Agricoltura

Da dimenticare la puntata che ‘Report’ ha dedicato al grano Senatore Cappelli!/ SERALE

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Al di là di tutte le considerazioni tecniche, c’è un dato culturale e politico insieme: la varietà di grano duro Senatore Cappelli fa parte della tradizione del Sud Italia. Per quale motivo una società del Nord Italia si deve impossessare di questa varietà di grano? Spiace che Report abbia sorvolato su questo aspetto   

Grano duro Senatore Cappelli: confessiamo che prima di scrivere l’articolo che state leggendo ci siamo presi qualche giorno di tempo per riflettere. Perché siamo rimasti colpiti – sfavorevolmente colpiti: e ci dispiace scriverlo – dal servizio che la trasmissione televisiva Report ha dedicato a questa storia. Detto sinceramente, non ce l’aspettavamo il taglio che Report ha dato nel raccontare una vicenda non esaltante. E, soprattutto, non ci è piaciuto che una trasmissione televisiva di approfondimento non abbia sottolineato un aspetto centrale: e cioè che il grano duro è una coltura del Sud Italia e che il grano duro, con i signori del Nord Italia, con i bolognesi intesta, non c’entrano proprio nulla!

NON E’ UN GRANO ANTICO – Noi ci siamo occupati più volte della ‘privatizzazione’ della varietà di grano duro Senatore Cappelli. Che non è – come ci ha fatto opportunamente notare Giuseppe Li Rosi, protagonista dell’Associazione Simenza -a un grano antico, ma una varietà frutto di una selezione massale effettuata nei primi del ‘900.

Questa varietà, selezionata dal genetista Nazareno Strampelli negli anni ’20 del secolo passato è stata ricavata a partire da grani duri magrebini. Ed è stata molto coltivata nel Sud Italia fino agli anni ’60, quando si optò per grani più produttivi e di taglia più bassa (il Senatore Cappelli supera il metro di altezza e si alletta facilmente).

Il rilancio della varietà Senatore Cappelli lo si deve alla Sardegna e, in particolare, alla famiglia di agricoltori Accalai, che ha iniziato a coltivare questa varietà negli anni ’80. Poi, piano piano, negli anni ’90 e negli anni 2000 sono arrivati gli agricoltori della Sicilia, delle Marche e di altre Regioni del Sud.

Nel 2016, quando in Italia governava il centrosinistra, è entrata in scena la più importante società sementiera d’Italia: la SIS di Bologna. E sono cominciati i problemi.

IL MONOPOLIO – Nel 2018 abbiamo intervistato il presidente di Confagricoltura Sicilia, Ettore Pottino, che proprio quell’anno aveva smesso di coltivate il grano Senatore Cappelli. A proposito della SIS, diventata ‘proprietaria’ per 15 anni di questa varietà, Pottino ci ha detto quanto segue:

“Danno il seme, ma per potere vendere il prodotto come grano duro Senatore Cappelli bisogna passare da loro. Lo ribadisco: la SIS ha creato il monopolio di questa varietà. Per quindici anni sarà così. Gli agricoltori – soprattutto gli agricoltori del Mezzogiorno d’Italia che coltivano il grano duro in biologico (il grano duro Senatore Cappelli si presta bene alla coltivazione in biologico, perché l’altezza delle spighe lo rende molto competitivo rispetto alle malerbe ndr) – sono stati penalizzati. Siamo davanti  a un’espropriazione violenta. In modo rapace i signori della SIS e la Coldiretti si sono appropriati per quindici anni di una varietà che – questo non finirò mai di ripeterlo – è patrimonio di tutta l’agricoltura italiana. Tutto questo è semplicemente incredibile” (qui trovate per esteso la nostra intervista a Ettore Pottino dove si raccontano i retroscena dell’acquisizione della varietà Senatore Cappelli da parte della SIS).

Sul grano Senatore Cappelli si è aperta una battaglia politica: associazioni, organizzazioni agricole, agricoltori si sono rivoti all’Antitrust, che ha dato ragione ai ricorrenti: da qui la multa da 150 mila euro alla SIS e il ricorso della stessa SIS al TAR Lazio.

Il pronunciamento dell’Antitrust ha cambiato il corso delle cose, perché SIS ha deciso di chiamarsi fuori in attesa del pronunciamento dei giudici amministrativi. In questo momento la SIS non ritira più il grano Senatore Cappelli e gli agricoltori sono tornati liberi di coltivare questo grano e di venderlo a chi gli pare.

