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Continua la colonizzazione commerciale della Sicilia: i tedeschi della Lidl a quota 45/ MATTINALE 205

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La catena di supermercati tedeschi ormai leader in Italia piazza la quarantacinquesima bandierina in Sicilia aprendo, per l’appunto, il 45/esimo punto vendita a Gravina di Catania. Sembra proprio che lo sport preferito dei siciliani sia diventato quello di acquistare cibi e, in generale, prodotti agricoli freschi e trasformati fuori dalla nostra Isola… Perché senza la nostra agricoltura diventeremo sempre più poveri

Qualche giorno fa il video con i palermitani che si accapigliavano per acquistare l’olio di semi in offerta ha fatto il giro del Web (QUI IL NOSTRO ARTICOLO). Succedeva in uno dei sette o otto supermercati della Lidl. In queste ore arriva la notizia che il gruppo tedesco che opera nella Grande distribuzione organizzata, come già accennato, apre un altro punto vendita.

Solo un cieco non vede in questa mossa una strategia economica e commerciale. In un’Isola sempre più povera, dove gli amministratori dei Comuni, piuttosto che pensare ad amministrare e a fornire ai cittadini servizi, pensano a come spillargli i soldi dalle tasche tra tasse e imposte comunali, autovelox, ZTL, multe ai commercianti e via continuando, in una Sicilia dove le ex Province, di fatto, non ci sono più, dove la Regione non sa cosa inventarsi per trovare soldi, la Grande distribuzione che arriva è ‘investe’ è considerata la benvenuta.

Ma le cose stanno proprio così? Fatevi un giro per un qualunque centro commerciale della Sicilia. Dedicatevi solo all’agro-alimentare e provate ad osservare, di tutti i prodotti – freschi e trasformati – quali e quanti sono quelli prodotti in Sicilia.

Scoprirete che la ‘colonizzazione’ della Sicilia parte proprio dal cibo: dalla pasta, dagli ortaggi, dalle verdure, dalla frutta. E, ancora, dalla frutta secca, dai legumi, dai salumi, dai formaggi. Tutti prodotti che hanno poco o nulla a che fare con la Sicilia.  

La Sicilia ha le potenzialità per produrre buona parte dei cibi che si consumano ogni giorno. Ma questo non avviene. Così, conti alla mano, scopriamo che su 12-13 miliardi di euro – questa la cifra che i siciliani spendono ogni anno per il proprio cibo – poco meno di 2 miliardi di euro vanno all’acquisto di prodotti siciliani. Il resto arriva tutto dalle altre regioni italiane e da altri Paesi del mondo.

Perché avviene tutto questo? Perché la Sicilia è governata male, perché i Comuni siciliani sono governati male. La catena del malgoverno parte da Roma, arriva alla Regione e si propaga nei Comuni.

Lo strumento con il quale si organizza la colonizzazione alimentare di una comunità è la Grande distribuzione organizzata. 

La forza della Grande distribuzione organizzata sta nel fatto che offre tutti i prodotti in un unico punto vendita a prezzi concorrenziali. E questo fa risparmiare tempo e soldi. Ma c’è l’altra faccia della medaglia: che prodotti offre?

E qui comincia l’avventura… Perché dietro la Grande distribuzione organizzata ci sono interessi colossali: gli interessi di chi vuole vendere i propri prodotti. E anche gli interessi delle multinazionali che operano nell’agro-alimentare. E, naturalmente, i trattati commerciali internazionali che vincolano sempre di più i Paesi, condizionando pesantemente la libertà dei cittadini.

La Grande distribuzione, da un lato, offre prodotti concorrenziali e, dall’altro lato, ‘strozza’ il commercio locale artigianale. E’ una logica di morte: più bassi sono i prezzi che pratica, prima uccide il piccolo commercio locale.

Solo dopo aver eliminato i piccoli commercianti i prezzi vengono aumentati. Non sempre è così, perché magari è in corso una ‘guerra’ tra centri commerciali.

In questa realtà dinamica i luoghi dove operano i centri commerciali perdono i contatti con il territorio. Se i carciofi che arrivano – ad esempio – dall’Egitto costano di meno, perché i titolari dei centri commerciali dovrebbero acquistare i carciofi locali?

Certo, i produttori di carciofi locali possono ridurre i prezzi. Il problema è che i costi di produzione, in Sicilia, sono molto più alti dei costi di produzione del Nord Africa o dell’Asia.

Questo spiega perché, in Sicilia, il pomodoro di pieno campo sta scomparendo: perché gli agricoltori non possono competere con chi produce il pomodoro di pieno campo in Cina e in Africa. 

L’esempio del pomodoro è paradigmatico, perché questo fenomeno colpisce, ad esempio, quasi tutta la frutta estiva siciliana, gli agrumi e molti ortaggi.

La Grande distribuzione organizzata trascina con sé una sinistra logica dell’oscurantismo che è culturale prima che economico e commerciale: perché, di concerto con l’andamento dei mercati internazionali e dei trattati commerciali internazionali (vedi il CETA, l’accodo tra Unione Europea e Canada) provoca, contemporaneamente, la crisi dell’agricoltura locale e la colonizzazione alimentare di una comunità. E, nel medio e lungo periodo, l’impoverimento.

La Sicilia si trova nella fase intermedia. Grazie a una politica miope – sia a livello regionale, sia a livello comunale – che ha aperto tutte le porte alla Grande distribuzione organizzata, a tavola i siciliani sempre più ‘colonizzati’.

Il pane e la pasta, tranne poche eccezioni, sono prodotti con grano duro non siciliano. Gli ortaggi sono sempre meno siciliani, la frutta è sempre meno siciliana.

Se si impoveriscono gli agricoltori – che è quello che sta avvenendo in Sicilia – si abbassa la qualità della vita di una comunità. Infatti, i prodotti agricoli siciliani, freschi e trasformati, vengono piano piano sostituiti da prodotti agricoli, freschi e trasformati, che arrivano da fuori.

Se contemporaneamente – ed è quello che sta avvenendo in Sicilia e in quasi tutto il Sud – aumenta la povertà, i prodotti agricoli freschi e trasformati che la Grande distribuzione farà arrivare nel luogo impoverito saranno sempre più scadenti.

Nutrendosi di cibi sempre più scadenti aumentano le malattie. E siccome  è cresciuta la povertà, là dove c’è povertà non c’è prevenzione sanitaria: da qui l’aumento della pressione sulle strutture sanitarie: fenomeno accentuato, in Sicilia, dall’assenza di medicina del territorio e dalla carenza di medici, di infermieri e di posti letto.

Tutto è legato. E buona parte dei guasti economici che oggi travagliano la Sicilia comincia con il ‘divorzio’ tra agricoltura e società. 

E non sarà facile invertire la rotta. Perché quando ogni anno 9-10 miliardi di euro lasciano la Sicilia in cambio di cibo che arriva da fuori è difficile, difficilissimo invertire il flusso.

Soprattutto se gli amministratori locali vanno a ‘inginocchiarsi’ al cospetto della Grande distruzione organizzata che offre 15-20 posti di lavoro per ogni punto vendita che si apre…

 

 

 

 

 

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