La Sicilia ricorda i 151 anni della rivolta del “Sette e mezzo” negata dagli storici prezzolati

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O “scrittori salariati”, come Antonio Gramsci definiva gli storici di regime che, ancora oggi, nascondono la vera storia del risorgimento in Sicilia e, soprattutto, i crimini contro l’umanità commessi dai piemontesi nel Sud Italia, Sicilia compresa, che non sono molto diversi da quelli nazisti 

Il 15 settembre del 1866, esattamente 151 anni fa, scoppiava a Palermo la rivolta del “Sette e Mezzo” che durò appunto sette giorni e mezzo. Una rivolta epica e gloriosa, ma come al solito ignorata dai libri di scuola e dalla storiografia risorgimentale. Una rivolta repressa nel sangue con migliaia di morti e di prigionieri da parte dell’esercito italo-piemontese al comando del generale Raffaele Cadorna e con la conseguente proclamazione dello stato d’assedio.

la rivolta del “Sette e mezzo” rimane una eroica pagina della storia del popolo palermitano e siciliano che dopo appena cinque anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia si accorse che il nuovo Stato piemontese era anche peggio del vecchio Stato borbonico. Con la rivolta del “Sette e mezzo” i palermitani si riscoprirono i degni eredi dei “Vespri Siciliani”, per lo spirito di ribellione, come allora, contro ogni forma di sopraffazione e di violenza.

Fu lo scontro feroce tra chi, annettendo la Sicilia, intendeva colonizzarla (e così fu sino ai nostri giorni) e chi, da quell’annessione, si illudeva di essere affrancato dai torti subiti dai baroni e dai ricchi proprietari terrieri che sino allora avevano dettato legge in Sicilia nei confronti delle classi più deboli e dei contadini.

La rivolta scoppiò, puntuale, il 15 settembre del 1866, al grido di “Viva la Repubblica”, “ Viva Santa Rosalia”, “Viva Francesco II“ ed allo sventolare delle bandiere rosse, a dimostrazione della eterogeneità e della spontaneità dell’insurrezione.

Renitenti di leva (in Sicilia quasi ventimila), ecclesiastici espropriati, repubblicani, mazziniani, socialisti, autonomisti, impiegati borbonici, cacciati dai loro posti di lavoro, legittimisti, contadini che avevano sperato con le promesse di Garibaldi nella distribuzione delle terre ed avevano ricevuto soltanto fucilate ed i rappresentanti delle arti e dei mestieri, colpiti pesantemente dalla soppressione delle corporazioni religiose. Tutti accomunati nell’avversione verso il regime accentratore e dispotico del nuovo stato unitario, che nulla concedeva alle aspettative che in premessa aveva illusoriamente creato.

La vera forza e la motivazione ideale dei rivoltosi fu la consapevolezza della “giusta causa” per la quale si battevano, spinti ormai da una condizione che andava oltre ogni limite di sopportazione per lo stato di prostrazione sociale e di repressione autoritaria cui erano stati sottoposti dal nuovo governo Italo-piemontese con nuove tasse, la coscrizione obbligatoria ed, in ultimo, la soppressione delle corporazioni religiose in applicazione alla legge Siccardi ( già vigente nel regno di Sardegna sin dal giugno del 1850), con la conseguenza di buttare sul lastrico più di diecimila famiglie nella sola città di Palermo.

In poche ore i palermitani, così fortemente motivati, riuscirono a sconfiggere le truppe sabaude. Nei giorni successivi al 15 settembre furono sbarcati nel porto di Palermo, ad ondate successive, più di 40.000 regi. In quelle eroiche giornate i palermitani provarono l’ebbrezza e coltivarono la speranza di essere padroni dei loro destini, del loro futuro e della loro città.

Ma quelle speranze e quelle illusioni e quelle rivendicazioni di libertà furono spezzate e stroncate successivamente da quei 40.000 uomini (fanti, granatieri e bersaglieri) agli ordini del generale Cadorna (che proclamava lo stato d’assedio) sbarcati ad ondate successive da decine e decine di vascelli militari ed anche da navi mercantili. Così i rivoltosi furono costretti alla resa.

I caduti e i feriti per le strade si contarono a migliaia e a migliaia così come gli arresti indiscriminati. Si concludeva nel sangue, il 23 settembre del 1866, dopo sette giorni e mezzo appunto, l’eroica rivolta palermitana del “Sette e Mezzo” che gli storiografi prezzolati di regime hanno sempre cercato di cancellare dai libri di storia ricordando invece e sino alla noia le “cinque giornate di Milano” o “le dieci giornate di Brescia”.

Per la storiografia ufficiale sono queste le “eroiche” rivolte che gli italiani devono ricordare non quella palermitana del s”Sette e mezzo”, relegata nel dimenticatoio della storia. E ora di finirla ed è ora che i siciliani e i palermitani ritrovino la loro memoria storica. E per cancellare questa damnatio memoriae il ricordare, da parte nostra, la ricorrenza della gloriosa rivolta palermitana del “ Sette e Mezzo” è un atto dovuto nei confronti dei caduti di quelle epiche giornate.

