Sapevate che Garibaldi era uno ‘scafista’? Trasportava cinesi che poi venivano venduti come schiavi!

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Continua il ‘viaggio’ del nostro Ignazio Coppola nella mirabolante vita di Giuseppe Garibaldi. Oltre ad avere svenduto il Sud Italia ai Savoia, oltre ad essersi messo d’accordo con mafiosi e camorristi (rispettivamente nell’impresa dei mille in Sicilia e poi a Napoli), oltre che aver provato – lui massone – ad offrire i propri servigi alla Chiesa di Roma, l’eroe dei due mondi faceva anche il negriero. Se fosse vissuto oggi sarebbe un giorno sì e l’altro pure ospite fisso Sicilia tra Augusta, Pozzallo e Porto Empedocle…

di Ignazio Coppola

Tutto quello che avreste voluto sapere  su Giuseppe Garibaldi e non avete mai osato chiedere. Vi hanno mai raccontato i libri di storia che il nostro ‘eroe’, oltre che avventuriero, corsaro e predone, quando era esule in America fu scafista ante litteram e anche negriero? Altro che heroe de ambos mundos!

Un po’ di tempo fa, sul giornale la Repubblica, nella rubrica della cultura, in un articolo di Guido Rampolli, campeggiava un titolo a tutta pagina:

“Garibaldi fu negriero? Un mistero non chiarito” .

E, più avanti, sempre sulla pagina culturale, ma nell’edizione siciliana dello stesso quotidiano, su un articolo a firma di Tano Gullo, a proposito della spedizione dei Mille, campeggiava il titolo:

“Garibaldi, l’effimera rivoluzione dei generale gattopardo”.

L’articolo tendeva a dimostrare quanto mai la spedizione fosse una grande mistificazione storica con conseguenze deleterie che poi si ripercossero sui siciliani.

Una volta si diceva che era impossibile e quasi un reato parlare male di Garibaldi. Oggi i tempi sono cambiati, anche se da parte di alcuni – che per fortuna sono sempre molti di meno – stoicamente, si è tenta ancora di stendere un pietoso velo di complice omertà su verità, altro che gossip!, che riguardano questo equivoco personaggio, verità sconosciute ai più.

Ma torniamo al buco nero e infamante dell’attività di negriero del predicatore della “fratellanza universale”. Siamo nel 1850. Garibaldi, dopo la caduta della Repubblica Romana e la morte di Anita, è di nuovo in fuga e costretto a un secondo esilio. Va in Africa, prima a Tunisi poi a Tangeri; infine si imbarca sul veliero americano Waterloo alla volta di New York ove giunge la mattina del 30 luglio.

Al suo arrivo, anziché scendere dalle scalette come tutti gli altri passeggeri è calato dalla nave, poiché immobilizzato dall’artrite, con un paranco assieme ai bauli dei passeggeri. Per qualche tempo lavorerà nella fabbrica di candele di Antonio Meucci; poi, stanco di un lavoro a lui per niente congeniale, nell’ottobre del 1851, raggiunge il Perù.

A Lima ottiene da un suo connazionale, l’armatore Pietro Denegri, il comando di una nave, la Carmen, con un equipaggio di quindici uomini. Scopo dell’ingaggio era il trasporto di un carico di guano (sterco di uccelli e ottimo fertilizzante) in Cina.

Il 10 gennaio 1852, la Carmen, battente bandiera peruviana, al comando di Garibaldi, carica di guano, parte da Lima per raggiungere Canton tre mesi dopo, il 10 aprile. Dalla Cina, dopo aver venduto il fertilizzante, ripartirà per il Sudamerica con un carico di differenti generi: seta e “cineserie”.

“Pronto il carico, lasciammo Canton per Lima”, riporta Garibaldi nelle sue memorie. Ma di quale carico si trattasse non viene precisato dal nostro ‘eroe’, al contrario di altri casi dove nei suoi ricordi è pieno di dovizie di particolari. Chi, invece, è nella fattispecie prodigo di notizie e di lodi nei confronti del nizzardo è il suo armatore, Giuseppe Denegri, il quale mai si stancava di ripetere che “Garibaldi mi ha sempre portato cinesi (‘coolies’) grassi e in buona salute”.

L’armatore era contento perché, normalmente, avveniva che l’indice di mortalità fosse altissimo: tra il 15 e il 20% degli schiavi trasportati. Quindi, Garibaldi nel suo lavoretto da negriero era, in buona sostanza, a detta di Denegri, abbastanza umanitario, perché, durante il viaggio, trattava i ‘coolies’ più come uomini che come bestie. Praticamente, con queste affermazioni l’armatore intendeva ringraziare Garibaldi, schiavista buono, che non gli aveva deteriorato il “carico”, consentendogli così più lauti guadagni.

