Il bue che dà del cornuto all’asino: ovvero che cos’è veramente il populismo

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Proviamo a illustrare ai nostri lettori il vero significato della parola “populismo”. Leggendo questo articolo vi renderete conto dell’ignoranza e della malafede che oggi caratterizzano non soltanto la vecchia politica, ma anche chi fa o pensa di fare informazione. In ogni caso, ignoranza e/o malafede non sono certo titoli di vanto: anzi

Ignoranza o malafede, o tutte e due? Riferendosi a politici e mass media la risposta è ovvia ed è altrettanto ovvio il perché alcune parole vengono usate in modo a dir poco improprio.

“Ci è possibile notare – sostiene Nicola Talenti in una sua riflessione – che più determinate parole sono inflazionate, più sono al tempo stesso usate in modo scorretto: con ciò la nostra classe politica, che è l’artefice spavalda di questa manipolazione, dimostra così di essere doppiamente miserevole, sia per la crassa ignoranza culturale, sia per l’abietta disonestà intellettuale”.

Un termine che rappresenta al meglio questa distorsione politico-mediatica è “Populismo”: questa è, almeno adesso, da quando la scena politica è stata invasa dagli “scomodi” 5 Stelle, una delle parole maggiormente abusate nella scena politica e mediatica nazionale e, aggiungiamo, storpiate.

Che cosa si intende per “Populismo”?

“Il movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia tra il 19° e 20° secolo, che si proponeva di raggiungere […] un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate, specialmente dei contadini e dei servi della gleba”.

Non mi pare che possa trovarsi in questo termine qualcosa di negativo o di criticabile. E invece a questa parola, oggi, viene conferito un significato dispregiativo, confondendola di fatto – ignoranza o malafede? – con un’altra parola, che in realtà è demagogia.

Troppo spesso il politico di turno, riferendosi al Movimento Cinque Stelle nel suo complesso, ne parla, ed è la parola più benevola che pronuncia, come di un movimento “populista” o “intriso di populismo”, intendendola comunque come se fosse un sinonimo di “demagogo” o “demagogia”.

In realtà, populismo significa appellarsi alla popolazione. Chi detiene il potere vuole invece che la popolazione venga “tenuta lontana dalla gestione degli affari pubblici”. Mentre “la popolazione dovrebbe essere partecipe e non spettatrice”.

Tenere la popolazione lontana dalla cosa pubblica è una posizione gravemente antidemocratica. E’ questa la colpa storica che l’attuale politica si sta assumendo, quella politica che, dal Porcellum al Rosatellum, ha perseguito e persegue lo scopo di strappare la sovranità al popolo e attribuirla alla casta a mezzo di elezioni sostanzialmente di secondo grado che fanno seguito a vere e proprie cooptazioni interne ai partiti di candidati scelti dalla casta stessa.

Se per populismo dunque si intende una concezione della politica che ravvicini i cittadini alla cosa pubblica e dia la priorità agli interessi della popolazione anziché a quelli ristretti di una esigua élite di privilegiati, la cosa non è solo positiva, ma ha un nome preciso: “democrazia”. Ben venga il populismo, ben vengano i movimenti populisti, ben vengano i 5 Stelle.

Specie in Italia, in cui la contrapposizione tra la “casta” e la cittadinanza è più netta e marcata rispetto a molti altri Paesi europei. Specie in Italia, dove è più urgente la necessità di una maggiore giustizia ed equità, non solo economica, ma anche di partecipazione democratica.

L’errato utilizzo di questa parola (insieme a molte altre, purtroppo) denota quanto la politica e l’informazione, intrinsecamente e patologicamente collegate, seguano più una “moda” nel parlare e nell’usare certi termini, quando in realtà questa gente non sa neanche di che cosa sta parlando.
O, al peggio, lo sa e distorce artatamente i significati.

E infatti la “preoccupazione” più grave è proprio questa, ovvero che l’intento maligno e sottile perseguito da questa operazione consista nel voler far passare nella testa della gente l’idea ultima che qualsivoglia difesa degli interessi popolari, quantunque nobile in sé, sia purtroppo illusoria, utopica, perché in contrasto con la dura realtà economica e le sue immodificabili leggi liberistiche. Insomma, una pia quanto infantile posizione da “anime belle”, a fronte di una coriacea realtà con cui invece occorre confrontarsi in modo maturo. Muro contro muro.

