Con la precisione di un’equazione chimica, con l’arrivo dei Democratici alla Casa Bianca nel mondo cominciano a spuntare guerre e colpi di Stato. In Siria si vocifera di un nuovo ‘export’ di democrazia, mentre nella ex Birmania, oggi Myanmar, i soliti generali si sono sbarazzati della democrazia per prendere il potere. Comincia, insomma, ad essere sempre più chiaro il perché è stata a tutti i costi voluta la sconfitta di Donald Trump che, ricordiamolo, ha preso quasi 75 milioni di voti veri, mentre il ‘vincitore’ – Joe Biden – ha vinto con i voti ‘postali’ e nonostante i ricorsi di sei Stati per violazione della Costituzione di uno Stato. Su quello che sta succedendo non soltanto nella ex Birmania, ma anche nel resto del mondo abbiamo chiesto un commento al nostro Economicus, che negli ultimi tempi è stato un po’ ‘ammaccato’ (è noto che nel Regno Unito c’è un po’ di ‘casino’ con la pandemia). Ieri gli abbiamo inviato le domande e ha promesso che risponderà nei prossimi giorni. Intanto proviamo noi a illustrare quello che sta succedendo.
In Siria si affilano le armi. Cosa succederà non ci è dato saperlo. In queste ore l’attenzione è concentrata sulla ex Birmania, dove a manovrare tutto potrebbe essere il Paese tradizionalmente alleato dei Democratici americani: la Cina. Non è una nostra tesi e nemmeno di Economicus: il possibile ruolo della Cina nel colpo di Stato nella ex Birmania lo lascia intravedere un articolo molto informato dell’Agenzia NOVA: “Il colpo di Stato va dunque inquadrato anche, se non soprattutto, nella sua dimensione internazionale. Situato geograficamente tra due potenze regionali come Cina e India, il Myanmar è un Paese chiave per la definizione dei futuri assetti geopolitici in Asia. Soprattutto, è un Paese al quale negli ultimi anni ha guardato con attenzione il presidente cinese Xi Jinping, considerandolo un tassello chiave della maxi-iniziativa infrastrutturale della Nuova via della seta, o Belt and road initiative (Bri). Il Corridoio economico Cina-Myanmar (Cmec), in particolare, è per Pechino di fondamentale importanza per garantirsi uno sbocco nell’Oceano Indiano, per facilitare l’approvvigionamento di petrolio dal Golfo Persico (evitando il collo di bottiglia dello Stretto di Malacca) e per favorire lo sviluppo delle sue province meridionali. Centrale, in questo senso, è lo sviluppo del porto e della zona economica speciale di Kyaukphyu, città dello Stato di Rakhine destinata anche a ospitare il terminal di un oleodotto che, passando per la città di Mandalay, si allungherebbe fino a Muse, al confine con la Cina”.
Insomma, dietro quello che è stato definito il “golpe costituzionale” ci potrebbe essere la Cina. la formula “golpe costituzionale” è importante per capire come funzionano le cose nella ex Birmania. Dove i militari non sono mai andati via e dove la Costituzione riserva loro il 25% dei seggi e la possibilità – che a quanto pare hanno messo in atto – di intervenire in presenza di problemi. Qual è stato, questa volta, il problema? Le elezioni che i militari definiscono truccate. Vero? Falso? Dopo la ‘vittoria’ di Biden negli Stati Uniti con decine di milioni di voti ‘postali’ come si fa a prendere sul serio le elezioni in generale? In ogni caso, un fatto è certo: fino a quando c’è stato Trump alla Casa Bianca i generali della ex Birmania se ne stavano buoni. Andato via Trump…
Foto tratta da Sputnik Italia