Sanità: la recita un po’ dorotea su quattro Punti nascite della Sicilia

16 gennaio 2016

L’unica cosa certa è che la sicurezza non ha nulla a che vedere con la chiusura dei Punti nascita di Petralia, Mussomeli, Lipari e Santo Stefano di Quisquina annunciata dal governo nazionale. La chiusura, contestata dai sindaci e da alcuni parlamentari nazionali e regionali, è solo una questione di piccioli. La verità è che il governo Renzi vuole risparmiare anche su questo segmento della sanità siciliana. Le prese di posizione di Magda Culotta, Daniela Cardinale, Alessandro Pagano e della Uil di Messina  

Sulla chiusura di quattro Punti nascita della Sicilia, decisa dal governo nazionale per ‘risparmiare’ sulla salute della gente – in questo caso, per risparmiare sulla salute delle donne partorienti – si assiste a un dibattito che sembra per lo più tutto interno al centrosinistra siciliano e, segnatamente, dentro il PD. Assessorato regionale alla Salute e commissione Sanità dell’Ars si sono schierati, di fatto, con il governo nazionale (e, in particolare, con la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin). Nei territorio, invece, i dirigenti del centrosinistra si dichiarano contro i tagli dei Punti nascita.

Cominciamo con Magda Culotta, parlamentare nazionale del PD eletta in Sicilia e sindaco di Pollina, paese delle Madonie. Magda Culotta, che sulla vicenda ha presentato un’interrogazione al governo nazionale, si dichiara contraria alla chiusura del Punto nascita di Petralia Sottana:

“Registriamo – dice la parlamentare del Partito Democratico – un’apertura da parte del Ministero, anche se sono necessarie alcune valutazioni, soprattutto quando si parla di aree interne. Non si può pensare di incrementare servizi e assistenza sanitaria in un territorio, per invertire la tendenza allo spopolamento, e poi chiudere il Punto nascita e negare a chi resta la possibilità di partorire nel proprio comprensorio”.

Magda Culotta ricorda che il Ministero della salute, “a parità di condizioni, non ha concesso la deroga a Petralia, com’è successo invece con Bronte e Licata. Quello di Petralia è un ospedale strategico per tutte le Madonie. E oggi lo è maggiormente anche per tutte le problematiche legate alla viabilità, per il rischio di innevamento in inverno, ma anche per l’inserimento di tale territorio nella Strategia nazionale aree interne. La nostra non è una richiesta di deroga alla sicurezza. Non lo è mai stata”.

La parlamentare e sindaco di Pollina, nel suo comunicato, riporta la posizione espressa dal sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, secondo il quale “il Ministero ha effettuato un’attenta analisi su dati e numeri”, precisando le 342 interruzioni di gravidanza del 2014, a fronte dei 129 parti, sono legati soprattutto alla “lontananza e alla discrezione che garantisce l’ospedale di Petralia”, che in questo caso raccoglierebbe l’utenza di un territorio molto più vasto. Il sottosegretario ha rimarcato che “il parere contrario è stato espresso all’unanimità dal comitato percorso nascita”, ma ha aggiunto: “Ove la Regione ritenga sottoporre ulteriore documentazione a supporto del mantenimento del Punto nascita, sarà cura del Ministero verificarla con il comitato per valutare le richiesta di deroga”.

“Bisogna partire proprio da questa apertura – commenta Magda Culotta, che chiama a raccolta tutti i sindaci e gli attivisti del comitato Pro Petralia – per continuare la battaglia e rispondere all’appello del Ministero attraverso la Regione”.

Dalle Madonie la ‘recita’ si sposta a Mussomeli, in provincia di Caltanissetta. I protagonisti sono due parlamentari nazionali della maggioranza renziana: Daniela Cardinale (la figlia dell’ex Ministro, Totò Cardinale) e Alessandro Pagano, di Area popolare (cioè dell’asse Nuovo Centrodestra Democratico-UDC). Di scena è l’ospedale ‘Longo’, che dovrebbe perdere il Punto nascite. Anche in questo caso le cronache registrano un atto ispettivo a firma dei due deputati nazionali eletti in Sicilia, entrambi nisseni Daniela Cardinale e di Mussomeli, mentre Alessandro Pagano è originario di San Cataldo).

