“Quell’ultima volta che vidi Giovanni Falcone…”

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Il ricordo di Pippo Giordano che con il magistrato ucciso nel 1992 ha lavorato in stretto contatto: dagli interrogatori di Totuccio Contorno a quelli del pentito Stefano Calzetta. C’era anche Ninni Cassarà. Poi le indagini su Capaci, sulla morte del “Galantuomo Siciliano” e dei suoi colleghi. Cosa resta oggi?

di Pippo Giordano

Cinque lustri, eppur sembra ieri. Leggo che, fervono preparativi sul tutto il territorio nazionale per ricordare un Galantuomo siciliano. Non un uomo, ma l’Uomo – magistrato – Giovanni Falcone. A me non piace etichettare gli uomini defunti sulla base della loro storia, perciò il mio ricordo amorevole non va solo al dottor Falcone, ma a sua moglie – pure lei magistrato – Francesca Morvillo e ai miei colleghi della Polizia di Stato, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, periti nella strage di Capaci. Parimenti, mando un abbraccio affettuoso seppur virtuale a Giuseppe Costanza, Paolo Capuzzo, Angelo Corbo e Gaspare Cervello, tutti sopravvissuti all’attentato.

Pippo Giordano

Conobbi il dottor Falcone nei primi anni ottanta, quando ero in servizio alla Squadra mobile di Palermo ed egli giungeva nel Commissariato di PS a Mondello, per interrogare il collaboratore di giustizia Totuccio Contorno, in quel luogo custodito: interrogatori poi proseguiti per motivi di sicurezza, nei locali della Squadra mobile, ove fu allestita una stanza per ospitare il Contorno. Poi, quando si pentì Stefano Calzetta, assistetti, insieme a Ninni Cassarà, agli interrogatori che lo stesso Falcone conduceva.

Voglio ricordare un aneddoto, che ancora oggi mi rallegra ricordando quella mattinata. Una domenica mattina, il dottor Falcone, Cassarà ed io, ci recammo nella caserma della Polizia di Stato Pietro Lungaro di Palermo, dove tenevamo nascosto il Calzetta. Quel giorno, come solito, Cassarà portò a Calzetta un vassoio di cannoli siciliani. Iniziammo l’interrogatorio e poiché io ero lentissimo a scrivere, ad un certo punto Falcone disse a Cassarà: “Ninni prendi il telefono e chiama i pompieri, perché tra poco la macchina da scrivere andrà a fuoco, Pippo la sta surriscaldando”. Una risata collettiva ci fece fare una breve sosta.

Ad un certo punto fui costretto a lasciare Palermo per motivi di sicurezza e non incontrai più Falcone, sino a quando verso la fine del 1989 lo assistetti di nuovo negli interrogatori di Francesco Marino Mannoia a Roma. Infine, ci rincontrammo per l’ultima volta, nel carcere di Rimini, dove si era recato per interrogare due mafiosi di Villabate: credo sia stato uno degli ultimi suoi interrogatori prima di trasferirsi a Roma e comunque io non partecipai. Quello fu l’ultimo giorno che ci vedemmo e una volta terminato l’interrogatorio, ci concedemmo “un’ora d’aria” nel cortile interno del carcere. Parlammo tantissimo pur stando quasi zitti: fumammo, passeggiando sottobraccio ricordando gli “amici” che non c’erano più. Gli comunicai anche lo stato delle indagini condotte da Gianni De Gennaro a carico di Totò Riina da me originate per una “soffiata” che avevo avuto da un “corleonese”. Quella fu l’ultima volta che vidi Falcone. L’avrei dovuto incontrare, ma ahimè intervenne il drammatico epilogo di Capaci.

Nei primi mesi del 92, fui convocato a Roma per far parte della costituenda DIA, accettai. Ma il trasferimento arrivò dopo la sua morte. E tutti noi della DIA ci impegnammo nelle indagini per scoprire gli autori della strage. E quando il direttore, Gianni De Gennaro, mi consegnò il riconoscimento “All’Isp. Giuseppe Giordano, per il particolare contributo offerto nell’individuazione degli autori della strage di Capaci. Roma 21.12.1993”, lo dedicai sia alle vittime che ai sopravvissuti.

Ordunque, cinque lustri sono trascorsi quando la terrà tremò a Capaci e il cielo si oscurò per l’inaudita violenza degli uomini. Persino gli uccelli smisero di cinguettare. Totò Riina e suoi uomini, tentarono di spegnere la luce su Palermo. Volevano seppellire la Giustizia e di oscurare i nostri cuori. Ma sbagliarono, eccome se sbagliarono. Le anime oneste dei palermitani, dei siciliani e degli italiani, si ribellarono. Oggi quella luce è viva più che mai ed è il faro che illumina il cammino dei cittadini onesti. Noi tutti siamo consapevoli che il sacrificio dei martiri di Capaci, ha reso i nostri passi, più sicuri. Un paio di giorni fa, nel ricordare la strage di Capaci, un amico mi ha chiesto: “Perché oggi è il 23 maggio?” Ho risposto: “Nel mio calendario, si! Ogni giorno è il 23 maggio”.
Eternamente grato.

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