La storia Giovanna Bonanno – la Vecchia dell’aceto – assassina seriale nella Palermo del 1789

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Visse nel periodo del viceré Domenico Caracciolo. Nel popolare quartiere della Zisa divenne nota perché aiutava a liberare le donne da mariti ‘ingombranti’. Li avvelenava e i medici del tempo non riuscivano a capire di che cosa morissero i disgraziati ai quali le donne davano a bere il suo “Arcano liquore aceto”. Ma un giorno commise un errore…

Il 30 luglio del 1789 Giovanna Bonanno, detta la Vecchia dell’aceto, pendeva dalla forca allestita per l’occasione in Piazza Vigliena, ai Quattro Canti di Palermo, in esecuzione di una condanna a morte a conclusione di un processo per veneficio e stregoneria.

Fu una assassina seriale, come si direbbe oggi, vissuta durante il regno del viceré Caracciolo. Il suo nome da ragazza era Anna Pantò, moglie di un tale Vincenzo Bonanno.

La scoperta del liquido di cui si servì per avvelenare le sue vittime fu abbastanza casuale. Era infatti venuta a sapere che una bambina, per errore, aveva assaggiato aceto contro i pidocchi ed era morta. Da quell’episodio scaturì l’intuizione che cambiò la sua misera vita e quella di molte donne infelicemente sposate.

Dai documenti processuali risultò che la Bonanno fosse persuasa di offrire un servizio socialmente utile per ridare la serenità a quanti volessero disfarsi del proprio coniuge. Procurarsi il liquido per i pidocchi non era difficile, né fu complicato addizionarlo con vino bianco e arsenico.

Il fatto che per i suoi “servigi” si facesse pagare era ovviamente irrilevante.

La prima cliente di Giovanna fu una sua vicina che desiderava “separarsi” dal marito per dedicarsi totalmente al suo amante. Nessun medico riuscì ad accertare la causa della morte di quel marito ingombrante, e questo diede a Giovanna la certezza di non essere scoperta. Fu così che cominciò a chiamare la sua mistura “Arcano liquore aceto”.

Nel quartiere popolare della Zisa, a Palermo, cominciarono a verificarsi morti molto misteriose. Dapprima il fornaio, la cui moglie era diventata insofferente, poi un nobile, colpevole di aver dilapidato il patrimonio familiare, poi ancora la moglie di un altro fornaio, che sospettava di essere tradito, poi ancora un tale che costituiva elemento di disturbo tra la propria moglie e il giardiniere.

L’infame carriera di Giovanna Bonanno fu stroncata da un errore e dalla sua avidità: come procacciatrice di clienti aveva una sua amica, Maria Pitarra, alla quale un giorno consegnò una dose di “aceto” senza informarsi su chi fosse il destinatario. Venne a sapere che la vittima era il figlio di un’altra sua amica, ma era troppo tardi per rimediare: pensò allora di poter ricevere qualche ricompensa se avesse avuto modo di avvertire per tempo la madre, tale Giovanna Lombardo.

Purtroppo per lei, la Lombardo scoprì  per suo conto che proprio sua nuora aveva commissionato la pozione per avvelenare il marito e immediatamente si vendicò. Finse di voler comprare una dose di “aceto”, ed al momento della consegna si presentò con quattro testimoni, cogliendo in flagrante la Bonanno.

Foto tratta da palermoviva.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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  • Domenico Caracciolo fu richiamato a Napoli da Palermo l'8 gennaio 1786, e partì il 18 successivo; nell'ottobre 1788, quando furono arrestati la Bonanno e tutti coloro che erano implicati nella serie di avvelenamenti commessi con il suo "aceto", il vicerè era il principe di Caramanico. Un po' di precisione nello scrivere di storia non guasterebbe.

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