Storia & Controstoria

La grande ed eroica resistenza di Gaeta 100 giorni contro gli invasori e criminali piemontesi

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  • Inizia il cannoneggiamento 
  • Il coraggio degli ufficiali del Regno delle Due Sicilie 
  • Quando cadevano sotto il fuoco nemico esclamavano “Viva il re”. Il re vero, il Re delle Due Sicilie, ovviamente, non certo gli sgarrupati Savoia!
  • La Regina Maria Sofia tra i soldati che combattono 
  • Scoppia l’epidemia di tifo
  • A 16 anni con quattro cannoni 
  • La gloria va ai vinti costretti ad arrendersi per mancanza di viveri non certo per la forza dei miserabili e criminali piemontesi 

Inizia il cannoneggiamento 

22 gennaio 1861: GRANDE E GLORIOSA GIORNATA IN GAETA – Alle nove, un colpo di cannone dalla batteria Regina ha dato il segnale e in un istante, contemporaneamente, da tutte batterie del fronte di terra si è iniziato a cannoneggiare con spaventoso fracasso. Il nemico ha risposto subito con le sue quindici batterie. In poco tempo la loro batteria posta dietro i Capuccini, a 1500 metri, cioè la più vicina, è stata ridotta al silenzio. Due o tre batterie nemiche del fronte di mare si sono unite a quelle di terra . I cannoni di Gaeta, allora, si sono rivolti verso queste altre posizioni nemiche con fuoco imponente. Le palle di cannone e le granate hanno colpito una fregata e due cannoniere e un cannone rigato è scoppiato su una delle navi e così la squadra navale ha dovuto indietreggiare fuori dalla portata dal fuoco dei nostri. Le navi si sono dirette poi verso monte Orlando ma colpivano le rocce più sovente che le batterie; poi ancora ritornavano ma tutti i loro colpi cadevano in mare suscitando l’ilarità degli artiglieri napolitani. Alle cinque di sera, su ordine del Sovrano, per far riposare gli artiglieri e i pezzi arroventati dopo otto ore di fuoco, il fronte di terra ha cessato di cannoneggiare e lanciato granate mentre gli assedianti hanno continuato a bombardare fino a notte inoltrata. La squadra marina si è allontanata col calare del buio raggiungendo la rada di Mola.

 

Il coraggio degli ufficiali del Regno delle Due Sicilie 

Nello spazio di otto ore la piazza ha lanciato circa undicimila colpi con notevole precisione . Si stimano fra gli undici o dodici mila, i proiettili di ogni specie lanciati dagli assedianti. Le nostre perdite contano una ventina di morti, fra cui il Maggiore Solimene, comandante la batteria Sant’Antonio, e centodieci feriti. Il capitano De Filippis, comandante la batteria Dente di Sega Sant’Antonio, è stato ferito sette volte, nessuna ferita con pericolo di morte; i suoi abiti sono ridotti a piccoli brandelli. La sola batteria Regina ha tirato più di duemila colpi e conta 29 feriti e 2 morti. Qui, i proiettili nemici sono arrivati in tale quantità che per più di 50 volte pietre e terra sono penetrate fin nelle nostre casematte. Alcuni civili sono morti fra cui una donna che stava allattando il suo piccolo. 12 o 15 affusti sono stati distrutti e due cannoni messi fuori uso. Quattrocento camicie destinate ai malati sono bruciate nel vecchio ospedale di San Francesco; una perdita enorme dato la scarsità dei rifornimenti. Il fuoco vicino alla polveriera San Giacomo, che rischiava di saltare , è stato prontamente spento. Ufficiali e soldati hanno adempiuto al proprio dovere in maniera ammirevole. Tutti si sono prodigati solerti con sprezzo del pericolo, anche quelli che non erano di servizio in questo giorno. Difficile citare chi si è meglio distinto. Non posso tuttavia dispensarmi dal raccontare che per tutto il giorno il Generale Riedmatten si è esposto con abnegazione magnifica; non vi è batteria che non abbia visitato sotto il fuoco più violento e dove non si sia fermato con imperturbabile sangue freddo. Il Colonnello Ussani, il luogotenente-colonnello Nagle, che comanda le batterie Philistad, hanno offerto agli ufficiali subalterni e agli artiglieri, nobilissimi esempi di coraggio e bravura.

 

Quando cadevano sotto il fuoco nemico esclamavano “Viva il re”. Il re vero, il Re delle Due Sicilie, ovviamente, non certo gli sgarrupati Savoia!

Quando è stato comunicato ai marinai accasermati presso la nostra casamatta di portarsi alle loro batterie, si sono slanciati come se andassero a una festa, esclamando “Viva Dio, Viva il Re”. Il mio sbalordimento era al colmo. Nel momento in cui uno di loro veniva colpito, egli di nuovo e ancora, cadendo, esclamava “Viva o’ Re”. I compagni agitavano in aria il beretto o il proprio rosario e ripetevano “Moriremo tutti per una santa causa”. La musica degli 8° e 9° battaglioni dei Cacciatori, posti allo scoperto sulle batterie del fronte di mare, ha suonato l’Inno borbonico, che è l’inno nazionale, e valzer e tarantelle. Il suono degli strumenti deve essere giunto fino ai bastimenti piemontesi. Su un’altra batteria di mare si ballava con lo stesso brio come nelle notti fragranti di Partenope. Era un delirio sublime. Eppure questa coraggiosa gente ha avuto la propria razione di pane e formaggio solo la sera alle cinque. L’entusiasmo doveva sgorgare di certo dal profondo dei cuori.

