Referendum in Veneto e Lombardia: l’Italia unita traballa. E traballerà sempre di più

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Nonostante il quesito non la mettesse in dubbio, i vertici delle istituzioni italiane hanno subito precisato che l’unità non si tocca. Come mai? Sanno forse che potrebbe trattarsi solo di un primo passo? E perché meravigliarsi? Gli italiani, di questa Italia buona solo ad affamare la sua gente, non ne possono più…

Il recente referendum andato in scena in Lombardia e in Veneto, attraverso il quale le due regioni hanno posto il tema di una maggiore autonomia dallo Stato, sta riaccendendo il dibattito sull’Unità d’Italia. Non perché il quesito posto sulla scheda la mettesse in dubbio. Quello che hanno chiesto i lombardi e i veneti è previsto dalla Costituzione italiana, all’articolo 116 che riconosce alle Regioni a statuto ordinario la possibilità di accedere a condizioni differenziate di autonomia nel quadro dell’unità nazionale. Il referendum, dunque, è perfettamente inserito nell’ordinamento costituzionale italiano.

Eppure, complice forse il vento indipendentista che scuote la Catalogna e molte altre regioni d’Europa, la paura che si possa trattare solo di un primo passo verso rivendicazioni più radicali, non ha tardato a fare la sua comparsa. E si è manifestata nelle parole di molti esponenti delle istituzioni: dal capo dello Stato al capo del Governo a vari ministri, hanno tutti puntualizzato che se ne può parlare, ma che l’Unità d’Italia non è in discussione.

Perché queste precisazioni quando il referendum non si è allontanato minimamente dal quadro unitario?

Perché i signori governanti sanno bene che in quelle regioni, soprattutto in Veneto, le tradizioni indipendentiste sono più vive che mai. E che, quindi, nessuno può escludere che, come detto prima, le rivendicazioni autonomiste possano essere solo un primo passo. Nessuno può escludere che, una volta ottenuta l’Autonomia, magari tra un decennio, Lombardia e Veneto possano seguire, in un modo o nell’altro, la via catalana.

Ne hanno talmente tanta paura da avere aperto l’ombrello prima della tempesta.

Ma non è solo questo. Perché la voglia di una maggiore Autonomia si manifesta anche in quelle regioni che non hanno tradizioni indipendentiste. La stessa Lombardia o l’Emilia Romagna, ad esempio.

E, allora,  perché cresce la voglia di Autonomia in Italia che tradotto significa allontanarsi dalle grinfie del centralismo statale?

La risposta è nelle cose: cosa è diventata l’Italia? Per chi lavorano i suoi governanti?

Non serve alcun riferimento alla questione dei tributi da trattenere sul territorio (argomento sul quale Veneto e Lombardia hanno le loro ragioni, sbagliano solo a fare i conti sulla Sicilia, da sempre presa di mira) per fare il punto della situazione.

Una situazione che ci parla di una povertà dilagante, di distruzione di diritti,  di un aumento della diseguaglianza, un peggioramento della stato sociale, dalla sanità alla scuola, dalla previdenza alle università. Per non parlare del peggioramento delle condizioni di lavoro, dell’ aumento della precarietà.

L’Italia, come ci ha spiegato il professore di Economia Politica all’Università degli Studi di Siena, Ernesto Screpanti, da quando è entrata a fare parte del sistema euro è in crisi perenne e a pagare sono i cittadini:

“Indubbiamente per l’Italia c’è stato un vero crollo dell’economia. I peggiori anni di tutta la nostra storia, paragonabile solo a quelli del periodo delle due guerre. Dal 2008 ad oggi, la crescita del Pil dell’Italia  è stata dello 0,75%. Nessun altro Paese ha avuto una performance così negativa”.

In questo quadro e con una classe politica che pensa solo ad ubbidire ai diktat delle oligarchie finanziarie che dettano l’agenda all’Unione europea, condannando il nostro Paese alla povertà, perché meravigliarsi del fatto che sempre più italiani non si riconoscano più in questa Italia?

L’Italia, così come è ridotta, traballa. E traballerà sempre di più. Con buona pace di chi, mettendo le mani avanti, cerca di esorcizzare quello che sarà un naturale processo di ribellione popolare.

ndr Un discorso a parte merita la Sicilia e lo affronteremo altrove. Nella nostra regione, dove non manca la tradizione indipendentista, i rappresentanti delle istituzioni, a differenza dei colleghi veneti e lombardi, non sono interessati a difendere i diritti dei siciliani nonostante lo Statuto speciale, tanto invidiato a Milano e a Venezia, darebbe loro i mezzi per farlo. I paradossi della vita. 

 

 

 

 

 

Visualizza commenti

  • Come già sapevo e in più post scritto l'Autonomia siciliana sarà abolita. Ne dà il triste annuncio faraone che proporrà un referendum dopo le elezioni. Prima l'autonomia l'hanno usata per ingrassare ora che non è rimasto nemmeno il fondo del barile la scaricano ai fini elettorali sapendo della profonda sfiducia che i siciliani hanno nella regione. Se mai dovesse passare questo referendum (e passerà visto l'antipolitica) i cui fini per i propomotori sono i costi della politica proporrei l'abolizione della stessa regione e il commissariamento perpetuo (come propone l'ascaro buttafuoco) al solo fine di non vedere politici ascari più seduti nel consiglio regionale ed ingrassare ancora. Vorrei sapere cosa ne pensa al riguardo l'editore di questo blog .

  • Il "Veneto felix" nell'Ottocento era un paese di poveracci, spinti all'emigrazione per sopravvivere. Tra il 1876 e il 1900 dal Veneto emigrò quasi un milione di persone, contro i circa 520.000 della Campania e i poco più che 220.000 della Sicilia. Il Veneto è cresciuto negli anni della Repubblica, ma questo gli "indipendentisti" veneti non lo sanno: e forse non solo loro.

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