Ovviamente, il Denegri ometteva di dire quale fine facessero poi i coolies trasportati in genere dalle navi negriere, secondo gli usi e gli abusi di quei tempi e di quelle terre. I cinesi sbarcati a Cuba erano venduti in un apposito mercato e trattati come cani e maiali!

In Perù la situazione di quei poveretti era altrettanto tragica, in particolare per quelli impiegati nelle cave di guano (le guaneras) dove venivano sfruttati e giorno e notte sorvegliati da guardie armate per evitare che si suicidassero.

Gli estimatori e gli agiografi di Garibaldi, su questa infamante parentesi della sua vita, si prodigarono nel dire che non c’era niente di vero e che era tutta una montatura. Ma al di sopra di tutto vi è la disinteressata e anche, per quanto detto, per certi versi interessata, testimonianza del Denegri che, suo malgrado, getta un’ombra di infamante sospetto su questo “apostolo” della libertà delle razze e della fratellanza universale e mai come in questo caso il sospetto fu l’anticamera della verità.

Come se son bastasse, in una intervista del 20 gennaio 1982 (sempre sul giornale la Repubblica), nel centenario della morte del plurieroe, anche Giorgio Candeloro, storico del cosiddetto risorgimento, alla giornalista Laura Lilli che gli chiedeva una “valutazione su un Garibaldi vero, fuori retorica”, lo storico confidava:

“Comunque Garibaldi, un po’ avventuriero, un po’ uomo d’azione, non era tipo da lavorare troppo a lungo in una fabbrica di candele. Va in Perú; e, come capitano di mare, prende un ‘comando’ per dei viaggi in Cina. All’andata trasportava guano (depositi di escrementi di uccelli che si trovano nelle isole al largo del Perú), al ritorno trasportava cinesi per lavorare il guano: la schiavitú in Perú era stata abolita e il guano non voleva lavorarlo più nessuno”.

Insomma – afferma Candeloro – un lavoretto un po’ da negriero. E così lo storico conclude l’intervista a proposito di Garibaldi:

“Era un avventuriero, un uomo contraddittorio, fantasioso, un personaggio da romanzo“.

In sostanza il risorgimentalista Candeloro dà per scontato che la Carmen avesse trasportato ‘coolies’. Quei cinesi, come già detto, venivano venduti come bestiame, per l’esattezza “come cani e maiali”, sui mercati di carne umana di Cuba, Stati Uniti e Perú, e in quest’ultimo Paese, guarda un po’, venivano dirottati nelle cave di guano dove il manico del mestolo lo manovrava anche quel Don Pedro Denegri armatore della Carmen la nave di Garibaldi che gli trasportava i ‘coolies’.

L’Italia è il Paese dove, qualche tempo fa, qualcuno ha definito lo stalliere di Arcore un eroe ed a questo punto non c’è tanto da meravigliarsi se, per 160 anni a questa parte, un negriero, un avventuriero, un corsaro e un predone è stato, a sua volta, dalla storiografia ufficiale e di regime, definito parimenti un eroe. Sic transit gloria mundi.

 

 

Visualizza commenti

  • Devo proprio esprimere la mia solidarietà a Ignazio Copppola: dev’essere faticoso andare con tanto impegno alla caccia di notizie che servano comunque a denigrare il suo arcinemico Garibaldi.
    Qui ne ha scovata una così ben occultata da aver trovato spazio ripetutamente su giornali come “Repubblica” e così ignorata dalla storiografia che Coppola la fa avvalorare dall'opinione di Giorgio Candeloro.
    Garibaldi fu dunque uno schiavista, commerciante di cinesi: lo confidò (a chi Coppola, che alle citazioni è allergico, non dice: ma è un’annotazione di Jack La Bolina, alias A. V. Vecchi, La vita e le gesta di Giuseppe Garibaldi, Bologna, Zanichelli, 1882, p. 97) l’armatore Pietro De Negri, proprietario della nave usata per questo traffico. Garibaldi avrebbe dunque strappato a forza dei "chinesi" - come li chiama De Negri - dai loro villaggi, li avrebbe trasportati a Canton, incatenati sulla nave – che schiavista sarebbe altrimenti ? - e infine consegnati al De Negri, dopo un viaggio tremendo, “tutti grassi e in buona salute”. E li avrebbe consegnati “sempre”, dice De Negri, avverbio che lascia intendere una molteplicità di viaggi che sommano, secondo quanto ne riferisce lo stesso Coppola, addirittura ad uno: numero che, a rigor di logica, col “sempre” fa un po’ a pugni.
    È vero che storici di vari paesi hanno smentito questa affermazione sulla base della documentazione disponibile: ma, come è noto, sono tutti loschi figuri prezzolati. Comunque, se proprio qualcuno volesse informazioni sull'argomento, le cerchi in un saggio di Francesco Capece Galeotta, Il “secondo esilio” di Giuseppe Garibaldi, apparso sulla rivista di Orazio Cancila Mediterranea, anno V, dicembre 2008, e segnatamente alle pp. 663-664, con l’indicazione di fonti e bibliografia. La si trova on line e dunque non costa nessuna fatica.