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  • Caro Franco Busalacchi,
    ricordiamo anche i moti insurrezionali di Palermo del 1848 e di Catania del 1849, quando palermitani e catanesi misero in fugga le truppe napoletane e nella stessa Sicilia fu creato un breve regno di indipendenza.
    Il famoso" '48" della rivolta dei popoli d'Europa( segnatamente i "moti di Ungheria- Budapest") contro gli occupanti le terre e le vite degli altri.
    Quello che ribadisco ancora: gli invasori-occupanti non hanno caratteristiche di dominio buono. Un popolo sottomesso a forza, con la tirannia non è mai più libero, a seconda di chi lo tiranneggia. Il tiranno è la negazione di ogni libertà e senza distinzioni.
    Ieri gli austro-ungarici e i borboni, poi i Savoia. Oggi l'Europa intera cui soggiacciono governi italiani-macchietta, proni ai -diktat- delle banche massoniche.
    Evidente come il" Bel Paese addormentato nel losco" non abbia nessuna politica nazionale o di patria, ammesso che patria oggi significhi qualche cosa.
    Se vogliamo costruire un'identità di Sicilia e Siciliani, dobbiamo conoscere la nostra Storia! che è poi quella degli altri e mai la nostra.
    Pure rendendo merito ai tanti martiri siciliani che hanno mostrato al mondo intero la loro dignità di Popolo, ribellandosi ai tiranni.

  • non dimentichiamoci che allora come ora nostri "CORREGGIONALI" CI HANNO VENDUTO. Francesco Crispi, Sergio Mattarella, Schifani etc.

  • Il mio commento era indirizzato all'estensore dell'articolo: Ignazio Coppola.
    Ma spero che Franco Busalacchi non eccepisca sulla sua compartecipazione.
    Saluti ad entrambi.
    Dr. Filippo Grillo

  • Di quando in quando Ignazio Coppola presenta “inediteverità” sulla storia del Risorgimento e dell’Italia unita, rivendicando il merito di aver sollevato il velo su fatti nascosti dagli storici “ufficiali”, che non si sa chi siano.
    Qui ci svela che c’è stata nel 1866 a Palermo la rivolta del “sette e mezzo” negata dagli storici prezzolati, dei quali omette scrupolosamente di fare i nomi: e pazienza se per giungere a questa spericolata conclusione bisogna fingere che non esistano gli studi di una schiera di storici di diversa scuola e tendenza, da Paolo Alatri a Francesco Brancato, da Nicola Giordano a Massimo Ganci, da Romualdo Giuffrida a Virgilio Titone, fino a Lucy Ryall, Francesco Oddo o Rino Messina, che di quella rivolta hanno indagato a fondo motivazioni e svolgimento. Di suo Coppola ci mette qualche dettaglio pittoresco, come il grido echeggiato in città “Viva Francesco II”, anche se nessuna delle fonti dell’epoca lo riporta; o qualche sorprendente scoperta, come quella della soppressione delle corporazioni religiose in Sicilia a causa dell’applicazione delle leggi Siccardi del 1850 (che sopprimevano il diritto d’asilo ed il foro ecclesiastico, che evidentemente qualche neo-storico ritiene conquiste di civiltà giuridica; la legge sulla soppressione di talune corporazioni religiose nel regno sardo fu invece proposta dal Rattazzi e approvata il 29 maggio 1855) e non, come in effetti avvenne, dal R.D. 3036 del 7 luglio 1866, in applicazione della legge 2987 del 28 giugno precedente, e dalla legge 3848 del 15 agosto 1867 per la soppressione di enti ecclesiastici e la liquidazione dell’asse ecclesiastico. La contro-storia insomma non smette mai di stupire chi, più banalmente, si occupa di storia.

  • caro Coppola.....ma quante fesserie dici? dettate da un incomprensibile desiderio di scissione dell'Unità d'Italia?
    A quanto pare sei un fautore dell'indipendenza siciliana, e in questo sei uguale ai vari Bossi, Calderoli...o se preferisci Puigdeont o gli indipendentisti corsi, baschi, altoatesini, o ancora peggio croati, bosniaci, serbi....ti ricordo come è finita in quei paesi : migliaia di morti civili e innocenti!!!
    Non ti pare che, anche se ci fosse un fondo di verità storica in quel che dici, sia meglio lottare per l'unità dei popoli, e non per la loro divisione che porta solo inevitabili sciagure?
    Nessuno dice che non esistono errori, cose malfatte, conflitti di interesse e quant'altro di negativo possa venire in mente in questa democrazia zoppicante,
    ma meglio una nave logora e traballante in cui tutti remano in una sola direzione che un bel canotto con tre persone sperdute nell'oceano!

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