A onor del vero, una completa ricostruzione di questa storia, con nomi e cognomi dei protagonisti, la racconta il Salvagente con un articolo dal titolo piuttosto diretto:

“Pasta, le qualità del senatore Cappelli e le dimenticanze di Report”.

L’articolo fa luce sui proprietari della SIS:

“Da Bonifiche Ferraresi alla Coldiretti arrivando fino a Dompé farmaceutica e la famiglia Gavio, mentre Carlo De Benedetti è uscito dalla partita nel maggio scorso”.

OPERAZIONE CREA – Il seme della varietà Senatore Cappelli è custodito dal Crea, ente di ricerca italiano che si occupa delle filiere agroalimentari che fa capo al Ministero delle Politiche agricole. Insomma, è lo Stato che custodisce oltre 500 varietà di vegetali iscritte nei registri nazionali, comprese alcune varietà di grani duri antichi.

Nel 2007 “il Crea – leggiamo su il Salvagente – aveva concesso una licenza di 9 anni per la riproduzione della semente a due piccole imprese sementiere, la Scaraia e la Selet, perché entrambe coinvolte nella riscoperta del Cappelli negli anni passati. Nel 2016, alla scadenza della licenza, però le cose cambiano: Crea indice un bando per aggiudicare una nuova licenza che sarà ‘unica ed esclusiva’, di durata più lunga, 15 anni, e valida ‘per l’intero territorio dell’Unione europea’, dando un termine perentorio ‘di 15 giorni per la partecipazione’, come scrive l’Authority nella conclusione della fase istruttoria aperta su denuncia della Confagricoltura nei confronti della SIS. Sarà infatti proprio la Società italiana sementi ad aggiudicarsi la licenza in esclusiva per riprodurre e vendere il grano Cappelli. Una notizia positiva visto che dello sviluppo di una cultivar tipicamente italiana se ne occuperà la più grande azienda sementiera italiana e non una multinazionale”.

Torniamo così il pronunciamento dell’Antitrust:

IL ‘PRIVILEGIO’ – “In base alle denuncia presentata dalla Confagricoltura e alla ricostruzione effettuata dall’Antitrust – leggiamo sempre su il Salvagente – la SIS imponeva la stipula di un contratto di coltivazione ovvero, oltre a vendere in esclusiva le sementi, imponeva la consegna di tutta la granella, il raccolto di Cappelli, che poi a sua volta rivendeva sul mercato ai pastifici. Il cerchio insomma si chiudeva e il licenziatario di un bene pubblico aveva nei fatti creato una filiera chiusa: la SIS era l’unica a vendere la semente e per di più, come scrive la stessa Antitrust, ‘facendosi forte dell’esclusiva’, esigeva la riconsegna del raccolto, una circostanza non prevista dalla licenza concessa dal Crea. Questo obbligo, scrive ancora l’Antitrust, negava all’agricoltore anche il cosiddetto ‘privilegio’ ovvero la possibilità di reimpiegare parte del raccolto per la semina dell’anno successivo”.

Sono le stesse cose che, nel 2018, ci aveva raccontato Pottino.

il Salvagente riposte una testimonianza importante:

“Un modus operandi inedito come ci assicura Giuseppe Scaraia, proprietario dell’omonima società che fino al 2016 aveva la licenza insieme alla sarda Selet: ‘Noi non abbiamo mai messo alcun vincolo contrattuale alla vendita del seme, tanto meno l’obbligo di riconsegnare il raccolto. La disdetta della licenza nel 2016 è stata improvvisa e ci ha fatto perdere un sacco di soldi: io non vado contro i mulini a vento ma è chiaro che è stato uno scippo”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Francesco Postorino, direttore generale di Confagricoltura, l’associazione di categoria che ha presentato l’esposto all’Antitrust:

“Nel contratto di affidamento Crea-SIS non c’è scritto da nessuna parte ‘filiera chiusa’ anche se, nei fatti, la vendita dei semi di Cappelli è stata gestita in questo modo: perché in questo caso SIS non stava solo sul mercato ma era il mercato stesso, violando le regole della concorrenza”.

Nella puntata di Report si fa notare che la SIS ritirava tutto il grano Senatore Cappelli e lo pagava bene: grosso modo, dovrebbe essere 60 al quintale per il convenzionale e 80 euro per il biologico. E questo – si dice nel corso della trasmissione – conveniva agli agricoltori. E ci sono anche agricoltori intervistati che confermano di essere rimasto soddisfatti dal prezzo pagato dalla SIS agli agricoltori.

Ma noi che ci occupiamo spesso di agricoltura dobbiamo precisare che il prezzo pagato dalla SIS agli agricoltori è lo stesso prezzo del grano Senatore Cappelli prima dell’arrivo della SIS.

