Agricoltura

La siccità ha ridotto la produzione il grano duro di Sud e Sicilia. Gli allevatori (carne e latte) in questo momento lavorano in perdita

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  • E’ vero, il grano duro per ora si vende a 57 euro al quintale in Puglia e a 53 euro al quintale in Sicilia. Ma i costi di produzione e le basse rese causa siccità rendono tale coltura diseconomica 
  • Quest’anno la produzione di grano duro nel Sud e in Sicilia, in media, è inferiore del 30% rispetto al 2021 e del 60% rispetto al 2020
  • Chi oggi in Sicilia alleva animali da carne lavora in perdita a causa dell’aumento dei costi di produzione
  • Lo stesso discorso vale per chi produce latte. Stato e Regioni faranno qualcosa? 

E’ vero, il grano duro per ora si vende a 57 euro al quintale in Puglia e a 53 euro al quintale in Sicilia. Ma i costi di produzione e le basse rese causa siccità rendono tale coltura diseconomica 

Tutti concentrati sulla guerra in Ucraina, sulla tesi ufficiale del grano ucraino che non riesce ad essere esportato perché così vuole la Russia (un falso: a riempire di mine i porti ucraini sono stati i militari ucraini e ora non possono esportare il loro grano via mare per evitare di saltare in aria), sulla crisi del grano mondiale causata dalla guerra in Ucraina (non è così, l’Ucraina è l’ottavo produttore al mondo di grano, il vero problema è la siccità che sta riducendo per il secondo anno consecutivo la produzione mondiale di grano) eccetera eccetera eccetera. Poi ci sono, invece, i problemi reali: per esempio, i problemi di chi produce grano duro nel Sud e in Sicilia tra aumento dei costi e basse produzioni e i problemi della zootecnia travolta dall’aumento dei cost di produzione. Proviamo a illustrare come stanno le cose.

Quest’anno la produzione di grano duro nel Sud e in Sicilia, in media, è inferiore del 30% rispetto al 2021 e del 60% rispetto al 2020

Cominciamo con il grano duro, gloria e vanto del Sud Italia e della Sicilia (Puglia e Sicilia sono, rispettivamente, la prima e la seconda regione italiana nella produzione di grano duro). Scrive Roberto Carchia, agronomo, grande conoscitore del mondo del grano duro del Mezzogiorno italiano: “Giù le mani dai Redditi dei Lavoratori Agricoli. Grave Emergenza Cibo per abbandono Agricoltori: i Consumatori europei finanziano i loro produttori agricoli per produrre cibo Salubre e Sufficiente ma i soldi finiscono nelle tasche sbagliate! La campagna granaria 2022 nel Sud Italia: un Disastro! Gli agricoltori producono le eccellenze Made in Italy!
Restituite agli agricoltori i loro legittimi Redditi Agricoli dei contributi europei della Pac (Politica agricola comunitaria) affinché possano continuare a produrre il buon cibo al giusto prezzo per i Consumatori europei che li ‘finanziano’ e non fateli cadere in rovina per favorire tutti quei parassiti e speculatori che hanno sempre approfittato del mondo agricolo! Campagna grano duro 2022 in Capitanata (nota area del grano duro della Puglia ndr), Sicilia, Basilicata! In Sardegna e Molise non va meglio! -60% rispetto al 2020; -30% rispetto al 2021. Costi di produzione: più 150%( che non significa 1,5 volte in più ma tre volte in più). Con oltre il 40% delle superfici a cereali con produzioni ben al disotto di 20qli/ha quest’anno i produttori di grano duro ci rimetteranno dalle 500 ai 700 euro per ettaro! Si può capire cosa aspetta la Regione Puglia a declarare lo stato di supercalamità naturale e artificiale (prezzi insufficienti e costi altissimi!) E le professionali agricole?!”. Per la cronaca, in Sicilia gli effetti negativi della siccità provocata dai cambiamenti climatici sono maggiori nella parte orientale dell’Isola. Attenzione: questo riguarda il grano duro coltivato in convenzionale, lo scenario per il grano coltivato in biologico è molto diverso: c’è pure un aumento dei costi di produzione che non va oltre il 20%.

Chi oggi in Sicilia alleva animali da carne lavora in perdita a causa dell’aumento dei costi di produzione

Dal grano duro alla zootecnia siciliana. Comunicato della Cia Sicilia occidentale: “Aumenti che vanno dal 10 al 120 per cento e costi totali ormai insostenibili perché non più remunerativi. La zootecnia siciliana, insieme agli altri comparti dell’agroalimentare, deve misurarsi in questo periodo con un incremento delle spese che non viene compensato dall’irrisorio aumento del prezzo di vendita del bovino da macellare. Un turbine incontrollato di rialzi – senza contare i continui danni provocati dalla fauna selvatica come cinghiali e daini nei pascoli – che rischia di stritolare una parte importante dell’economia dell’Isola”. Salvatore Nasello, vicepresidente della Cia Sicilia Occidentale con delega alla zootecnia: “Nel 2021 acquistare un vitello, ingrassarlo e rispettare i protocolli sanitari costava in tutto sui 1.300 euro; si rivendeva a 1.500 pronto per la macellazione e, tolte anche le tasse, ti restavano in mano 150 euro. Quest’anno il prezzo di acquisto del vitello è passato da 700 a 750-800 euro; ingrassarlo costa sugli 800 euro contro i 600 dell’anno passato. E oggi si può riuscire a vendere a non più di 1.600: considerate le tasse, non ci si ricava più nulla. E non abbiamo calcolato le spese per il gasolio agricolo, che serve anche per la cura dei pascoli, passato dai 70 centesimi al litro del 2021 alla cifra di 1,50 euro di oggi”.

Lo stesso discorso vale per chi produce latte. Stato e Regioni faranno qualcosa? 

“Agli allevatori non va bene anche sul fronte del latte – prosegue il comunicato -. Se l’anno passato il prezzo era di 78 centesimi litro, oggi si vende a 92 centesimi, ma questo incremento se ne va tutto per coprire gli aumenti di carburanti e dell’energia elettrica per alimentare le sale da mungitura”. Camillo Pugliesi, presidente di Cia Sicilia Occidentale: “Chiediamo alla Regione ed al governo nazionale di intervenire tempestivamente con un sostegno, per consentire ai nostri allevatori di superare questi tanti ostacoli che, da soli, non possono affrontare. È in pericolo la sopravvivenza di tantissime aziende che, numeri alla mano, non riescono a creare un profitto neanche minimo dalla loro dura attività. I costi agricoli, così come certificato da Ismea un paio di settimane fa, sono lievitati di oltre il 18% in soli tre mesi, da sommare al + 6% del 2021. L’agroalimentare non si è fermato davanti alla pandemia, è il motore della nostra economia e i produttori non possono pagare da soli l’impatto della crisi internazionale dei prezzi”.

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