Terza pagina

Il fuoco della passione, sovrana incontrastata del tempo, nella poesia lunga un romanzo di Gabriel García Márquez

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  • L’autrice di questo articolo racconta uno dei libri più famosi dello scrittore sudamericano, “L’amore ai tempi del colera”
  • L’ossessione platonica di Florentino Ariza 
  • “… una carezza di pietà della clessidra del tempo, dopo cinquantatrè anni, sette mesi e undici giorni…”
  • La “Dea incoronata” Fermina Daza

di Sara d’Angelo

L’autrice di questo articolo racconta uno dei libri più famosi dello scrittore sudamericano, “L’amore ai tempi del colera”

“Cinquantatrè anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese”. Il tempo scorre nelle pieghe dell’anima, maestro di pazienza, allievo di una lunga attesa, conta così poco la ruota svizzera del giorno e della notte, che si sfiniscano pure le ore madide del sudore ansioso di raggiungere il compimento. Il premio Nobel Gabriel García Márquez solennizza la letteratura con una poesia lunga un romanzo. Un effluvio di nobili respiri alita sopra la storia, nebbia fitta sui nomi, polvere di miopia sulla voce narrante. Si chiama cenere lo spazio di tempo testimone del fuoco della passione, sovrana incontrastata del suo tempo. Quanto sa essere remissivo il piano di disordine di un amore nella tempesta dei suoi ardimenti. Florentino Ariza, poeta e proprietario della Compagnia fluviale dei Caraibi, innamorato della bellezza in dote di Fermina Daza, una rosa ospite di un angelico giardino a lui proibito. Il giovane poeta sfamato da una malinconia ingorda vive del suo strazio dal primo momento in cui consegna l’eternità alla “Dea incoronata”, ombra assidua di ogni suo passo, un fuggevole sguardo. Ore di sole e ore di luna a vegliare l’immagine di quel viso che ha sedotto il suo destino, notti insonni a scrivere centinaia di lettere, parole morte sul talamo di pagine e muti silenzi, testimoni della sua passione.

L’ossessione platonica di Florentino Ariza 

Un’ossessione platonica divora Florentino Ariza inghiottito dal vortice ambiguo del piacere, cerca e trova l’amore fasullo in donne che appagano istanti, l’eternità appartiene a Fermina Daza, la sua perla preziosa. Tante donne, nessuna donna, corpi di carne voluttuosa con l’urgenza di sfamare il momento, lasciando in astinenza l’eterno. “Pover’uomo” lo chiama lei, povero di vita lo diventa quando Fermina sposa il dottor Juvenal Urbino, sigillo di certezze per un futuro da donna riverita nella società. Pover’uomo Florentino Ariza, ostaggio privilegiato del suo amore. La corrente del fiume della sua pena lo trascina in una vita parallela a quella della “Dea incoronata”, per anni dividerà il suo letto con la speranza di condividere il sonno con il sogno della sua vita, lei, Fermina Daza. La speranza all’alba, la disperazione al tramonto, l’equilibrio mentale di Florentino Ariza è costantemente interrogato da risposte alle domande che non avrà mai, infinito appare il tempo, avara è la distanza che lo separa dal suo tesoro incontaminato. Non è ancora morte, non è mai stata vita, Florentino Ariza inventa ore da riempire con folle di donne e chilometri di lettere. È un poeta vittima del suo immenso sentire, un’oasi disabitata da voci gemelle del rumore per concedersi all’ascolto di sè, privilegio o disgrazia delle anime rare. È qui che trova terreno fertile il colera dell’amore, morbo esistenziale che ha logorato l’anima senza epoca di Florentino Ariza ed epidemia mortale, flagello dei Caraibi di fine Ottocento.

“… una carezza di pietà della clessidra del tempo, dopo cinquantatrè anni, sette mesi e undici giorni…”

Il suo è il valore di un uomo fedele a se stesso mai accusato di adulterio nei confronti della speranza, sua sposa. La morte improvvisa del dottor Juvenal Urbino tuona come una carezza di pietà della clessidra del tempo, dopo cinquantatrè anni, sette mesi e undici giorni è pronta a concedere a Florentino Ariza ore nuove, fino a quel momento soltanto nella solitudine sublimate. Le rughe solcano tutte le pieghe del corpo, la pelle è stanca del suo roseo colore, la memoria inghiottita in un vortice di immagini dal nome “ieri”. Il pensiero ha le scarpe sbagliate, un passo in avanti e cento indietro, ammaliante attrazione del ricordo. La “Dea incoronata” è nuda di un marito vivo per troppo tempo, “adesso” è scritto nel calendario rinvigorito dall’annuncio luttuoso. Mezzo secolo è stato derubato del velluto della sua primavera, la linfa appassita non rinuncia all’appuntamento scritto nel quaderno vecchio sì, ma dalle pagine vergini, in attesa di inebriarsi dentro profumati respiri e centimetri di pelle inesplorata. Dalla morte alla vita la resurrezione è possibile. Cumuli di cenere in attesa di esibirsi con zampilli di passione in un tuffo dentro l’ atmosfera paziente ma mai, mai disperata.

La “Dea incoronata” Fermina Daza

Un secolo diviso in due avvicina due distanze ingombrate da pesanti valigie di una memoria intatta, cristallizzata dentro un rifugio protetto da una chiave d’orgoglio. I colori, l’odore sensuale delle mandorle amare a ricordo “degli amori contrastati”, adesso non vestivano più le pareti impenetrabili della nostalgia, dove ogni senso è sigillato dentro un guscio crepato da rughe concepite dal dolore.
Il “pover’uomo” Florentino Ariza e la “Dea incoronata” Fermina Daza si ritrovano senza essersi mai persi, l’uno di fronte all’altra, ognuno straniero nella vita dell’altro ma da cinquant’anni in simbiotica intimità con la complice brezza delle loro anime. Per celebrare l’amore nessun tetto di tegole a fare da paravento allo sguardo benevolo del cielo, lo specchio del fiume dalle acque clementi alle vibrazioni dei sensi accoglie un battello incaricato di partire per un viaggio senza ritorno, destinazione “Tutta la vita”. “Entrambi erano intimiditi, senza capire cosa facessero così lontani dalla loro gioventù sulla terrazza a scacchi di una casa di nessuno ancora odorosa di fiori da cimitero. Per la prima volta erano l’una di fronte all’altro a così breve distanza e con abbastanza tempo per vedersi con serenità dopo mezzo secolo, ed entrambi si erano visti com’erano: due anziani braccati dalla morte, senza nulla in comune, a parte il ricordo di un passato effimero che non era più loro ma di due giovani scomparsi di cui avrebbero potuto essere i nonni. Lei pensò che lui si sarebbe infine convinto dell’irrealtà del suo sogno, e che questo l’avrebbe redento della sua impertinenza”.

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