Grande pietà cristiana per le ‘tredici vittime’ di Palermo. Ma non bisogna dimenticare che dietro la rivolta della Gancia c’erano sì i ‘liberali’, ma c’erano anche i mafiosi con i quali i ‘rivoluzionari’ della Sicilia che volevano cacciare il Borbone si erano messi d’accordo. Picciotti che verranno poi contattati da Rosolino Pilo e da Giovanni Corrao per metterli al servizio di Garibaldi, a propria volta al servizio dei Savoia nella prima trattativa tra Stato e mafia. Tutto questo alla fine per che cosa? Per consegnare la Sicilia e il Sud a una dinastia sgarrupata, banditesca e criminale
di Ignazio Coppola
“All’erta tutti ppi lu quattru aprili, sangu ppi sangu,nni l’avemu a fari, sta sette impia l’avemu a finiri, la Sicilia l’avemu a libbirari”.
Queste erano le parole d’ordine che il 4 aprile di 157 anni fa i congiurati del convento della Gancia cantavano a squarciagola agli ordini dei capipopolo Francesco Riso, mastro fontaniere, e Salvatore La Placa, sensale di bovini. Era la fine di febbraio del 1860 quando il comitato liberale i cui autorevoli rappresentanti erano Michele Amari, Filippo Cordova, il marchese di Torrearsa, Mariano Stabile, Matteo Reali, Vito D’ondes Reggio contattarono appunto Francesco Riso e Salvatore la Placa, due capipopolo in grado, grazie al loro ascendente, di raggruppare gente sveglia e pronta a menar le mani.
Poi fu necessario incontrare i baroni e, attraverso loro i vari gabelloti di riferimento, vennero messe a punto le operazioni che portarono, inevitabilmente, ad accordi con la mafia per preparare e favorire lo sbarco di Garibaldi.
Racconta il barone Brancaccio di Carpino, a proposito del reclutamento dei volontari da arruolare:
“Era dura necessità reclutare gente di ogni risma, vi si era costretti da forza maggiore, e non potendo essere arbitri della scelta si doveva accogliere tutti coloro che dicevano di essere pronti alla scelta”.
E in tal senso che vennero reclutati, con i loro picciotti ed adepti, alla bisogna ed alla scelta dagli autorevoli rappresentanti del comitato liberale i già citati capipopolo Francesco Riso e Salvatore La Placa.
Il 4 aprile del 1860, dunque, era il giorno fissato per l’nsurrezione. Quale centro delle operazioni fu scelto un convento di frati minori Osservanti della Gancia dove il Riso, da qualche tempo, aveva cominciato, ad ammassare armi e munizioni.
Nella notte tra il 3 e il 4 aprile i rivoltosi – una sessantina circa – si introdussero nel convento, dove attesero il mattino per dare inizio all’insurrezione. Alle 5, infatti, il suono a stormo delle campane della chiesa, che avrebbe dovuto fungere da segnale anche per i gruppi armati appostati sulle montagne, diede avvio ai primi colpi d’arma da fuoco.
Il capo della polizia di Palermo dell’epoca, Salvatore Maniscalco, non si fece, però, trovare impreparato. Egli, infatti, informato il giorno prima da un confidente, aveva fatto appostare i militari borbonici del 6º Reggimento di linea nei pressi del convento. I soldati penetrarono nel convento soffocando sul nascere l’insurrezione. Tra i rivoltosi si contarono 20 vittime. Francesco Riso, ferito, morì in ospedale. Altri 13 uomini furono tratti in arresto.
Si salvarono due cospiratori: Gaspare Bivona e Francesco Patti che, trovandosi nel convento, si nascosero sotto i morti e riuscirono quindi a fuggire tramite un foro praticato sul muro esterno da allora chiamato Buca della salvezza.
Nei giorni successivi, in città, si fecero preoccupanti le avvisaglie di una nuova sollevazione e ciò contribuì a rendere esemplare la sentenza per i rivoltosi della Gancia che furono tutti fucilati, senza processo, il 14 aprile 1860, malgrado Francesco II fosse propenso alla grazia.