Nell’articolo si dà la parola anche ai rappresentanti della SIS:

LA DIFESA DELLA SIS – “La Società italiana sementi da parte sua si difende sostenendo che i contratti di coltivazione erano facoltativi e proposti ai clienti senza alcuna ‘ricatto’ sulla fornitura, garantendo la più ampia diffusione: ‘Tanto è vero – ci spiega Mario Conti, direttore generale di SIS – che da quando siamo diventati licenziatari abbiamo contribuito a sviluppare la superficie coltivata a Cappelli da 800 a 5.500 ettari’. Una circostanza che seppur vera non avrebbe evitato alla Società di imporre la sua forza contrattuale. Scrive Antitrust: ‘Le attività ispettive presso la sede dell’impresa hanno portato all’acquisizione agli atti di ampie evidenze di interlocuzioni tra gli uffici commerciali di SIS e coltivatori interessati alle sementi, da cui risulta che SIS ha ricorrentemente dichiarato che la fornitura era subordinata alla sottoscrizione del contratto’ con obbligo di riconsegna”.

Aggiunge Ivan Nardone, del dipartimento economico della Cia, la Confederazione italiana agricoltori:

“Nessuno mette in discussione l’estensione dell’area coltivata, ma chi ci dice che senza il monopolio imposto da Sis le coltivazioni si sarebbero potute ampliare ancora di più?”.

C’è, poi, la vicenda della SIS che decideva a chi vendere il seme del grano Senatore Cappelli. Su questo punto l’Antitrust si esprime così:

” SIS ha ritardato o definitivamente denegato la fornitura di sementi in maniera ingiustificata, discriminando tra i coltivatori richiedenti sulla base di considerazioni del tutto sconnesse da motivazioni obbiettive e leali”.

C’è anche l’aumento del 60% del prezzo dei semi di Senatore Cappelli in soli tre anni:

PREZZO DEL SEME AUMENTATO – “Durante la ‘gestione’ Scaraia-Selet – leggiamo sempre su il Salvagente – i semi convenzionali di Cappelli venivano venduti a 0,88-0,90 euro al chilo mentre quelli bio a 1 euro al chilogrammo. Con l’avvento di SIS il listino lievita enormemente: le sementi convenzionali nel 2016 costano 1,40 euro/kg per arrivare nell’annata 2018-2019 a 1,60 euro, mentre per il biologico nello stesso anno si sale a 1,80 euro al chilo. Come mai? La società deve rientrare di un forte investimento in ricerca e sviluppo per migliorare del Cappelli? E nel caso, l’aumento dei listini sarebbe giustificato?”.

“Abbiamo aumentato la qualità del seme – si difendono dalla Sis – tanto che se prima servivano 2 quintali per seminare un ettaro ora ce ne vogliono meno, circa 1,5 quintali”.

L’articolo de il Salvagente si chiude con una precisazione dell’Antitrust:

Tuttavia secondo l’Antitrust non tutto è così lineare:

“SIS non appena ottenuta l’esclusiva sulle sementi ha praticato un incremento di prezzo assai significativo risultato ingiustificato rispetto agli impegni e spese sostenuti da SIS in quel momento, procedendo a ulteriori aumenti di prezzo anche negli anni successivi”.

Chiudiamo anche noi con le nostre considerazioni finali. Nella trasmissione i vertici della SIS parlano di dichiarazioni false: ne parlano, ma non dicono quali sono: da una trasmissione di approfondimento, visto che si lanciano accuse così pesanti, ci si sarebbe aspettati un’informazione puntuale!

Dice Ettore Pottino:

POSIZIONE PRECONCETTA – “Quali sarebbero queste false testimonianze? Agli atti ci sono documenti precisi. Se la debbo dire tutta, in questa trasmissione ho notato una caduta di stile: si vede che c’è una posizione preconcetta. E’ una scelta loro, per carità: ma resta una scelta preconcetta”.

IL SOLITO COLONIAMISMO – Il Sud e la Sicilia, infine. Come abbiamo scritto all’inizio, il grano duro, per questioni climatiche, si coltiva nel Mezzogiorno e nella nostra Isola. Per quale motivo una società del Nord Italia deve piombare dalle nostre parti e prendersi una varietà di grano duro che fa parte della tradizione del Mezzogiorno? Siamo alle solite: lo spirito è sempre quello del Nord Italia colonialista del 1860: spiace che un elemento così importante sia stato ignorato da Report! 

Foto tratta da Puntarella Rossa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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