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Pino Puglisi, martire insieme ai palermitani

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Questo articolo racconta Padre Pino Puglisi. Ma lo racconta illustrando anche la città dove il grande sacerdote ha passato la sua vita: Palermo. Ne viene fuori uno spaccato che spazia liberamente dall’urbanistica alla mafia-regalo dello Stato italiano unitario. Così il racconto trova la propria unicità nell’eredità spirituale che il Beato Puglisi ha lasciato non solo a chi lo ha conosciuto, ma anche a chi ha apprezzato il suoi messaggi di pace e di amore

di Ciro Lomonte

Un’Isola redimibile
Bei Null wieder anfangen. Ripartire da zero. Cento anni fa nasceva la Repubblica di Weimar e, nel contesto della Germania che usciva prostrata dalla Prima Guerra Mondiale, nasceva pure il Bauhaus, la scuola di arti e mestieri che adottò il motto ripartire da zero, coerentemente con il programma politico del nuovo Stato. Ne è seguito un secolo di “esperimenti” radicali, contro l’essere umano più ancora che disumani (comunismo – in realtà la Rivoluzione d’Ottobre è del 1917 –, nazismo, Sessantotto, rivoluzione sessuale).

Una civiltà ricca di valori è crollata sotto i colpi del ripartire da zero.
Il guaio è che la dittatura del pensiero unico non ammette ribellioni, a meno che non si tratti di finte “trasgressioni”, ben più conformiste dei pacati appelli alla tradizione ed alla continuità. Inoltre tutto era già stato progettato molto tempo prima.

In questo contesto la Sicilia ha sofferto un degrado economico e sociale, accelerato a partire dal 1910, reso più pesante dal fatto di essere stata ridotta brutalmente a colonia di uno Stato Italiano centralista più che unitario. La povertà e l’analfabetismo c’erano già nel Regno di Sicilia (1130-1816)? No, come rilevano tanti studi attenti agli abbondantissimi documenti di archivio. Sono stati fenomeni indotti ad arte per tenere a freno gli ardori più nobili e genuini dei Siciliani.

Anche la mafia è creatura dello Stato Italiano, come attestato dagli studi di alcuni storici e dalle indagini colte di Rocco Chinnici e Paolo Borsellino, magistrati siciliani che hanno pagato con la propria vita la passione per la verità.

L’ultimo tentativo organico di riconoscere i diritti e la dignità dei Siciliani risale alla stesura e alla promulgazione dello Statuto Siciliano, il 15 maggio 1946, recepito il 2 giugno 1948 nella Costituzione della Repubblica Italiana. I partiti italiani hanno gestito subdolamente il governo della Regione siciliana, in modo da lasciare lettera morta gli articoli dello Statuto.

I politici siciliani di quei partiti sono stati servitori fedeli di tale progetto, basato su clientelismo, assistenzialismo e violenza mafiosa. Come l’osso (o la polpetta avvelenata) che si dà al cane per farlo smettere di abbaiare. Lo hanno fatto per attaccamento alle poltrone o per semplice pavidità.

Del resto questa è un’Isola in cui ancora chi si ribella all’ordine internazionale muore, come è toccato in sorte a Piersanti Mattarella. Non è un caso che la mafia non abbia mai appoggiato progetti di indipendenza della Sicilia, a meno di non dare credito alle favolette costruite ad arte su Salvatore Giuliano.

È ora di smetterla con gli stereotipi della “mentalità mafiosa”, quasi che i Siciliani fossero tutti per natura inclini alla prepotenza, alla vendetta, alla sopraffazione, allo sfruttamento, all’omertà. Ci sono sussidiari per la scuola secondaria di I grado, come GEO Italia – Le Regioni, della Principato, in cui questa tesi si trova enunciata senza pudore. Chi è ridotto alla disperazione, piuttosto, è più facile preda di reclutatori malvagi. Bisogna verificare però chi siano costoro e chi li manovri. Questo permetterebbe di comprendere meglio cosa avvenne per esempio nella lotta per la supremazia fra i mafiosi di Palermo e quelli di Corleone, i cosiddetti viddani.

Un sacerdote autenticamente siciliano
Cosa poteva fare in questo ambiente violento un piccolo sacerdote dalle grandi orecchie, normale, che aveva come unica arma il fuoco del suo amore per Dio e per le anime? Padre Pino Puglisi, soprannominato 3P, è stato un vero palermitano, appassionato all’amicizia ed alla cultura, scevro da idealismi basati sul principio di immanenza. Un prete feriale, come lo ha definito qualcuno.
Dal suo modo di agire si comprende quanto fosse affetto da una salutare allergia nei confronti dei pregiudizi e delle varie forme di razionalismo.

Anche il suo interesse per la psicologia, non a caso, fa tesoro della logoterapia di Viktor Frankl, vale a dire della ricerca di quel senso che sostiene la vita di ogni ragazzo e di ogni adulto.

