La Festa dei Morti: dal culto di Demetra ai nostri giorni

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Lo storico Natale Turco, in questo articolo del 1986, ripercorre le origini di una celebrazione che affonda le sue radici in un passato lontanissimo: il culto Demetriaco della discesa agli Inferi

 

In Sicilia il culto della Dea Madre assimilata poi alle divinità Demetra e Kore (o Persefone), come testimoniano Diodoro Siculo, Cicerone, Livio, Callimaco, Claudiano, Ovidio e lo stesso Aristotele, affonda le sue radici in un passato lontanissimo. Il mito narra di Persefone, figlia di Demetra e Zeus che mentre raccoglieva fiori, nella pianura sotto Enna, venne rapita da Ade. La madre, cercò la figlia per nove giorni, girando per tutto il mondo conosciuto e, irata, fece appassire ogni pianta e provocò una terribile siccità, minacciando ogni forma di vita.

Zeus tentò convincere la dea a riprendere il suo posto, ma lei rispose che non l’avrebbe fatto fino a quando Kore fosse stata costretta a vivere nel mondo sotterraneo. Messo alle strette, Zeus chiese ad Ade di restituire la giovane, Ade acconsentì, ma indusse la fanciulla a mangiare un chicco di melograno (chi avesse mangiato negli Inferi, lì sarebbe rimasto) di conseguenza, Persefone, avrebbe dovuto trascorrere, almeno una parte dell’anno, nel mondo sotterraneo, proprio come il seme, che vive nel sottosuolo, per germogliare, poi, alla luce del sole e portare frutti. Kore venne quindi restituita alla madre, con la condizione che un terzo dell’anno avrebbe dovuto trascorrerlo con Ade nel regno dei morti. Il ritorno di Kore sulla terra pose fine alla siccità, il grano tornò a germogliare.

Il mito rappresenta una delle varianti più famose dei culti dedicati al ciclo di vita e di morte, rinascita e trasformazione e tutta la cultura classica, soprattutto in Sicilia, è impregnata di questo culto (i riti eleusini). 

Anche la Festa dei Morti sarebbe da ricollegare a questa tradizione come sostiene lo storico Natale Turco (1922-1987) in questo articolo del 1986 scritto per il movimento TerraeLiberazione.

 

 

LA FESTA DEI MORTI

di Natale Turco

La ricorrenza religiosa della Nazione Siciliana che ripropone il mito storicamente disperso, ma onnipresente nella coscienza isolana, del culto Demetriaco della discesa agli Inferi, è la neolitica Festa dei Morti, che la Chiesa ha trasposto nella Commemorazione dei Defunti del 2 novembre.

Essa è attesa dai piccoli e dagli adulti per il fascino misterioso che esercita sull’istinto particolare del nostro (composito etnico), disposto, naturalmente, ad accettare la trasposizione dell’atavico culto dei crani, cosparsi di ocra magica e vivificatrice: usanza religiosa testimoniata dai reperimenti delle sepolture di san Teodoro, del Parco della Favorita, di Castelluccio, Priolo, Melilli, Augusta ecc.

Solamente in Sicilia la data del 2 Novembre coincide con l’antichissima Tradizione del lascito, la Truvatura, dei balocchi ai bambini, da parte dei familiari defunti. Fino a poco tempo addietro era diffuso il costume del banchetto funebre, a sanzionare la continuità della vita dopo ogni funerale: u Cùnzulu. E nel culto di Demeter –(che per Nove Giorni, in lutto, digiuna al buio)- si situa l’origine del Rito del provvedere per Nove Giorni ai pasti del parente o amico colpito da un lutto familiare, chè nella sua casa non si può accendere il Fuoco. E qui traspare l’arcaica tradizione del banchetto totemico. (…)

All’alba del 2 novembre, ogni bimba dell’Isola salta dal letto e si mette a frugare nei luoghi più impensati della propria casa, alla ricerca di tutto ciò che i suoi morti le hanno lasciato: la bambola, il carrozzino, il giocattolo sempre più moderno della civiltà dei consumi, ma trova pure, sempre, la sua piccola scopa, l’antica scopa siciliana di ddisa, simbolo del matriarcato remoto (e della funzione di direzione e d’ordine dello spazio clanico che la Donna vi esercitava).

Ogni bambino, invece, troverà sopra o sotto il lettino la sua spada e il suo elmo di un tempo!.

I picciriddhi siciliani hanno cominciato a conoscere l’albero di Natale e la Befana negli anni Sessanta, da quando cioè la parte più sana della popolazione è stata forzata all’emigrazione in Europa e Oltreoceano dalla politica di denazionalizzazione dell’Isola-Nazione dei Siciliani. (…)

La Festa dei Morti è anche Festa di Dolci. La frutta e i pupi di pasta martorana, di Tradizione siqillyana salvata dalle Monache palermitane, i Nzuddhi alla mandorla, i Rami di Napuli; e i mitici “Ossa i Morti”, biscotti duri di pasta garofanata, che evocano, in profonda leggerezza, col senso del Tempo elaborato dalla Civiltà Siciliana nell’Arco dei suoi Millenni, il “Grandioso Dramma Rituale” inscenato dalla Religio dei nostri Grandi Antichi, nella sua essenza Magica. Il cannibalismo rituale, “cerimonia di un mito originario, che assicura la continuità della Vita oltre la Morte, e che rappresenta l’identificazione del vivo nel suo defunto”.

“L’Identità è un’uguaglianza inconscia” (C. Jung)

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  • Ringrazio l'Autore dell'articolo ed il Direttore del blog per averci messo a disposizione questa perla culturale.
    Molto bello ed interessante questo articolo antropologico sulle origini della festa pagana dei morti e sulla sua fusione con la cultura occidentale-cristiana.
    Ma più importante mi sembra , nella nostra tradizione, rendere omaggio alla festività dei morti in qualità di culto dei morti, come nostri parenti, fedeli defunti.
    Culto che prende origine dal tradizione greco-romana, in cui i Mani, diventati poi i Penati erano ricordati, rispettati e venerati come ascendenti datori della vita, ma anche , in virtù della morte che li divinizzava, come divinità protettrici della casa e della famiglia .
    Nella tradizione cristiana i Penati, o Lari, sono diventati le Anime dei nostri Cari Defunti.
    Defunti che veneriamo, preghiamo, di cui chiediamo la protezione e per i quali , in un continuo scambio di affetto, intercediamo presso Dio, affinché raggiungano quella Gloria Immortale di cui si permea la nostra speranza quotidiana.
    È una tra le festività più commoventi, quella in cui sentiamo più vicini coloro che ci hanno preceduto nel sonno della Pace, quasi come se il velo tra la nostra e la loro realtà diventi per un giorno più trasparente.
    Nulla a che vedere con la sulfurea tradizione di Hallowen, che abbiamo mutuato in maniera acritica dalla tradizione anglosassone, celtica, e che durante la notte del 31 ottobre porta a celebrazioni sarcastiche della morte, nella migliore delle ipotesi, o , peggio, a evocazioni sataniche dei morti.
    Dovremmo essere più attenti a conservare ciò che di buono abbiamo nella nostra cultura ed anzi a farlo conoscere agli altri e dovremmo rendere più attenti nel discernimento della bontà di eventi e frequentazioni i giovani, sensibili alle mode e, spesso, carenti concoscitori dell'origine di tali mode.

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