Trivelle, Renzi cambia idea: ennesima figuraccia per Crocetta e il PD Siciliano

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Il Governo nazionale fa retromarcia sulle trivelle entro le 12 miglia. Per timore del referendum chiesto da 10 regioni. Tra queste, non c’è la Sicilia che si era schierata contro grazie al PD e Megafono: ennesimo atto di servilismo ridicolizzato dal dietrofront renziano

Sulle trivelle l’esecutivo nazionale fa una clamorosa marcia indietro. Il governo Renzi ha, infatti, presentato una serie di emendamenti alla legge di Stabilità con i quali si ripristina il limite delle 12 miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere e la partecipazione, nei processi decisionali, degli enti territoriali coinvolti.

Dovrebbero così sparire (il condizionale è d’obbligo perché devono ancora essere approvati) dalle carte progetti come «Ombrina Mare», prevista a 5 chilometri dal litorale della provincia di Chieti, «Vega B» nel Canale di Sicilia e altri impianti di estrazione del greggio vicini alle coste.

Che è successo? Renzi è stato fulminato sulla via di Damasco e ha deciso di proteggere il nostro mare?

Non proprio. A fare cambiare idea al Governo nazionale, che con il famigerato articolo 38 del decreto Sblocca Italia aveva dato il via libera all’arrembaggio dei petrolieri, è stato il timore del referendum proposto da 10 Regioni (Basilicata, Abruzzo, Marche, Campania, Puglia, Sardegna, Veneto, Liguria, Calabria e Molise) e dal movimento No triv che chiedeva l’abrogazione di questo articolo e che aveva ricevuto il parere positivo della Cassazione.

“Se il Parlamento accoglierà gli emendamenti, – commenta il movimento No Triv- si avrà il blocco dei procedimenti in corso entro le 12 miglia, l’eliminazione della dichiarazione di strategicità, indifferibilità ed urgenza delle attività petrolifere, la cancellazione del vincolo preordinato all’esproprio della proprietà privata già a partire dalla ricerca degli idrocarburi, la limitazione delle attività di ricerca e di estrazione attraverso l’eliminazione delle proroghe, la garanzia della partecipazione degli enti territoriali ai procedimenti per il rilascio dei titoli”.

Una vittoria, dunque, per tutte le regioni prese di mira dai petrolieri che hanno lavorato insieme per arrivare al referendum. Tutte, tranne una: la Sicilia. Come si ricorderà, l’Assemblea regionale siciliana, lo scorso settembre ha bocciato la proposta di ricorrere al referendum: a votare no i deputati del Pd (Crocetta incluso), due deputati del Megafono (Digiacinto e Malafarina), uno del Pdr (Lo Giudice) e uno dell’Mpa (Gennuso). L’unico deputato del Pd a votare sì è stato Nello Dipasquale. Avevano votato sì, invece, i deputati di Sicilia democratica, Udc (la maggioranza quindi si è spaccata), Pid, M5S, Ncd, Lista Musumeci.

“Una pagina davvero triste del Parlamento siciliano” per le associazioni ambientaliste che avevano, comprensibilmente, accusato i deputati regionali della maggioranza di servilismo nei confronti dell’esecutivo nazionale e delle compagnie petrolifere e di totale menefreghismo nei confronti dei siciliani, dei loro interessi e del loro territorio.

Una decisione che oggi, alla luce del dietrofront del Governo nazionale, appare ancora più ‘miserable’, come direbbero gli inglesi: i deputati regionali del PD e del Megafono si sono prostrati, in puro stile ascaro, dinnanzi al volere di un Governo nazionale che ha cambiato idea dando ragione a chi protestava e ridicolizzando chi non lo ha fatto.

Non c’è che dire, proprio una gran brutta figura….

Da aggiungere che si tratta, comunque, di una vittoria a metà. Lo stop dovrebbe riguardare le concessioni in itinere non quelle già rilasciate. Il canale di Sicilia, dunque, non è salvo del tutto. Da qui il malcontento dei No triv Sicilia.

Ma, intanto, vediamo cosa uscirà dal Parlamento.

 

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