve restare chiuso per favorire i casinò del Centro Nord. L’economista Frisella Vella diceva che in Italia l’interesse nazionale coincide con gli interessi del Nord Italia. Non sbagliava. E oggi è ancora così. Ed è così anche con l’Unione Europea: lo stiamo vedendo con gli agrumi e l’olio d’oliva: produzioni meridionali e siciliane penalizzate da Bruxelles”.

Ci sono anche responsabilità delle classi dirigenti siciliane: lo Statuto, che ha grandissime potenzialità, si configura come un’occasione mancata…

“Guardi, se un Presidente della Repubblica che amava il vino ci avesse offerto l’Indipendenza l’avremmo rifiutata. C’era già lo Statuto che, se fosse stato applicato, avrebbe reso libera la Sicilia. Ma, sin dall’inizio, l’Autonomia è stata affidata a soggetti estranei alla Sicilia, che erano tutto fuorché autonomisti. E ancora oggi è così”.

Non possiamo darle torto: la Regione siciliana di oggi è un disastro!

“La Regione siciliana di oggi è uno stipendificio diretto e indiretto. Lo dico con rispetto: oggi il numero di coloro che, in un modo o nell’altro, dipendono dalla spesa pubblica regionale è di gran lunga maggiore degli stessi dipendenti pubblici. Così non andremo da nessuna parte. In Sicilia, ancora oggi, non c’è una politica che stimola la produttività e il lavoro vero”.

E c’è anche il problema della mafia e della mentalità mafiosa. Ci sono amministratori pubblici che non rendono noti i conti economici delle società pubbliche, perché sanno che non risponderanno di irregolarità e distrazioni…

“Sono sempre stato convinto che il vero sicilianismo esclude la mafia”.

Anche se storicamente certi personaggi dell’universo separatista siciliano non è che avessero idee chiare rispetto a certi problemi: pensiamo al conte Lucio Tasca, o ad Antonio Varvaro.

“In quegli anni la mafia era connaturata con lo Stato. Anzi, era quasi istituzionalizzata. Certi politici di quegli anni, comprese alcune figure del movimento separatista, non capivano la pericolosità del fenomeno mafia. In parte non lo capivano e in parte lo sottovalutavano. Anche Finocchiaro Aprile ha commesso qualche errore. Erano pochissimi i politici e i sindacalisti che avevano capito la pericolosità del fenomeno mafioso. Penso a Placido Rizzotto e a Salvatore Carnevale. Eroi del loro tempo lasciati soli. Detto questo, sarà la mafia a staccarsi dal separatismo siciliano. A tal proposito mi piace ricordare un episodio”.

Dica.

“Un’intervista pubblicata, credo, dal quotidiano L’Ora nel 1945. Un’intervista a Nicola Gentile, un esponente della mafia agrigentina che era stato in America ed era tornato in Sicilia. Racconta, Nicola Gentile, di un suo viaggio a Roma per parlare del futuro della Sicilia con una personalità di spicco della mafia”.

Con chi?

“Nell’intervista il nome di questa personalità importante della mafia non c’è. Ma considerati i tempi i cui si svolgono i fatti, potrebbe trattarsi di Luchy Luciano. Ebbene, Gentile va a parlare con questa alta personalità della mafia e gli racconta delle folle oceaniche che accompagnavano i leader e le manifestazioni del movimento separatista siciliano. Gli dice che anche nella sua provincia, Agrigento, i separatisti sono tantissimi. Ma viene gelato dalla risposta del suo interlocutore: ‘Lascia perdere i separatisti – gli dice -. Noi abbiamo fatto già altre scelte’. Nicola Gentile torna in Sicilia deluso. Ma i fatti, poi, daranno ragione al personaggio dell’alta mafia con il quale aveva parlato”.

Torniamo al presente. Che stanno combinando gli attuali dirigenti del Fronte Nazionale Siciliano?

“Non hanno esperienza. Pensano che mettendo assieme tanti piccoli soggetti sicilianisti diventeranno più forti. Purtroppo non è così. Anzi, così facendo rischiano di stravolgere un’idea forte di indipendentismo siciliano e di far crescere male quel poco di buono che sta venendo fuori in questi anni. In politica la confusione non ha mai portato nulla di buono. Poi oggi c’è un altro problema che non va sottovalutato”.

Cioè?

“Parlo del Web. Che dà a molti soggetti l’illusione di essere seguiti da tanta gente. Ma, per l’appunto, è un’illusione. La realtà è ben diversa. La rete, insomma, scatena fenomeni di protagonismo che poi non hanno alcun aggancio con la realtà”.

