Cari Siciliani, Roma ci tratta come una colonia. Liberiamoci da uno Stato che ci deruba

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Che Stato è uno Stato che, nell’arco di 26 anni, si trattiene ben 152 miliardi di Euro nostri? Che Stato è quello che si prende annualmente il 30% delle entrate nostre? Ma la libertà, prima di esser politica, deve essere culturale. Prima di essere sancita nelle Carte, deve essere ben chiara nelle nostre teste e nei nostri animi. E nella nostra agricoltura. Liberiamoci di tutti i prodotti tossici che arrivano sulle nostre tavole. E torniamo ai nostri prodotti di eccellenza, dal nostro grano alla nostra ortofrutta 

Qual è il primo passo verso la libertà? L’aver compreso che in atto non siamo liberi. E’ il passo decisivo e il più difficile, perché con il loro perpetuarsi, le condizioni in cui viviamo ci appaiono normali, le uniche possibili. E così diventa normale che uno Stato che ha il compito di educare e proteggere e migliorare la vita di tutti i suoi cittadini ne tratta alcuni come esseri inferiori, tenendoli in uno stato semicoloniale.

Nel nostro blog abbiamo fatto denunce di una gravità assoluta nei confronti dello Stato. Che ci sottrae risorse di nostra spettanza a sette zeri, che ci dirige attraverso proprio commissario (leggere l’assessore Alessandro Baccei): insomma. una sorta di armata coloniale con il compito di tenerci prigionieri, traendone i massimi benefici.

La circostanza che anche con il cambio di maggioranza al governo – da centrodestra a centrosinistra – in Sicilia nulla è cambiato, ci deve far capire che la nostra soggezione non è una questione politica, ma di sistema: un sistema di rapporti cui la politica, questa politica, soggiace.

Ma la riuscita di questa operazione non sarebbe possibile se non ci fosse stato nel tempo ed esista ancora, più agguerrito che mai, il circolo delle belle gioie: gli intellettuali e i giornalisti, gli ascari della penna venduta che fanno apparire il desertum un ordinem, sia quando devono tenere la linea di galleggiamento, ma soprattutto quando lo Stato francamente esagera e allora sono costretti a dire che ce lo siamo meritato, come conseguenza della nostra manifesta inferiorità culturale e civile. Come se anche questo, anche se fosse, non sarebbe il risultato cercato e voluto di una politica di  abbandono e diffamazione.

In questo contesto la ricerca della libertà personale e della libertà civile coincidono necessariamente e tutto trova il suo fine nella ricerca dell’indipendenza. Un‘indipendenza che, prima di esser politica, deve essere culturale. Prima di essere sancita nelle Carte deve essere ben chiara nelle nostre teste e nei nostri animi.

L’imperialismo non si misura con la vastità delle terre conquistate al di fuori dei propri confini storici, né nel col numero dei popoli assoggettati. La misura dell’imperialismo è anch’essa un fatto culturale. I Savoia che fanno le loro piccole guerrette di espansione sono mossi dallo stessa causa che ha costruito l’impero inglese. Ma noi non l’abbiamo capito. Noi purtroppo non abbiamo avuto un generale nemico che ci abbia detto con la stessa brutale franchezza con cui Custer lo disse a Toro Seduto: “Voi siete un popolo militarmente sconfitto”.

Ci hanno detto che ci civilizzavano. E i nostri nobili e la nostra striminzita ma colta borghesia ce l’ha fatto credere. Almeno sarebbe chiara la nostra reale condizione dall’unità ad oggi. Una condizione che, messo alle strette da una rivoluzione, lo Stato sostanzialmente riconobbe con la concessione dello Statuto. Quantomeno, nei suoi istituti autonomistici, si azzeravano 85 anni di sfruttamento e di prevaricazioni, e i siciliani venivano riconosciti come creditori in termini economici e morali.

Sulla carta però, perché dal giorno dopo l’attitudine imperialista riprese il sopravvento e, attraverso la sua armata coloniale, non ci dette il nostro e si ripigliò tutto quello che ritenne suo. Peggio dei Borbone, che almeno la Costituzione la davano al bisogno e la ritiravano, para para, al cessato pericolo, senza tatticismi!

Che Stato è uno Stato che, nell’arco di 26 anni, si trattiene ben 152 miliardi di Euro nostri?

Che Stato è quello che si trattiene annualmente il 30% delle entrate nostre?

Perché dovremmo ancora farne parte?

Voi pensate che di fronte ad una classe politica autorevole e determinata tutto questo sarebbe stato possibile senza conseguenze?

Ricordate però l’esempio della rana bollita (ve l’abbiamo raccontato qui).