“Il punto nascita di Mussomeli – dicono i due parlamentari – copre un ampio bacino che comprende i Comuni di 3 province, ovvero Caltanissetta, Agrigento e Palermo e precisamente Mussomeli, Montedoro, Bompensiere, Milena, Sutera, Vallelunga, Villalba, Campofranco, Acquaviva, San Giovanni Gemini, Casteltermini, Valledolmo, Castronovo, Lercara Friddi, paesi tutti arroccati sulle montagne e con un territorio geologicamente instabile”.

Il Ministero della Salute, si legge nell’interrogazione presentata dai due parlamentari nazionali, “ha emanato un decreto con il quale si stabiliva la chiusura di alcuni Punti nascita nella regione Sicilia e nello specifico quelli degli ospedali di Bronte, Licata, Mussomeli, Linosa, Petralia, Alimena, Blufi, Bompietro, Castellana Sicula, Gangi, Geraci Siculo, Petralia Soprana, Polizzi Generosa, Santo Stefano Quisquina, Lipari, Cefalù”.

I due deputati richiamano “l’accordo Stato-Regione del 16 dicembre 2010, che ha previsto il quadro normativo nel contesto del quale si inserisce la riorganizzazione del percorso di nascita”. Tale accordo… aveva individuato, come volume minimo di attività dei Punti nascita, quello corrispondente ad un numero di parti uguali o superiori a 500 all’anno, fatte salve talune deroghe motivate da criticità di difficile risoluzione e fa riferimento al numero degli abitanti della Regione, in Sicilia circa 5 milioni, per prevedere un numero di presidi di II livello (HUB), compresi in un numero tra 8 e 10. I presidi di I livello, invece, sarebbero compresi in un numero tra 20-25, inclusi i Punti Nascita”.

Per la precisione, ricordiamo che le società internazionali che operano in questo settore della sanità hanno stabilito che il numero minimo di parti per consentire la sicurezza di un Punto nascita è di mille parti all’anno e non di 500 parti, che è un numero che il Ministero della salute italiano si è inventato di sana pianta. I mille parti all’anno dovrebbero garantire la manualità necessaria ai medici di questo settore per potere operare con una certa sicurezza. Una sicurezza che può comunque essere garantita con un modesto investimento che in un ospedale pubblico non costerebbe, tra medici e strutture, non più di 300 mila Euro all’anno. Il problema è che lo Stato questi soldi li vuole risparmiare sulla pelle dei siciliani.

Cardinale e Pagano si chiedono quello che, in realtà, si chiedono tutti in Sicilia: ovvero per quale ragione il Ministero abbia concesso la deroga alla chiusura dei Punti nascita per i Comuni di Cefalù, Bronte e Licata, “e non ha adottato lo stesso non ha fatto per altri tra i quali il Punto nascita di Mussomeli”.

Secondo Daniela Cardinale e Alessandro Pagano, il Ministero avrebbe dovuto rilasciare un analogo provvedimento per il Punto nascite di Mussomeli, “in virtù della precarietà cronica della viabilità che rende difficili i collegamenti con il territorio e che potrebbe essere motivo di inadeguatezza dell’assistenza sanitaria per l’ampiezza del bacino di utenza. Da parte dell’opinione pubblica – concludono i due parlamentari nazionali – c’è il sospetto che le scelte non abbiano tenuto conto del diritto costituzionale alla salute dei cittadini, così come invece si è manifestato nelle scelte a vantaggio di Bronte e Licata”. E di Cefalù, aggiungiamo noi.

Da Mussomeli a Lipari, nelle isole Eolie, dove, di fatto, lo Stato ha deciso che non si dovrà più nascere. Chiudendo questo Punto nascite, infatti, le donne delle isole Eolie dovranno andare a partorire in Sicilia.

Sulla vicenda intervengono i rappresentanti Uil-Fplfirmcon una nota firmata dal segretario provinciale di Messina, Pippo Calapai e dal segretario aziendale sempre di Messina, Salvatore De Gregorio. La nota la leggiamo sul quotidiano on linea Tempo stretto.