In quella esecuzione accadde un fatto che si può definire eccezionale. Alla doppia scarica di fucileria sopravvisse uno dei cospiratori, Sebastiano Camarrone, che fu finito crudelmente con un colpo alla testa. La stessa cosa accadrà a Bronte a Fraiunco, lo scemo del villaggio: messo al muro dagli uomini di Nino Bixio e sopravvissuto alla scarica di fucileria, verrà finito con un colpo alla fronte dall’ ‘eroico’ generale garibaldino.
E fu nei giorni successivi ai fatti della Gancia che tornarono in Sicilia Rosalino Pilo e Giovanni Corrao “i dioscuri del ’60” per preparare lo sbarco di Garibaldi, tenendo accese le tensioni rivoluzionarie, ma soprattutto i collegamenti con le bande mafiose. Furono, in quel periodo, numerosi i summit che i due tennero in vari paesi per la mobilitazione dei picciotti di mafia e dei loro capi.
“E senza l’aiuto determinante della mafia – come dice lo storico Giuseppe Carlo Marino nel suo libro Storia della Mafia – Garibaldi in Sicilia non avrebbe potuto fare molta strada”.
Si può dire che le disgrazie della Sicilia cominciarono in quel lontano 4 Aprile del 1860 quando i due capipopolo Francesco Riso e Salvatore La Placa accesero una miccia che, con la venuta di Garibaldi e con la conquista della Sicilia costò, sino ai nostri giorni, lacrime e sangue alla nostra povera terra.
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Purtroppo ciò istituzionalizzò la mafia che poi chiese di saldare i conti alla politica, così a Roma la politica lavora insieme alla mafia ed i danni li subiamo tuttora ed anzi adesso siamo quasi al collasso come paese.
Un articolo schizofrenico quello del Coppola nel quale si elogia da un lato la dura repressione poliziesca di Maniscalco, e le fucilazioni sommarie alle quali furono sottoposti i rivoltosi senza l'ausilio di un regolare processo, dall'altro si cita la vicenda di Bronte, che non ha nulla a che vedere con la vicenda di Gancia.
Su Bronte mi limito a dire che ci sono pervenuti gli atti del processo e i motivi delle sentenze di colpevolezza (sarebbe meglio che si studiasse con attenzione la vicenda perché la questione di Bronte è un ginepraio), nel caso di Gancia fu un vero e proprio arbitrio da parte di Maniscalco, funzionario di polizia che agiva andando oltre i suoi poteri.
Essere cultori della storia significa raccontare e analizzare i fatti, non costruire tesi che sono frutto di una visione ideologica della realtà.
Gentile Fulgenzio. La Invito
a pubblicare gli atti e le
motivazioni delle sentenze
sulla strage di Bronte,nonchè
i reati commessi, quale codice
applicato, in nome e per
conto di quale autorità sono
state emesse. Di Lei, che dice
di Coppola, che "costruisce
dal nulla la sua visione ideo-
logica priva di qualsiasi serio
riscontro", mi aspetto, in
queste pagine, la pubblica-
zione totale delle sentenze
e delle ordinanze di
esecuzione.
Alla luce del fatto, che trattasi
di sentenze di morte irrevoca-
bili ed eseguite seduta stante
in assenza di alcuna possibili-
tà di appello. Si rimane in
attesa di un suo pronto
riscontro. Cordiali saluti.
E' possibile leggere gli atti del processo, lì si trovano le motivazioni della sentenza.