Il realismo di Padre Pino lo aiutava a guardare i fatti e le persone così come erano, al di fuori di schemi preconfezionati. I Siciliani – è vero – sono un popolo dalla fortissima identità. Essa è molto diversa da quella rappresentata nei film, con un dialetto caricaturale che ha ben poco dell’autentica e antichissima lingua siciliana. Quel piccolo prete dalle grandi mani per consacrare le specie eucaristiche, si metteva ogni giorno al servizio del mistero della transustanziazione. Sapeva che rinnovare il Sacrificio del Calvario lo impegnava ad impiegare quelle stesse mani per abbracciare il mondo, in particolare quella particella siciliana del mondo che gli era stata affidata.

È così che ha ottenuto dal Signore miracoli di riconciliazione a Godrano, laddove regnava il rancore. È così che ha riportato alle loro radici devozioni tradizionali come le processioni del Patrono: non manifestazioni esteriori per ostentare il prestigio dei singoli, bensì strumenti della pastorale per alimentare il fervore di tutti.

È così che si è dedicato al Centro Diocesano Vocazioni: con obbedienza all’Arcivescovo e spirito di servizio, con infinita disponibilità all’ascolto, con ammirevole capacità di amicizia. Doti che si sono rivelate fondamentali anche nell’insegnamento della religione ai ragazzi del Liceo Classico Vittorio Emanuele II.
Padre Puglisi obbedì docilmente anche quando si trattò di accettare l’incarico di parroco a Brancaccio, dopo che ben sei sacerdoti si erano rifiutati.

Degrado doloso
Brancaccio è uno dei buchi neri dell’informe galassia palermitana postbellica, dove i palermitani dei quartieri alti non vanno o, se lo fanno, rischiano di rimanere risucchiati per sempre. Brancaccio è nutrita dal cuore antico e infartuato della città attraverso un’arteria meridionale. All’estremo opposto di questo corpo martoriato c’è una zona di espansione, anzi la Zona di Espansione, quella Nord, progettata sul prolungamento dell’asse viario più lungo. Quel viale ottocentesco della Libertà (nel 1848 si auspicava libertà “dai” Borbone, non “per” l’unità d’Italia) che non è mai stato prolungato. È stato trasformato in viale Croce Rossa. E fatto morire all’interno di un ospedale, Villa Sofia.

Per comprendere quanto siano agli antipodi gli innumerevoli capolavori architettonici della Palermo preindustriale rispetto all’edilizia selvaggia degli ultimi sessant’anni, andrebbe approfondito quello che potremmo definire “colonialismo architettonico”. Risulta paradossale che la Sicilia abbia prodotto un’arte con forti connotati locali, di grande libertà e originalità, proprio mentre era governata da “dominazioni” straniere che la storiografia risorgimentale ci ha presentato come oppressive e crudeli.

In realtà, il Regno di Sicilia ha conosciuto fondamentalmente passaggi dinastici. Il prof. Edoardo Caracciolo definiva “contaminazioni” alcune di queste peculiarità siciliane, ma spesso sono qualcosa di più: sono una serie di linguaggi nuovi e spesso unici, fioriti dall’incontro di varie culture con la natura riflessiva e insieme passionale degli artigiani locali.

Dopo essere stata “liberata” (si fa per dire) ad opera di Garibaldi e dei Savoia, all’Isola vennero imposti modelli estranei alla sua tradizione e alla sua natura. Il primo grave esempio di colonialismo architettonico fu il Piano Regolatore di Palermo del 1885. Non importa che l’ing. Felice Giarrusso, autore del Piano, fosse nato a Siracusa e morisse a Palermo: l’ideologia illuminista penetrava nelle menti dei professionisti siciliani e li faceva guardare a modelli lontani dalla realtà.

Quello strumento urbanistico calò una griglia razionalista, ispirata alla Parigi disegnata dal prefetto Georges Eugène Haussmann, su una città (edifici, strade, piazze) che sino ad allora era stata modellata magistralmente sulla linea di costa, sui corsi d’acqua e in generale sull’orografia della Conca d’Oro. I danni causati da quel Piano non sono ancora stati riparati.

Non dimentichiamo inoltre che il Piano Regolatore Generale del 1962 è stato il primo dell’Italia postbellica, sulla base della Legge Urbanistica Nazionale del 1942. Lo zoning, i retini grafici che definivano le aree da costruire nella città, ritagliando indiscriminatamente, per esempio, i firriati delle ville di Piana dei Colli, è un modello accademico che i professori progressisti della locale Facoltà di Architettura hanno preso da fuori. Vito Ciancimino non ha fatto altro che sfruttarlo al meglio per i propri interessi. Sarebbe ora di reagire ad un colonialismo di tal fatta, nell’urbanistica e nell’architettura come nell’economia e nella politica.

