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Polpi, seppie, granchi e aragoste soffrono come noi: lo studio della London School of Economics che fa riflettere/ MATTINALE 496

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  • E’ un articolo che fa riflettere, quello di ‘greenMe’ che stiamo riprendendo. Ci fa riflettere sulla nostra alimentazione che, spesso, si fonda sulla sofferenza di altri esseri viventi
  • Negli anni ’70, a Sciacca, la notte, nelle secche di Capo San Marco, pescare i polpi era normale
  • I primi dubbi leggendo i libri di Zootecnia
  • Il dolore – e l’inquinamento – degli allevamenti intensivi di animali, vere e proprie vergogne

E’ un articolo che fa riflettere, quello di ‘greenMe’ che stiamo riprendendo. Ci fa riflettere sulla nostra alimentazione che, spesso, si fonda sulla sofferenza di altri esseri viventi

“Svolta storica nel Regno Unito! Polpi, aragoste e granchi riconosciuti come esseri senzienti”, titola greenMe, il magazine di benessere, alimentazione e salute naturale, green living, turismo sostenibile. E’ un articolo che fa riflettere, quello che stiamo riprendendo. Ci fa riflettere sulla nostra alimentazione che, spesso, si fonda sulla sofferenza di altri esseri viventi. Lo sappiamo: in tanti non amano questi argomenti: semplicemente, preferiscono non pensarci. Rimozione e basta. Però nascondere sotto il tappeto una questione che – almeno per alcuni di noi – teniamo nella nostra anima, ora nascosta, ora un po’ meno invisibile non dà risposte alle domanda che ci portiamo dentro. Non tutti, sia chiaro. Né si pretende che tutti si debbano adeguare a chi riflette sugli animali che finiscono nelle nostre tavole. Scrive greenMe: “Polpi, granchi e aragoste provano sofferenze. A riconoscerlo, finalmente, è il Governo del Regno Unito, che ha annunciato che inserirà queste creature marine nell’elenco degli esseri senzienti da tutelare nel disegno di legge sul benessere animale”. A tale argomento ha lavorato un nutrito gruppo di scienziati della London School of Economics. In questo studio si sostiene che, dopo prove scientifiche inoppugnabili questi animali provano dolore. “Nel report – leggiamo sempre nell’articolo – si chiarisce che i cefalopodi (come polpi, calamari e seppie) e i decapodi (tra cui granchi, aragoste e gamberi) sono in grado di provare dolore e, di conseguenza, dovrebbero essere trattati come esseri senzienti al pari dei vertebrati (già oggetto di tutela nell’Animal Sentience Bill)”.

Negli anni ’70, a Sciacca, la notte, nelle secche di Capo San Marco, pescare i polpi era normale

Per noi non è facile trattare questo argomento. Chi scrive è originario di Sciacca dove la pesca è una delle principali attività della città. O almeno lo era negli anni ’70 e negli anni ’80 del secolo passato. Pesca come attività economica, ma anche pesca come attività di ogni giorno, a prescindere dal lavoro. La pesca dei polpi, la sera e le notti, nelle secche di Capo San Marco, o dalle parti del Sovareto, o ancora, tra gli scogli e gli anfratti ‘a ‘u Puntazzu, a Sciacca, negli anni ’70 era una consuetudine. Per chi aveva la barca e le reti, la pesca di calamari e seppie da Aprile a Giugno, era normalissima. I gamberi li pescavano e li pescano i pescherecci. La stessa cosa per i granchi. Le aragoste, già negli anni ’70, erano una rarità. Al mercato ittico si vedevano raramente. Forse perché, se le pescavano, erano già prenotate. Le aragoste si vedevano – ma sempre raramente – tra i pescatori artigianali ‘a ‘u Stazzuni, dove abitavamo. Ci siamo mai fermati, allora, a riflettere sulla sofferenza che provocavamo a questi animali marini? L’ammettiamo: no. La vita scorreva veloce e spensierata. Non potete immaginare quanti ricci si pescavano in quegli anni a due metri di acqua, tra gli scogli e i banchi di Posidonie, che a Sciacca si chiamano ‘i cippi.  

I primi dubbi leggendo i libri di Zootecnia

Abbiamo cominciato a riflettere sulla sofferenza animale leggendo i libri di Zootecnia generale, di Zootecnia speciale, alimentazione del bestiame, Igiene zootecnica, Zoognostica. Qualche dubbio -erano i primi anni ’80 – cominciava a sorgere. Nella prima metà deli anni ’80 chi scrive svolgeva già l’attività di giornalista. spesso mi capitava di scrivere di Zootecnia. Il dubbio ha cominciato a farsi strada nei nostri pensieri quando c’era da affrontare il tema degli allevamenti da carne. C’erano già gli allevamenti intensivi e abbiamo visto e raccontato di tutto. Quando ci toccava visitare un allevamento da carne intensivo l’angoscia cominciava due tre giorni prima. A un certo punto abbiamo informato il giornale di Bologna per il quale collaboravamo che non ci saremmo più occupati di Zootecnia. A onor nel vero, nella seconda metà degli anni ’80, quando per impegni di lavoro abbiamo abbandonato un po’ l’agricoltura, non conoscevamo la sofferenza che veniva ‘comminata’ agli animali: polli, maiali e perfino ai bovini. Oggi è tutto più chiaro: oggi sappiamo non soltanto della sofferenza immane alla quale vengono sottoposti soprattutto i polli e i maiali, ma anche dell’inquinamento che questi folli allevamenti intensivi provocano nell’ambiente, dalla Lombardia all’Emilia Romagna, per citare due Regioni particolarmente ‘vocate’ in questa scienza della sofferenza generale: sofferenza impartita agli animali, sofferenza dell’ambiente, sofferenza trasferita anche all’uomo, che diventa vittima dell’inquinamento.

Il dolore – e l’inquinamento – degli allevamenti intensivi di animali, vere e proprie vergogne

La verità è che gli allevamenti intensivi di animali le cui carni finiscono sule nostre tavole hanno perso il contatto con la natura. Non c’è nulla di naturale negli allevamenti intensivi. Solo la speculazione li tiene legati all’agricoltura per motivi economici e fiscali. Incredibile, semplicemente incredibile quello che continua a succedere in Italia con la Soccida, un contratto agrario di fatto utilizzato in un’attività industriale altamente inquinante per motivi economici e fiscali. Bravissimi i nostri amici del Nord Italia sempre alla ricerca di denaro facile… L’Unione europea – che di cose sbagliate ne fa tante, e noi le denunciamo spesso – sta lavorando alla ‘bistecca artificiale’: la carne prodotta artificialmente senza più bisogno di uccidere animali. Anche a noi, tale notizia, ha fatto una certa impressione. Certo, indietro per riparare ai nostri comportamenti del passato non possiamo tornare, almeno per chi pensa – e noi siamo tra questi – che gli animali marini e terrestri andrebbero trattati un po’ meglio e, forse, lasciati in pace. Però forse è giunto il tempo di riflettere sul mondo animale. Sulle abitudini che ci portiamo dietro da bambini. Si può anche cambiare.

Foto tratta da I Miei animali       

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