Ci sta dicendo che bisogna partire dalla realtà?

“Certo. E’ la realtà che governa le rivoluzioni culturali. Il protagonista della rinascita della Sicilia e dell’indipendentismo siciliano non saranno mai le sigle che si mettono assieme. L’iniziativa deve essere popolare. Altrimenti è tempo perso. Se non c’è una maturazione nell’animo della gente di Sicilia non ci sarà rivoluzione culturale. Il caso dell’Angeria, in questo senso, è emblematico”.

Cioè?

“Negli anni in cui l’Algeria inizia la lotta per liberarsi dalla dominazione francese vanno in scena fatti importanti”.

Ovvero?

“I leader del movimento di liberazione dell’Algeria intuiscono che, per poter liberare il proprio Paese dai francesi, avrebbero dovuto liberare la popolazione dal gioco della criminalità organizzata del proprio Paese. E’ per questo che, prima di iniziare la rivolta contro i francesi, cominciano ad eliminare, ad uno ad uno, i capi delle mafie che operavano nella Casba. La presenza di questi personaggi non consentiva il dibattito democratico tra la gente algerina. Così loro li eliminavano. I francesi, all’inizio, erano quasi contenti di quanto avveniva. Pensavano a un regolamento di conti. Invece…”.

Invece i francesi capirono troppo tardi quello che stava succedendo: magari lo capirono quando il movimento di liberazione dell’Algeria, una volta liberato il popolo dai mafiosi della Casba, cominciò a combattere contro di loro. Insomma, ci sta dicendo che l’indipendenza della Sicilia passa dalla liberazione della stessa Sicilia dalla mafia?

“E’ chiaro che è così. Anche perché in Italia la commistione tra mafia e politica è storica. Comincia con le camicie rosse di Garibaldi e non si ferma più. Oggi è in corso il processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Ebbene, non ho difficoltà a credere che la mafia abbia trattato con lo Stato italiano. Mi stupirebbe il contrario”.

Tornando alla realtà: il Fronte nazionale Siciliano che si allea con Sicilia Nazione. Funzionerà?

“Per il Fronte Nazionale Siciliano questo accordo è la perdita della propria identità politica e culturali. Perde la titolarità del progetto politico. Va verso una deriva trasformista. Un errore politico e strategico gravissimo”.

Dottore Scianò, PD e Forza Italia ormai vanno di comune accordo. Oggi Berlusconi è in Sicilia per dare l’avvio al Partito della Nazione. In questo scenario gli indipendentisti siciliani che debbono fare? Lei, ad esempio, che pensa del Movimento 5 Stelle?

“Penso che qualcosa di buono tra i grillini c’è. Danno voce a un malcontento che arriva dal profondo della società italiana. In ogni caso penso che, se vinceranno le elezioni governeranno con difficoltà”.

Questo è lo scenario nazionale. E in Sicilia?

“Guardi, lei ha citato PD e Forza Italia. Due formazioni politiche che guardano alla Sicilia per i voti, non certo per risolvere i problemi della nostra Isola. Nella nostra Regione, purtroppo, dobbiamo fare i conti con l’ascarismo. Oggi sento parlare di nuovo di Gianfranco Miccichè. Che, ricordo, era presidente dell’Assemblea regionale siciliana quando è stata cancellata la Trinacria. Questo è stato un fatto gravissimo. Una perdità della nostra identità e della nostra storia”.

E dei grillini siciliani?

“Sono ragazzi di buona volontà. Ma nel loro universo, nella loro azione politica, nei loro cuori, a giudicare da quello che vedo e da quello che leggo, non c’è la Sicilia. Anche loro sono omologati al loro movimento nazionale. A tal proposito vorrei ricordare una grande lezione di politica che Palmiro Togliatti, all’indomani della seconda guerra mondiale, rifilò ai comunisti siciliani. I fatti si svolsero a Messina. Dove Togliatti andò a presiedere una riunione del suo partito. Volle ascoltare, ad uno ad uno, i dirigenti siciliani del Pci. Tutti gli parlavano male del separatismo siciliano. Tutti gli dicevano che loro erano contrari ai separatisti. Alla fine Togliatti prese la parola e disse: ma se in Sicilia ci sono tanti separatisti significa che la vostra Isola è una nazione. E voi vi mettete contro la vostra gente che guarda alla propria terra come a una nazione? Cari compagni, a sbagliare siete voi, non i siciliani. E’ il discorso di Togliatti a Messina. Ma stiamo parlando di un grande leader politico. Un gigante rispetto al suo tempo e, soprattutto, rispetto a quanto si vede in giro oggi”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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