Si possono scaricare in internet andando in questo sito.
http://www.bronteinsieme.it/PDF/Fatti_1860-Il_Processo.pdf
Se volete saperne di più sulla vicenda di Bronte c'è un ottimo testo ben documentato della storica irlandese Lucy Riall intitolato La Rivolta, Bronte 1860, casa editrice Laterza che parte dalle vicende del 1799, ossia dall'assegnazione della Ducea di Nelson all'ammiraglio Horatio come premio per avere fatto condannare a morte l'ammiraglio Caracciolo e i componenti della Repubblica Partenopea, i rapporti tra i brontesi e la ducea; le rivolte siciliane del 1821, del 1848 e le vicende del 1860.
Causa del contendere la Ducea di Nelson.
Gentile Fulgenzio.
Una sentenza emessa a nome
di Vittorio Emanuele secondo
Re d'Italia. Di quale Italia si
parla nei fatti accaduti ?
Se non fosse per la gravità
dei fatti accaduti a Bronte
quegli atti, a mio parere
sembrano più una farsa da
teatro che altro. dopo tre
mesi dalla spedizione dei
mille, Bronte diventa Italia
e vengono emesse sentenze
di morte per i nuovi sudditi?
Quale Diritto consente tutto
ciò? Vorrei una sua risposta
convincente.
Caro Salvatore,
Non devo convincere alcuno, mi sono limitato a presentare gli atti di un processo per direttissima nel quale vi furono testimoni che hanno accusato gli imputati di avere scatenato violenze, saccheggio, furto e omicidi contro loro concittadini (Cappelli e/o Sorci) e degli imputati che proclamavano la loro innocenza per non avere partecipato alla mattanza.
E' un documento di grande importanza che ci permette di capire cosa accadde, perché accadde e per quale motivo i 5 imputati furono condannati a morte.
Agiungo che la Sicilia, che mal sopportava la presenza borbonica nell'isola, era ormai in perenne rivolta e anche se la vicenda di Ganca fu soffocata nel sangue, ormai l'incendio divampava ovunque e non poteva essre fermato, non a caso un mese dopo Garibaldi sbarcò in Sicilia; Coppola prende l'espisodio, lo decontestualizza dal periodo in cui si è verificato e costruisce dal nulla la sua visione ideologica priva di qualsiasi serio riscontro.
“…la Sicilia, che mal sopportava la presenza borbonica nell’isola…”
La resistenza di Caltanissetta ai moti “rivoluzionari” del 1820 che le valse l’appellativo di “Fedelissima”
– Babbaurra 1820, vincono i ribelli
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/07/17/babbaurra-1820-vincono-ribelli.html
– La Memoria del Comune di Caltanissetta al Parlamento Nazionale del 15 gennaio 1821, sui moti del 1820
https://books.google.it/books?id=dKlOy0ouTNIC&pg=PA14&lpg=PA14&dq=fedelissima+caltanissetta&source=bl&ots=v4beQ8SDxw&sig=8Vbl8qErGbR6JHAwnMaaGpoxTDQ&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjr9sDTwIHTAhWM7BQKHdEKAzcQ6AEIMzAE#v=onepage&q=fedelissima%20caltanissetta&f=false
La resistenza e l’opposizione, durante i moti (artificiosi) del ’20, di Trapani, Siracusa, Licata, Alcamo, Marsala, Calatafimi, Milazzo, Cesarò, Cefalù e tanti, tanti altri centri fedeli alla dinastia regia, ...tutte invenzioni…
http://cronologia.leonardo.it/storia/a1820b.htm
Garibaldi ad Alcamo: un equivoco Decreto inganna i siciliani
http://archivio.siciliainformazioni.com/cultura-arte/garibaldi-ad-alcamo-un-equivoco-decreto-inganna-i-siciliani/
Maduli, non stiamo parlando dei moti del 1821, ma dei moti del 1860, ci sono 39 anni di differenza tra il 1821 e il 1860 e in 39 anni, quasi quaranta, le situazioni politiche cambiano. Prima del 1848 le città siciliane erano divise politicamente; un esempio famoso lo troviamo nei moti di Catania del 1837, Palermo non si ribella e il Del Carretto noto per avere distrutto nel 1828 il paese di Bosco e fatto deportare i suoi abitanti, si occupò della repressione del moto scaturito da una epidemia di colera. A Catana si ricordano ancora oggi è intestata ai rivoltosi del 1837 la P.zza dei martiri della libertà.
