Storia & Controstoria

125 anni fa moriva Francesco II, l’ultimo Re del Sud Italia

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Il 27 dicembre di 125 anni fa Francesco II di Borbone, l’ultimo, vero Re del Sud Italia lasciava questo mondo. Anche sull’ultimo protagonista del Regno delle Due Sicilie, come su quasi tutta la storia del Risorgimento nel Sud, ci hanno raccontato un sacco di fandonie. Nonostante la sua giovane età, Francesco II è stato un grande personaggio. Al suo cospetto, per dignità e correttezza i Savoia si possono andare a nascondere!

Un grande Re. Sì, Francesco II, ultimo protagonista del Regno delle due Sicilia è stato un grande Re. Leale e corretto. Oggi lo ricordiamo perché ricorre l’anniversario della sua morte, avvenuta 125 anni fa: precisamente il 27 dicembre 1894. Francesco II ha lasciato questo mondo in punta di piedi, con grande dignità. Se n’è andato ad Arco, in provincia di Trento.

Il giorno 8 dicembre del 1860, dalla fortezza di Gaeta dove, con il suo esercito, cercava di resistere eroicamente e disperatamente all’assedio delle truppe italo-piemontesi di Cialdini, Francesco II, che all’epoca degli avvenimenti aveva appena 24 anni, giovane re (dopo la morte del padre Ferdinando II il suo regno durerà poco più di un anno) lanciò ai popoli delle Due Sicilie un appello di grande dignità e nobiltà e purtroppo premonitore delle disgrazie e delle sciagure che, sotto i Savoia, le popolazioni meridionali avrebbero drammaticamente patito e che, dopo gli errori e le debolezze iniziali, lo rivaluterà agli occhi del mondo.

Un documento che si può considerare una puntuale rendicontazione e una obiettiva cronaca di quanto era avvenuto dallo sbarco a Marsala di Garibaldi sino a quell’inizio di dicembre del 1860 in cui, arroccato con le sue truppe nella fortezza di Gaeta, lanciò questo suo ultimo, disperato e significativo appello. Un appello che vale a comprendere oltre che gli accadimenti di quei mesi anche le sensibilità, l’umanità e le debolezze di questo giovane re che fu travolto fatalisticamente da avvenimenti e fatti molto più grandi di lui che è opportuno leggere attentamente per poterli meglio comprendere e giudicare.

Il ricordare il proclama dell’ultimo re delle Due Sicilie non significa assolutamente voler fare un’apologia dei Borbone. Ce ne guarderemmo bene. Ma rileggere con attenzione questo documento ci aiuta ancora di più a comprendere tante di quelle cose e quegli avvenimenti a beneficio di verità mai raccontate dalle storiografie ufficiali.

Il proclama, con grande dignità e senso della realtà, descrive, a ulteriore riprova, verità incontrovertibili su cose e avvenimenti accaduti nel breve regno di Francesco II°: i tradimenti, le corruzioni, le cospirazioni, l’invasione e l’aggressione piratesca, in dispregio al diritto internazionale, di un Regno senza alcuna dichiarazione di guerra da parte di Garibaldi prima e dei piemontesi dopo; il trionfo della violenza e dell’astuzia contro la buona fede, la debolezza e il senso di pietà che, per non sottoporre i propri sudditi a bagni di sangue, lo stesso Francesco dimostrò e di cui se ne assunse le responsabilità, ma non se ne fece una colpa.

Ecco: sono gli ingredienti che, assieme alle congiure e ai disegni internazionali e massonici, determinarono il passaggio del Sud d’Italia dai Borbone ai Savoia e dei quali il giovane e ingenuo Re, per certi versi, rimase fatalmente vittima.

Ma quello che colpisce, più di tutto, del proclama rivolto al suo popolo è la percezione che, purtroppo avvertì e predisse, delle sciagure, dei dissesti finanziari, delle spoliazioni, delle malversazioni, dei saccheggi, degli eccidi, della guerra civile incombente e delle deportazioni che, di lì a poco, le popolazioni meridionali e i suoi ex sudditi avrebbero subito, con migliaia e migliaia di morti, sotto i Savoia.