Questo noi siamo stati finora in maggioranza, facendo il gioco di chi vuole tenerci in condizione di minorità.

Noi non cerchiamo, come è stato in passato e come ripetono in tanti ancora oggi, di fare breccia nel sistema: “Basterà che riusciamo ad eleggere all’Assemblea regionale siciliana anche un solo deputato e faremo la guerra”. Di solito questo lo dice chi spera di essere lui quel solo. Noi vogliamo molto, molto di più.

La libertà, prima che politica, deve però essere economica. Noi dobbiamo lottare contro il colonialismo alimentare, la concorrenza sleale di prodotti fatti nel terzo mondo e buoni per il terzo mondo; dobbiamo lottare per l‘affermazione dei nostri prodotti, per le nostre eccellenze. Dobbiamo scalzare dai banchi di vendita i prodotti tossici e velenosi che ci impongono ed essere liberi di acquistare quelli fatti in Sicilia.

Il nostro obbiettivo non deve essere il guadagno di pochi centesimi in più, il nostro obbiettivo è consegnare la guida della Sicilia a chi produce, lavora e si impegna per dare alla Sicilia quello di cui ha bisogno.

Se dopo questi ultimi 70 anni la Regione, come per un sortilegio, sparisse nel nulla, che cosa testimonierebbe ai posteri il suo passaggio nell’Isola? Qual è il monumento, il documento, la testimonianza gloriosa che lascerebbe dietro di sé? Non so rispondere.

Dunque consapevolezza del nostro attuale stato, convincendoci e ripetendoci freudianamente: “Non è colpa nostra, non è colpa nostra, non è colpa nostra”. Non per assolverci, ma per reagire ed agire.

Foto tratta da studistorici.com

 

 

 

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  • RAGAZZI, CONDIVIADIAMO A DIFFONDIAMO LA NOSTRA VOLONTà DI RENDERE LA SICILIA STATO AUTONOMO E INDIPENDENTE. POSSIAMO VIVERE CON LA NOSTRA AGRICOLTURA "GENUINA" CHE TUTTO IL MONDO VERREBBE AD ACQUSTARE E CON I MONUMENTI CHE TUTTO IL MONDO CI INVIDIA E CHE VIENE AD AMMIRARE. iL TURISMO PORTA DENARO FRESCO NELLE NOSTRE TASCHE, DOBBIAMO SALVAGUARDARE E CURARE I NOSTRI MONUMENTI E DOBBIAMO CAMBIARE LA CULTURA CHE MOLTI SICILIANI HANNO DEL TURISTa CHE NON è UN POLLO DA SPENNARE, MA è UNA MIN IERA D'ORO CHE PRODUCE RICCHEZZA. DOBBIAMO RITORNARE AI NOSTRI PRODOTTI GENUINI DELLA NOSTRA TERRA. DOBBIAMO SENTIRE IL GUSTODI OGNI CIBO E NON SENTIRE L'INSIPIDO. SE METTETE IN AMMOLLO I FAGIOLI BORLOTTI, PRIMA DI CUCINARLI, L'ACQUA DELL'AMMOLLO CAMBIA DI COLORE E DIVENTA MARRONCINO E LA BUCCIA DEI FAGIOLI DIVENTA BIANCA. QUESTO SIGNIFICA CHE QUEI FAGIOLI SONO STATI "MANIPOLATI" E SONO PRODOTTI DERIVATI DALLE MANOPOLAZIONI DEI LABORATORI CHIMICI. ECCO PERCHè ANCHE NEI NOSTRI INTESTINI I FAMOSI BATTERI CHE DISTRUGGONO QUALSIASI FORMA INIZIALE DI TUMOPRE, SONO ASSENTI E CIò è LA PRIMA CAUSA DEI TUMORI AL COLON. NOI VOGLIAMO MANGIARE "NATURALE". NOI VOGLIAMO BERE "NATURALE", NOI VOGLIAMO VIVERE "NATURALE". AIUTIAMOCI, GRIDIAMO, PROTESTIAMO CONTRO TUTTE LE MANIPOLAZIONI DEI PRODOTTI DELLA TERRA. VOGLIAMO LA PASTA, IL PANE, CON TUTTI I DERIVATI, FATTI DA GRANO PRIVO DI GLUFOSATI CONTENUTI NEI "SECCATUTTO" E DISERBANTI CHE SONO LA CAUSA DELLA "SLA" E DEL MORBO DI ALZHEIMER. AIUTIAMOCI, SOLTANTO NOI POSSIAMO VINCERE QUESTE BATTAGLIE PER RITORNARE A MANGIARE SANO PER VIVERE SANO, PER NOI E PER I NOSTRI FIGLI. GETTIIAMOA AMRE E DISTRUGGIAMO I POLITICI CHE HANNO INTERESSE SOLTANTO A IMPINGUARE LE LORO TASCHE CON GLI STIPENDI "POLITICI" DA NABBABBI. RIPRENDIAMOCI AL NOSTAR TERRA, LIBERIAMOLA DA QUESTE SANGUISUGHE E DA QUESTI PARASSITI, DA QUESTI INCAPACI E INDEGNI. GRAZIE RAGAZZI, LA NOSTRA FORZA "UNITI" è INARRESTABILE.