Dal 1848 in poi la Sicilia diventa terra nella quale le città più importanti (Palermo, Messina e Catania si ribellano) al dominio borbonico, creano una repubblica autonoma e subiscono con violenza la repressioe del Filangeri.
Impariamo a contestualizzare i fatti ivece di cercare il pelo ell'uovo o l'inutile eccezione che secondo lei dovrebbe smentire fatti ben conosciuti e provati.
“…non stiamo parlando dei moti del 1821, ma dei moti del 1860…”
Città e paesi siciliani che si ribellarono all’invasione piemontese del 1860:
Castellammare del Golfo, Marineo, S. Margherita Belice, Mezzojuso, Calatafimi, Alcamo, Balestrate, Nissoria, Bronte, Alcara Li Fusi, Trapani, Marsala, Paceco, Cerami, Alessandria della Rocca, Palermo, Lercara Friddi, Bivona, Castiglione di Sicilia, Cefalù, Naro, Poggioreale, Misilmeri, Noto, Burgio, San Mauro Castelverde, Corleone, Termini Imerese, Racalmuto, Favara, Aragona, Comitini, Monreale, balestrate, Agrigento, Caltanissetta, Licata, Sciacca, Bagheria, Caccamo, Salemi, Petralia, Roccapalumba, Calatabiano, Canicattì, Polizzi Generosa, … , … , … , … , … , … , … , … , … , .. , .. , .. , .. , . , . , . , . , . , . , …
- Tommaso Romano, Sicilia 1860 – 1870, Una storia da riscrivere, ISSPE Edizioni.
“A Catana si ricordano ancora oggi è intestata ai rivoltosi del 1837 la P.zza dei martiri della libertà.”… “Dal 1848 in poi la Sicilia diventa terra nella quale le città più importanti (Palermo, Messina e Catania si ribellano) al dominio borbonico…”
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Catania: statua a Ferdinando II:
http://www.vivict.it/wp-content/uploads/2016/04/tmp_29867-Ferdinando-II-e-Palazzo-Biscari.JPG-2099240361.jpg
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Messina: statua a Carlo III:
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/e/e2/Carlo_III.jpg/249px-Carlo_III.jpg
Messina: statua a Ferdinando II:
http://www.duesicilie.info/Ferdinando%20II.JPG
Se si eccettua qualche raro caso di sanfedismo, legato alla superstizione e all'ignoranza, bisogna dire, non ci fu una reazione popolare, altrimenti i garibaldini avrebbero fatto la stessa fine di Carlo Pisacane.
Nella maggior parte dei casi, le questioni che hanno riguardato alcuni comuni della Sicilia riguardava la questione agraria (la terra ai contadini), solo che i garibaldini non avrebbero mai accettato forme incontrollate di jacquerie.
Non a caso si punivano i reati contro la proprietà, l'abigeato, il saccheggio e altri crimini punendoli con il Codice militare di guerra.
Se non si contestualizzanno i fatti non si capisce di cosa si parla.
Sui busti: che rimangano pure, non sono come i neoborbonici che fanno della damnatio memoriae la loro ragion d'essere.
“…qualche raro caso di sanfedismo, legato alla superstizione e all’ignoranza, bisogna dire, non ci fu una reazione popolare…”.
Decine e decine di sollevazioni popolari in numerosissimi centri dell’isola sarebbero “…rari casi…”.
Per non parlare della rivolta del “Sette e mezzo”…
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I busti di Catania e Messina dimostrano, al di là di eventuali “borbonismi”, che, contrariamente a quanto affermato, e cioè che “…le città più importanti (Palermo, Messina e Catania si ribellano) al dominio borbonico…”, in Sicilia non c’era affatto avversità al presunto “dominio” borbonico.