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  • Facciamo un po’ di chiarezza. Come tutti i concetti storici, anche “populismo” ha un significato che cambia nel tempo, e con questo si arricchisce di sfumature e varianti.
    Il movimento russo al quale fa riferimento la definizione di Busalacchi, quello che opponeva il popolo oppresso alla nobiltà e al clero, è scomparso nel 1881. Tra Ottocento e Novecento ha avuto fortuna, negli USA, il Populist Party, avversario acerrimo dei Democratici, con forti connotati xenofobi. Nell’Italia repubblicana si è presentato in molte versioni, dall’Uomo qualunque di Giannini, fino a Berlusconi, Di Pietro, Bossi/Salvini, Grillo e Renzi.
    Nicolò Talenti – che qui viene citato - sostiene che il populismo, proprio perché fa “ricorso al popolo” – non alla “popolazione”, che è tutt’altra cosa -, rivela una sostanza democratica che va apprezzata positivamente. Il problema è proprio il concetto di «popolo», termine storicamente ad altissima variabilità: basti pensare che in Mazzini, che ne fa una parola-chiave, assume decine di significati differenti a seconda del testo e del periodo. Per il “populismo” contemporaneo il popolo è – dice Marco Tarchi - “una totalità organica artificiosamente divisa da forze ostili”. Esso ha “naturali qualità etiche” in base alle quali contrappone il suo “realismo, la laboriosità e l’integrità all’ipocrisia, all’inefficienza e alla corruzione delle oligarchie politiche, economiche, sociali e culturali”. Esso, quindi, per quanto artificiosamente costruito rivendica il suo primato contro tutte le forme di rappresentanza e mediazione (quali i partiti e i sindacati), bollate come “politiche “e dunque “artificiose”. Il “popolo” dei populisti, insomma è il gruppo dei “noialtri”, opposto ai “loro altri”, identificabili a piacere secondo parole d’ordine interne al movimento, che possono andare dal nazionalismo ipertradizionale, all’antieuropeismo, all’egoismo sociale, all’esaltazione parossistica dell’onestà declinata in comportamenti peraltro mutevoli a seconda delle esigenze del momento, all’antimeridionalismo, alla xenofobia, al razzismo, alla modernizzazione efficientistica, alla demonizzazione di ebrei, arabi, zingari (ecc.).
    Un buon quadro cognitivo del populismo è stato di recente delineato da Giovanni Orsina. Lo compongono
    - la perdita del senso della realtà, che fa ritenere plausibili operazioni del tutto improponibili;
    - la ricerca di un capro espiatorio, che porta alla soluzione facile di ogni problema: basta punire un colpevole per risolverlo;
    - la diffusione del “complottismo”: cioè la convinzione che ci sia sempre un soggetto preciso dietro i problemi che viviamo;
    - l’indignazione cosmica, scatenata dall’osservazione che nessuno adotta soluzioni che appaiono semplici e a portata di mano;
    - l’idea che siamo giunti ad un punto così basso, che peggio di così non si può andare. Tanto peggio, tanto meglio.
    In poche parole è l’incapacità di maneggiare situazioni complesse e astratte, che obbliga il soggetto-cittadino a operare ipersemplificazioni della realtà. Non è un caso che i populisti amino molto i romanzetti storici costruiti dai Pino Aprile ed epigoni.
    Sulle conversioni elettorali, infine, credo non ci sia nulla da dire.

  • Bastava aprire un dizionario. Cito quello della Treccani: "Per estens., atteggiamento ideologico che, sulla base di principî e programmi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi. Con sign. più recente, e con riferimento al mondo latino-americano, in partic. all’Argentina del tempo di J. D. Perón (v. peronismo), forma di prassi politica, tipica di paesi in via di rapido sviluppo dall’economia agricola a quella industriale, caratterizzata da un rapporto diretto tra un capo carismatico e le masse popolari, con il consenso dei ceti borghesi e capitalistici che possono così più agevolmente controllare e far progredire i processi di industrializzazione."

    A differenza di quanto scritto nel vostro articolo, non mi sembra un qualcosa di così positivo...

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