“Il Presidio Ospedaliero di Lipari da sempre rappresenta un importante punto di riferimento per l’intero arcipelago eoliano – si legge nella nota diramata da Uil-Fpl -. Le isole, infatti, rappresentano un contesto di particolare complessità per tutta la sfera sanitaria e uno dei punti di massima criticità del  Servizio Sanitario Nazionale che, nella specifica realtà delle isole minori, viene accentuata dalla distanza dalla terraferma, dalle difficoltà a garantire collegamenti stabili, soprattutto nel corso delle stagione invernale che rende alquanto aleatorio il termine di distanza e quindi la realizzazione del diritto alla salute che deve essere garantito a tutti i cittadini. Per questi motivi riteniamo sconcertante la decisione di chiudere il Punto nascita di Lipari, soprattutto dopo le rassicurazioni dei mesi scorsi, da parte della Regione,  sul suo mantenimento”.

“Il provvedimento – proseguono i due sindacalisti – lascia  presagire un lento e gravissimo progressivo smantellamento, un pezzo per volta, del Presidio Ospedaliero. La gravissima decisione , assunta in nome della sicurezza, oltre a negare il diritto alla nascita, espone inoltre le circa 120 gravide annue delle isole ai maggiori rischi legati a trasferimenti in urgenza che, a causa delle frequenti avversità meteo, non sono sempre realizzabili”.

Per i due sindacalisti, il mantenimento del Punto nascite di LIpari è “una necessità inderogabile”, perché la chiusura di questo presidio sanitario “causerebbe numerosi disagi più o meno gravi”. Una chiusura, aggiungono i due sindacalisti della Uil che si pone “in contrasto con il Progetto pilota per l’ottimizzazione dell’assistenza sanitaria nelle Isole Minori e nelle località caratterizzate da difficoltà di accesso”.

“Sulla base di quando evidenziato chiediamo – conclude la nota dei due sindacalisti – il mantenimento delle UUOO di Ostetricia/Ginecologia, con nido percorso nascita/parto con doppio binario, prevedendo la gestione in loco dei casi a bassa complessità (gravidanze fisiologiche) e il trasferimento in Presidi a maggiore complessità (II° – III° Livello) delle gravidanze a rischio, in deroga a quanto previsto dall’accordo Stato–Regioni del 16.12.2010, garantendo la presenza dei requisiti e degli standard di qualità e della sicurezza  previsti per il I° livello di ostetricia/neonatologia del citato accordo”.

Resta il Punto nascita di Santo Stefano di Quisquina, in provincia di Agrigento, assicurato fino ad oggi dalla casa di cura ‘Attardi’. A difenderlo, finora, è stato il parlamentare regionale Giovanni Panepinto. Ricordiamo che, anche in questo caso, si tratta di un’area collinae e montuosa interna della provincia di Agrigento.

P.S.

Che dire, alla fine? Che la chiusura di questi quattro Punti nascita è solo una questione di soldi, cioè di piccioli, come si usa dire in Sicilia. Con lo Stato – leggere il governo Renzi – che non vuole garantire alla Sicilia nemmeno i 2,2 miliardi di Euro che eroga ogni anno per la sanità siciliana. Per la cronaca, lo Stato – su una spesa teorica di 9,2 miliardi all’anno circa: tanto dovrebbe costare la sanità siciliana – non eroga il 50 per cento (cioè 4,5 miliardi di Euro circa), come scritto nei documenti ufficiali, ma, per l’appunto, solo 2,2 miliardi di Euro. La ‘novità’ è che gli sembrano troppi anche questi soldi. Da qui il tentativo del governo Renzi di ‘risparmiare’ sulla pelle delle donne partorienti della Sicilia. Il resto sono chiacchiere.  

Di fatto, il batti e ribatti tra Sicilia e Roma sui Punto nascite sembra un gioco delle parti dal sapore un po’ democristiano, scuola dorotea: io, PD romano, dico che ti chiuso il Punto nascite, tu PD locale fai una battaglia politica e sociale, alla fine lasciamo aperto il Punto nascite e, insieme, abbiamo trasformato un diritto della popolazione in una ‘concessione’ del governo nazionale per intercessione del PD locale… Finirà così?

 

 

 

 

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