 

La Regina Maria Sofia tra i soldati che combattono 

La regina bruciava della voglia di salire sulla batteria Ferdinando e il Re rifiutava di acconsentire; si è rivolta al Generale barone Schumaker che ha sostenuto la sua richiesta presso il Re e ha ottenuto il permesso, sotto la propria responsabilità. Maria Sofia è stata accolta dai cannonieri con clamorose manifestazioni di affetto. Una granata piemontese, caduta in mare sotto lo spalto, ha provocato un’onda altissima e spumeggiante lasciando ai piedi della Regina pesci argentati. Davanti a un’altra batteria , una granata è sprofondata nel mare gettando sulla riva una grossissima spigola. A dispetto del fuoco nemico, un marinaio di nome Falconiere, è sceso lungo il parapetto fino alla riva e, in barba ai Piemontesi che sganciavano i loro proiettili, è risalito con il pesce. La “spinola” è stata offerta al Re che l’ha offerta alla corte… Si ignorano le perdite degli assedianti ma devono essere molto più cospicue delle nostre… La giornata del 22 gennaio riscatta tutti i tradimenti passati di una parte dell’armata napoletana; è degna di essere incisa in caratteri d’oro negli annali del Reame delle Due Sicilie; farebbe onore alle più grandi nazioni militari d’Europa. Coloro che non credevano al sublime, ci credono dopo essere stati testimoni di questo giorno di combattimento . … Io dico che la città potrà essere obbligata alla resa per mancanza di viveri e munizioni ma non sarà vinta…

 

Scoppia l’epidemia di tifo

25 gennaio 1861 – Scoppia l’epidemia di tifo in Gaeta. 93 soldati contagiati sono ricoverati all’ospedale di Santa Caterina e tredici muoiono lo stesso giorno. Il 26 gennaio un altro centinaio di soldati sono affetti dal tifo; in tutto ci sono ottocento soldati ricoverati, la stessa cifra che c’era prima del trasporto, il 19 gennaio, di 250 feriti in Terracina. Il 27 gennaio altri 69 malati di tifo; ne muoiono quattro. Anche il farmacista dell’ospedale Santa Caterina muore di tifo quest’oggi. Ogni sera odo i marinai vicino alla nostra casamatta recitare il rosario. Le loro divise sono ormai stracci, le loro facce mostrano i segni delle privazioni , fame e sfinimento ; non è un bello spettacolo vederli così ridotti ma sono fiduciosi e si battono come leoni.

 

A 16 anni con quattro cannoni 

11 febbraio: Ho incontrato questa sera su una batteria di cui non ricordo il nome un sottoluogotenente di 15 o 16 anni che serviva da solo con due uomini quattro cannoni caricando puntando e tirando con rabbia. Questo bravo e coraggioso ragazzo fa di nome Rossi. Ha un fratello che come lui si è distinto durante tutto l’assedio.

 

La gloria va ai vinti costretti ad arrendersi per mancanza di viveri non certo per la forza dei miserabili e criminali piemontesi 

12 febbraio: In piedi sono rimaste soltanto tre suore di carità , le altre sono gravemente malate. I poveri feriti e ammalati mancano del soccorso necessario. E la maggior parte degli amputati muoiono. Si trovano ormai negli ospedali più di mille feriti e malati di tifo. Appena la metà delle batterie sostengono il fuoco. Sanno che l’eroismo diventa vano ma ciascuno compie il proprio dovere. Si continua a combattere soltanto per morire. Si muore semplicemente , oscuratamente. I nomi di queste vittime rimarranno quasi tutti sconosciuti ma la coscienza è soddisfatta… Gli assedianti hanno sparato più di sessantamila proiettili in due giorni, sessantamila proiettili tra la richiesta della capitolazione e la firma. Le vittime di questi sessantamila proiettili gridano vendetta contro Cialdini. Alle quattro abbiamo risentito una scossa come di terremoto e una detonazione agghiacciante ha squarciato echi della montagna: la grande riserva di polvere posta nella batteria Transilvania colpita dalle palle dei cannoni rigati era esplosa , nello stesso momento la batteria Malpasso , la batteria Picco Malpasso venivano lanciate in aria e ricadendo creavano una vasta voragine. Ufficiali , artiglieri, cannoni , tutto è sparito. La morte ha colpito fino a una lunga distanza dal luogo del sinistro. Per il colmo della disgrazia la bomba è penetrata nell’ospedale dell’Annunziata e ha ucciso i malati. Si chiederà, ora, se l’onore è salvo? Da molto tempo l’onore è salvo. Per i tanti bravi che hanno sofferto accettando la morte con inalterabile resistenza e grandiosa semplicità, per una città che si è difesa per cento giorni con risorse esigue, sproporzionate rispetto a quelle vantagiose del nemico, io, straniero, semplice testimone, affermo che l’assedio di Gaeta ha scritto una delle pagine più ammirevoli della storia contemporanea. La gloria è non dei vincitori ma per i vinti e ogni uomo di cuore si inchinerà con rispetto davanti a questa guarnigione come davanti a Maestà Regali.

Eroi della propria Patria, conosciuti da Cristo – Tratto da Journal du Siége de Gaete par Charles Garnier  

Foto tratta da Vesuvio Live

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