  • A me pare strano che una notizia del genere non sia apparsa nei testi di Candeloro, nulla di tutto quello che Coppola racconta, risulta nei suoi volumi. Tra l'altro l'impostazione storiografica di Candeloro è gramsciana e tutti sanno che la critica di Gramsci si basa sulla macata rivoluzione agraria, tesi cofutata dal siciliano Romeo nel suo Il Risorgimento in Sicilia e RIsorgimento e Capitalismo

    Sarei curioso di leggere questa intervista per sapere quando, dove è apparsa, Candeloro è morto nel 1988 ed è strano che sino ad ora non ci sia stata alcuna reazione a quello che avrebbe detto.

    P.S. Non riesco a capire i motivi di questa assurda acredine da parte di Coppola nei cofronti di Garibaldi.

    Sembra quasi che sia una questione personale tra lui e il nizzardo

  • Chi cerca trova; sembra che sia stata la Chiesa di Hong Kog a creare il mito del negriero..

    "Stasera la scena è completata da un sampan con le vele rosso-sangue e vertebrate da quattro boma in successione verticale. Sul tutto va spalmata la patina grigia del tramonto, come un vapore che sfumi il contorno degli isolotti, smorzi il rosso del sampan e renda ogni presenza misteriosa come lo è, da allora, il viaggio in Cina di Garibaldi. Garibaldi comandava una nave peruviana, la Carmen, diretta a Canton con un carico di guano. Ne aveva ottenuto il comando a Lima, una delle tappe del suo esilio successivo alla fine della Repubblica romana (1849). L' arrivo in Oriente di un libertador già allora caro a tutti i rivoluzionari d' Europa suscitò eccitazione non solo nella comunità occidentale della costa, ma anche tra i prelati cattolici. Questi ultimi si affrettarono ad informare missioni in Cina e gerarchie ecclesiali con gran sfoggio di sarcasmi. Spicca per astio monsignor Rizzolati, vicario apostolico di Hukwang: "L' ex Maresciallo Garibaldi è qui giunto dall' America con un carico della più eccellente Merda d' uccellame di quelle contrade. Si credeva fare ottima specolazione, ma il suo viaggio essendo stato troppo lungo, dovrà piuttosto perdere che guadagnare". E altrove, di nuovo segnalando l' arrivo della Carmen (ribattezzata dal monsignore Madonna del Carmine per assonanze liturgiche): "Il suo carico è di sterco d' uccelli, onorifica proprietà d' un Maresciallo di quella serenissima Republica (la Repubblica romana)... Ecco quei grandi avventurieri che tiranneggiarono la Santa Città, ritornare a quella vile bassezza da cui indarno cercarono di emergersi". Tanto scherno faceva velo al terrore che Garibaldi incuteva nella Curia. Al punto che sul dorso di una banale nota informativa giunta alla Propaganda Fide in Roma, un anonimo impiegato così appuntò: "Il diavolo di Garibaldi è andato in Cina con la squadra (navale) peruviana". Il malanimo dei prelati, e soprattutto la loro evidente ansia di denigrare, forse non sono elementi secondari in questa storia, e della sua parte irrisolta: il ritorno di Garibaldi in Perù. "Pronto il carico, lasciammo Canton per Lima", scrive Garibaldi. Quale carico? Un carico umano, secondo una voce che circolava già nel secolo scorso. Coolies. Ufficialmente, liberi emigranti. Ma nella realtà, quei liberi emigranti erano, almeno in una quota significativa, semi- schiavi costretti a imbarcarsi con violenze e minacce, forza- lavoro venduta e commerciata come bestiame con Cuba, gli Stati Uniti e il Perù. Giuliano Bertuccioli, il sinologo che anni fa ricostruì il viaggio in Oriente, si convinse che il Garibaldi "negriero" apparteneva al novero delle "calunnie" certamente messe in giro dagli ambienti più retrivi del clero di Hong Kong o di Macao."

