Agricoltura

L’Unione Europea contro il vino italiano: un nuovo Regolamento agevola i falsi vini Made in Italy

Condividi

L’export italiano dei vini, quest’anno, ha fatto registrare un +4%. Così è scattata quella che ‘tecnicamente’ si chiama invidia di alcuni Paesi europei. Così stanno cambiando il Regolamento comunitario sulle etichette: i ‘vini italiani’ potranno essere prodotti con uve e mosti non italiani! Di fatto, un ‘taroccamento’ a norma di legge europea. Cosa succederà con il CETA e con i trattati commerciali con Giappone e Cina  

Ricordate il CETA, il trattato commerciale tra Unione Europea e Canada voluto e votato, nel Parlamento europeo, dai Popolari e dai Socialisti del PSE (per l’Italia hanno votato a favore PD e Forza Italia)? Fino a quando per l’agricoltura del Centro Nord Italia i guadagni sono maggiori delle penalizzazioni va bene, e pazienza se l’agricoltura del Sud viene penalizzata. Ma adesso che la UE sta cambiando le regole per il vino – penalizzando tutto il mondo del vino italiano – il Centro Nord insorge e, come vedremo, non solo non vanno bene i cambiamenti sul vino, ma non va più bene nemmeno il CETA!

Eh sì, dopo le penalizzazioni sul grano duro del Sud Italia, dopo l’invasione dell’olio d’oliva tunisino, dopo le arance del Nord Africa, dopo I pomodori che arrivano dalla Cina e dal Nord Africa, adesso ‘l’ala gelida’ dell’Unione Europea colpisce anche il vino, prodotto d’eccellenza dell’Italia.

Cosa stanno combinando, anzi, cos’hanno combinato i signori della Commissione Europea? Semplicissimo: il governo dell’Unione Europea ha stabilito che i vini possono essere prodotti indicando solo il luogo di produzione, non quello di origine delle uve. Solo i vini a DOC (Denominazione di origine controllata) verrebbero esclusi da questa penalizzazione.

Il passaggio non è secondario, perché chiunque, a questo punto, può aprire stabilimenti in Italia (e, in teoria, può farlo anche nel proprio Paese) e produrre vini italiani con uve e mosti arrivati da chissà dove!

Vero è che i consumatori di vino, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono proprio così bravi da distinguere un grande vino da un vino comune: ma è proprio questo particolare a rendere dirompente il provvedimento della Commissione Europea.

Perché se, fino ad oggi, le etichette – e l’indicazione della provenienza delle uve – hanno fatto la differenza, eliminando l’obbligo dell’indicazione di provenienze delle uve e dei mosti potrà succedere di tutto.

Intanto la modifica del Regolamento 607/09 sull’etichettatura dei vini è lì. La Coldiretti è già sul piede di guerra. Ma il fatto che qualunque Paese del mondo può produrre vini italiani con uve e mosti non italiani rischia di mandare il ‘tilt’ tutto il mondo del vino italiano.

Il fatto che per i vini ‘DOC’ non potranno essere prodotti (per questi vini la provenienze delle uve resta obbligatoria) significa poco: perché se è vero che i vini a DOC sono di qualità, è anche vero che un grande vino – e proprio l’Italia lo dimostra – può non essere a DOC.

In un mercato sempre più globale, governato, in termini commerciali, dalla Grande distribuzione organizzata – come farà il vino italiano a difendersi da un provvedimento del genere? Già il Made in Italy agro-alimentare è ‘taroccato’ in barba alla Legge, figuriamoci cosa succederà con la ‘benedizione’ dell’Unione Europea sui vini ‘italiani’ prodotti con uve e mosti non italiani…

In questo momento, in Europa, ci sono Paesi pieni di uve e mosti che non producono vino perché non sanno a chi venderlo. Tutto questo mentre l’export del vino italiano, quest’anno, ha segnato l’incremento record di +4%.

Da qui quella che ‘tecnicamente’ si chiama invidia: l’Italia vende bene i propri vini? Bene, anche noi europei non italiani cominceremo a vendere il ‘vino italiano’ prodotto da noi… Per raggiungere questo risultato, ovviamente, bisogna eliminare l’obbligo di indicare nelle etichette la provenienza delle uve e dei mosti: ed è quello che sta facendo l’Unione Europea!

Per la cronaca, l’Unione Europea – tanto celebrata dagli ‘europeisti’ italiani – ha già penalizzato il mondo del vino. E’ l’ha fatto regolarizzando l’uso dello zucchero per la produzione di mosti nei Paesi del Nord, dove la carenza di sole impedisce alle vigne di produrre uve da vino (alla fine il problema è questo!).

Per non parlare della produzione di vino da frutta che ritroviamo nei Paesi dell’Europa dell’Est. Vino da frutta, ma anche ‘vino in polvere’, con le bustine che si versano nell’acqua…

Ma nonostante queste scorrettezze – che nel nome della ‘Grande Europa unita’ bisogna nascondere ai cittadini per non mettere in cattiva luce la UE – il vino italiano ha resistito. Ora, però, cambiando il Regolamento sulle etichette, il colpo, per il vino italiano, potrebbe risultare durissimo, se non mortale.

Con la perdita di mercato e, quindi, di posti di lavoro. E non parliamo di cose da nulla. Quest’anno il fatturato del vino italiano supera i 15 miliardi di euro. Con oltre un milione e 200 mila persone che lavorano nel mondo del vino.

E qui torna in scena il CETA, trattato commerciale con il Canada difeso dal PD e da Forza Italia. Come il CETA e altri trattati commerciali internazionali – per esempio quello con la Cina e quello con il Giappone – entrano in questa storia lo illustra una nota della Coldiretti che leggiamo in un articolo de Il Giornale:

“Se il trattato di libero scambio con il Canada (CETA) non protegge dalle imitazioni dall’Amarone all’Ortrugo dei Colli Piacentini insieme a molti altri vini, quello siglato con il Giappone esclude dalla tutela ben il 95% delle 523 denominazioni di vini riconosciute da Nord a Sud del Paese e la situazione è ancora più preoccupante nella trattativa in corso con i Paesi del Mercosur dotati di un forte potenziale vitivinicolo che già producono copie dei vini italiani, dal Prosecco brasiliano al Bordolino argentino”.

Per essere ancora più chiari, i trattati internazionali con il Canada (CETA), con il Giappone e con la Cina non proteggono tutte le produzioni italiane dalle imitazioni. Con la ‘riforma’ del Regolamento 607/09 sull’etichettatura dei vini chiunque potrà vendere ‘vini italiani’ in Canada, in Giappone, in Cina e anche negli Stati Uniti, dove il vino italiano è presente da decenni.

Scommettiamo che il Ministro delle Politiche agricole, il leghista Gian Marco Centinaio – quello che non ha mosso un dito per il grano duro del Sud Italia, per la CUN, per la varietà Senatore Cappelli – adesso che sono toccato anche gli interessi del Centro Nord Italia adesso ‘smuoverà le chiappe’?

Foto tratta da bimag.it

 

 

 

Pubblicato da