Si tenga conto che Palermo è una metropoli strana rispetto alle altre quattro italiane: è nata da un’immigrazione interna, proveniente dalle aree agricole della stessa Isola e indotta dalla creazione nel dopoguerra dell’apparato amministrativo della Regione siciliana, a fronte di una consistente emigrazione delle migliori menti della città verso il Nord Italia o verso Paesi stranieri.

Le altre metropoli italiane non sono così: hanno potuto difendere la propria identità e trasmetterla ai nuovi arrivati perché hanno mantenuto un consistente nucleo di cittadini originari del luogo (ciò vale in particolare a Milano e Torino, oltre che a Roma).

Palermo ha riscoperto il proprio centro storico negli anni Ottanta. Il recupero di quella parte della città ha generato un nuovo spirito di appartenenza. Ancora però bisogna occuparsi delle periferie. Un caso emblematico di periferia progettata a tavolino è lo ZEN. Lo ZEN 2 è una palude creata apposta dagli architetti ideologizzati a sinistra per compiacere i politici di varia estrazione, ascari di quelli nazionali. Dalla palude non si esce, a meno che qualcuno non ti lanci una corda. In cambio di voti.

Lo ZEN 1 è molto diverso dallo ZEN 2. Caseggiati come falansteri, non troppo diversi da quelli delle zone migliori della Palermo attuale, non hanno impedito che i proletari a cui vennero assegnati gli appartamenti migliorassero gradualmente le proprie condizioni economiche. E offrissero un’educazione dignitosa a figli e nipoti. Per questo reclamano che si usi un nome diverso per il proprio quartiere: San Filippo Neri, come la parrocchia.

Di fronte alla palude si può restare attoniti, accettando fatalisticamente uno stato di fatto. Non è stato così per Mondello, la magnifica spiaggia dorata di Palermo. Quello era davvero un pantano. Ma venne bonificato alla fine dell’Ottocento. E trasformato in un angolo di paradiso, all’altezza del vicino Parco della Favorita. È lecito sperare che la stessa sorte tocchi a Brancaccio e allo ZEN? Ed a tutte le periferie desolate di Palermo?

Il testimone
Il nuovo parroco di San Gaetano, a Brancaccio, si mise subito al lavoro con solerzia. Il suo obiettivo era la salvezza delle anime. Per favorire la vita di fede bisognava prima educare l’essere umano, sottraendolo alla rassegnazione e all’abbandono. 3P non era un sacerdote antimafia. Non era anti nessuno. E poi l’antimafia era già stata sufficientemente stigmatizzata da Leonardo Sciascia.

Si può definire Padre Pino Puglisi martire della mafia? La questione è piuttosto delicata. Nei processi di canonizzazione la Chiesa esamina in primo luogo l’esercizio eroico delle virtù da parte dei cristiani morti in fama di santità, i cosiddetti “Servi di Dio”. In seguito chiede un segno a Dio, vale a dire un miracolo ottenuto per intercessione del “Venerabile”. Questo apre le porte alla Beatificazione. Nel caso di un Servo di Dio ucciso in odio alla fede questi passaggi si saltano.

Il martirio di 3P appare soprattutto il sacrificio di una vita normale, la straordinarietà con cui si è comportato nelle realtà ordinarie. Aveva pregi e difetti come tutti. A fronte di una grande capacità di entrare in sintonia con le anime, pare fossero eccessivi il suo rigore e la sua severità. Ma i santi non sono creature perfette, sono esseri umani che hanno corrisposto alla grazia con la lotta interiore, per assomigliare ogni giorno un po’ di più al Modello, Gesù Cristo, perfetto Dio e perfetto Uomo.

Il Signore ha permesso che 3P venisse strappato violentemente alla sua attività pastorale prematuramente. È stata una grave perdita per la Chiesa palermitana. Era uno di quei medici che sanno fare accuratamente la diagnosi prima di azzardare una terapia.
Tuttavia adesso il Beato Puglisi intercede dal Cielo e questa terra bistrattata può contare sulle sue preghiere per uscire da una condizione di decadenza che ha le sue radici altrove, non a Palermo.

Verrà un giorno in cui la nobiltà d’animo degli abitanti di Brancaccio sarà espressa dalla bellezza dei luoghi. L’arte è come il sogno per l’uomo, rivela la salute psichica di una società . Già adesso va rinascendo, passo dopo passo, il sollazzo siculo normanno di Maredolce, con le sue eleganti pareti ambrate che si specchiano sul lago artificiale. C’è chi vorrebbe che il desiderio del Beato Puglisi di una nuova parrocchia, piuttosto che con una non chiesa moderna, venisse esaudito con il riadattamento della chiesa di San Ciro. Vicino alle sorgenti del Maredolce.

In ogni caso sarebbe opportuno che l’insediamento urbano venisse ripensato radicalmente, secondo il criterio dei “dieci minuti a piedi”. Dovrebbe essere un quartiere autosufficiente, dotato di tutti i servizi, una città all’interno della città . Uno dei sogni del Beato Pino Puglisi.

Foto tratta da Aleteia

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