Quel che colpisce ancor di più è il grande senso di dignità e di nobiltà d’animo che traspare dal documento e che lo accompagnerà per il resto della sua vita.

Quando, qualche tempo più avanti, i Savoia gli offriranno la restituzione dei suoi beni personali e delle sue non indifferenti ricchezze che gli avevano indebitamente saccheggiato e sottratto in cambio di ogni sua rinuncia al trono del Regno delle Due Sicilie, l’ex re sdegnatamente risponderà:

“Il mio onore non è in vendita”.

La storia non si fa con i se né con i ma. Ma viene egualmente da chiedersi: se la Provvidenza, da lui tanto invocata, l’avesse aiutato a rimanere sul trono sarebbe stato un buon Re? Forse non sarebbe stato un grande Re, ma per la sua indole e per la sua bontà d’animo in più occasioni dimostrata sarebbe stato certamente un Re “buono” e le popolazioni del Sud non avrebbero sofferto e patito quello che soffrirono e patirono sotto il “re galantuomo” Vittorio Emanuele II e la tanto vituperata dinastia dei Savoia a partire, appunto, dal già citato Vittorio Emanuele II°, passando ad Umberto I° (il “re buono”, ma così buono che prendeva a cannonate i suoi sudditi…), per giungere a Vittorio Emanuele III° il “re soldato” che ci regalò il fascismo le leggi razziali, fuggendosene da codardo a Brindisi, abbandonando gli italiani al loro destino.

Una dinastia e una stirpe dannata, quella dei Savoia, che, sino alla proclamazione della Repubblica, nel 1948, tanti lutti e sciagure ha procurato all’Italia.

Il 13 febbraio 1861, con la capitolazione di Gaeta, ha fine dopo 126 anni la dinastia dei Borbone alla guida del Regno delle Due Sicilie. Francesco e sua moglie Maria Sofia partiranno per l’esilio.

Francesco morirà a soli 58 anni, e morirà, come già ricordato, ad Arco, in provincia di Trento, il 27 dicembre 1894 dove visse, con molta discrezione e semplicità, come era suo costume, gli ultimi anni della sua vita e dove i cittadini lo conoscevano come il signor Fabiani, ignorando che quell’uomo tanto riservato e distinto fosse l’ultimo Re delle Due Sicilie.

Matilde Serao, che all’epoca dirigeva Il Mattino di Napoli, giornale da lei fondato, due giorni dopo la morte, il 29 dicembre, sulla prima pagina in un articolo dal titolo “Il Re di Napoli” così lo commemorò:

“Francesco di Borbone è morto, in un piccolo paese alpino, rendendo a Dio l’anima tribolata ma serena. Giammai principe sopportò le avversità della fortuna con la fermezza silenziosa e la dignità di Francesco II. Colui che è stato ed è parso debole sul trono, travolto dal destino, dalla ineluttabile fatalità, colui che era stato schernito come un incosciente, mentre subiva una catastrofe creata da mille cause incoscienti, questo povero Re, questo povero giovane che non era stato felice un anno, ha lasciato che tutti i dolori umani penetrassero in lui, senza respingerli e senza lamentarsi; ed ha preso la via dell’esilio e v’è restato 34 anni, senza che mai nulla si potesse dire contro di lui. Detronizzato, impoverito, restato senza patria, egli ha piegato la sua testa sotto la bufera e la sua rassegnazione ha assunto il carattere di muto eroismo. Galantuomo come uomo e gentiluomo come principe, ecco il ricordo di Francesco II”.

I tribunali della storia sicuramente più avanti negli anni sentenzieranno che i nomi di “Re galantuomo” e di “Re buono” debbono essere assegnati a Francesco II° di Borbone e non ai vituperati e maledetti rappresentanti di casa Savoia che, in tanti lutti e disgrazie, precipitarono l’Italia nel periodo del loro nefasto regno.

Foto tratta da Charme

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