  • è veramente lo stato che ci tratta da colonia oppure abbiamo semplicemente una classe politica LADRA ? mi sembra che la Sicilia sia una regione molto rappresentata sia in Senato che alla Camera , che abbia nelle istituzioni molti rappresentanti (presidente in prima fila) , che ci siano anche le leggi per far da soli e bene .... dunque è veramente lo stato che ci tratta da colonia o quando andiamo a votare lo facciamo da sudditi ???

    • La risposta è semplice semplice. Ha ragione i siciliani hanno sbagliato in cabina elettorale perché non hanno mai dato forza ad un partito esclusivamente siciliano che nella Sicilia e per la Sicilia esaurisse le ragioni della sua esistenza. I parlamentari che la Sicilia manda a Roma appartenevano e appartengono a partiti che hanno un capo politico fuori dalla Sicilia. Quelle poche esperienze politiche che intendevano, a parole, difendere l'autonomia siciliana hanno condotto operazioni solo di facciata perché avevano alleanze strutturali con partiti non siciliani.
      Per una vera rottura col passato bisogna dare fiducia a chi rifiuta in linea di principio alleanze strutturali con partiti che abbiano capi politici al di fuori della Sicilia. Viste le condizioni in cui versa la Sicilia si tratta probabilmente dell'ultima chiamata ( e sono ottimista di natura).

      • La dialettica degli interessi non è solo tra classi sociali ( secondo la classica impostazione marxiana) ma è anche tra territori. La Sicilia ha sempre avuto interessi più o meno confliggenti rispetto ad altri territori dello Stato italiano. Lo Statuto siciliano del 1946, antecedente la stessa nascita della Repubblica italiana, ne è la presa d'atto: i nostri Padri Statutari subordinarono pertanto l'adesione della Sicilia alla nascente Repubblica all'adozione di uno status giuridico-costituzionale differenziato, in cui il privilegio non era l'attribuzione di ciò che la Sicilia non aveva bensì l'attribuzione di disporre liberamente di ciò che la Sicilia aveva per meglio perseguire gli interessi delle sue genti.

        Subito dopo l'unità: fiscalismo, leva militare che per anni sottraeva braccia alle campagne della Sicilia, politiche economiche atte a trasferire ricchezza dal sud al nord... tutti fattori che determinarono un profondo squilibrio cui il Meridione e la Sicilia non ebbero la forza di reagire stante il centralismo 'nordico' dello Stato liberale prima e della dittatura dopo.
        Lo Statuto dell'Autonomia siciliana nell'immediato dopoguerra era la presa d'atto della diversità d'interessi tra la Sicilia e le restanti parti del territorio della nascente Repubblica. Rimase in gran parte inattuato ( e le politiche economiche italiane poterono continuare a perpetuare e accrescere gli squilibri) perché la classe politica regionale anziché perseguire gli interessi 'territoriali' della Sicilia perseguì interessi politici ( e personali) di partiti aventi orizzonti territoriali più ampi. Nei siciliani si indusse un lungo sonno presentando come privilegio e favore ciò che era diritto, da qui clientelismo, cattiva gestione della cosa regionale etc etc .
        La causa principale del fallimento dell'autonomia statutaria ( o meglio della sua mancata attuazione perché le norme in sé considerate sono 'bellissime') sta dunque nella mancanza di un partito ESCLUSIVAMENTE siciliano, un partito solo per la Sicilia e nella Sicilia: e il passato diventa monito per il futuro.

  • Ecco perché la triplice libertà di cui parla il direttore deve essere perseguita unitariamente: libertà culturale per ristabilire la verità storica e comprendere le ragioni genetiche dello svuotamento dell'autonomia; la storia è maestra di vita quindi... libertà politica per rompere la prassi fin qui tenuta dalla classe politica regionale subalterna a un capo esterno ( sia esso a Roma a Milano o a Genova); solo così si potrà avere la libertà economica per migliorare le condizioni del popolo siciliano informando la gestione della cosa regionale a principi di efficacia efficienza equità e appropriatezza.

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