    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/03/04/garibaldi-fu-negriero.html

    Una maligità del clero di Hong Kong

  • Ultima precisazione. L'autore dell'articolo apparso su Repubblica il 4 marzo 1998 - lo trascrive qui sopra Fulgenzio - si chiama Guido Rampoldi, non Guido Rampolli.

  • Scusate per ladro di cavalli quale episodio gli fu addebitato? In particolare per le orecchie mozzate percaso perché era amante di una mujeres brasiliana e il padrone gliele fece tagliare per non essere chiamata cornutone ma lo fece arrestare come ladro di cavalli?

  • Leggendo queste notizie mi pongo la domanda su quanta sofferenza umana sia stato costruito lo sviluppo di tanti paesi che oggi dovrebbero essere ricchissimi (leggi Perù) e non lo sono lo stesso. Il resto, se è vero, dovrebbe farci riflettere e perlomeno, nel dubbio, prendere le distanze da certi personaggi considerati eroi dalla storiografia nazionale.

  • Carissimi, già una volta ho scritto al vostro sito mettendo in risalto come Garibaldi non fu proprio lo spregevole individuo che certa propaganda falsamente meridionalista, ma concretamente anti-italiana, tende a descrivere oggi. E lo feci in merito alla difesa dei briganti ad opera dello stesso Garibaldi
    Anche questa volta attingo alle fonti e a chi ha studiato meglio ed in maniera più documentata la storia di Garibaldi e del suo tempo.
    Sulla storia di “Garibaldi negriero” si specula tuttora in maniera grossolana.
    Ma veniamo alle fonti storiche. Quella che parla di Garibaldi e dei cosiddetti cinesi è Augusto Vittorio Vecchi, non di altri, che nel 1882 pubblico' ''La vita e le gesta di Giuseppe Garibaldi''. Vecchi scrisse, e mai e' stato smentito, che tra il 1851 e il '53 Garibaldi comando' una barca peruviana, ''El Carmen'', trafficando con cinesi a bordo.
    Però di recente, uno studioso inglese Philip Kennet Cowie, autore di un articolo per la ''Rassegna storica del Risorgimento'', diretta dal professor Giuseppe Talamo, ha scoperto che tutto ciò deriva da un equivoco o meglio da un errore di traduzione, afferma Cowie: il biografo Vecchi tradusse in modo sbagliato dallo spagnolo la testimonianza da lui raccolta a Lima dalla viva voce di Pedro De Negri, l'armatore e proprietario del vascello ''El Carmen''.
    Già il De Negri avrebbe detto: ''M'ha sempre portati i cinesi nel numero imbarcati e tutti grassi ed in buona salute; perche' li trattava come uomini e non come bestie'' Quindi tutt'altro che disumano fu il trattamento riservato agli uomini delle sue navi, ma c'è di più.
    Il professor Cowie, con una ricerca d'archivio nella capitale del Peru', ha scoperto con certezza che la nave comandata da Garibaldi non aveva mai avuto a bordo dei cinesi, ma solo carichi di ''cineserie'' o merci cinesi, soprattutto tessuti e prodotti tessili. Consultando gli relativi degli imbarcati, ci accorgiamo infatti che sul cargo del ''Carmen'' erano saliti al massimo ''26 hombres de mar'', cioè marinai, tra i quali almeno sei erano italiani: il vascello infatti non poteva trasportare passeggeri né ne aveva la stazza o l'equipaggiamento.
    Ma allora come è venuta fuori la storia dei cinesi?
    Semplicemente da un errore di traduzione, poi abilmente strumentalizzato già da allora dai denigratori di Garibaldi. La cosa infatti ridicola è che i denigratori di oggi e quelli di 150 anni fa dicono e ripetono esattamente le stesse cose. L'unica differenza è che allora si usava il pettegolezzo, oggi esso è amplificato dal web.
    Lo storico Cowie infatti ci informa che il biografo ottocentesco tradusse il termine spagnolo ''chino'', pronunciato dall'armatore, con ''cinesi'', mentre allora, in Peru', aveva semplicemente il significato di indigeno. Se ne deduce quindi che gli indigeni menzionati dal proprietario del vascello altri non erano che i marinai peruviani, quindi non schiavi, ma semplicemente la ciurma necessaria alla navigazione. E che quindi Garibaldi trattava molto bene non gli schiavi che trasportava ma l'equipaggio che doveva essere molto caro all'armatore per poterlo riutilizzare.
    Precisiamo che Cowie è uno studioso di levatura internazionale e degno di massimo rispetto
    http://digilander.libero.it/pkcowie/storia.htm
    Cordiali saluti
    prof. Carlo Felici

    • Scusate volevo dire non "Consultando gli relativi degli imbarcati" ma "consultando gli archivi relativi agli imbarcati"

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