L’Istituto Ramazzini sul glifosato: la verità tra cinque anni. E intanto che facciamo?

3 aprile 2019

A rigor di logica bisognerebbe applicare il principio di precauzione. Ma di precauzione, con il glifosato, se ne vede veramente poca. Tant’è vero che continuiamo a importare grano duro dal Canada, dove il glifosato si utilizza per la maturazione artificiale dei cereali e dei legumi (che noi importiamo così come importiamo il grano). E continuiamo a usare il glifosato per diserbare le strade e gli spazi verdi dei centri abitati…

La notizia è che sul glifosato sapremo quasi tutto tra cinque anni. E intanto che facciamo? In un Paese serio – volendo anche in Italia – nel dubbio, dovrebbe essere applicato il principio di precauzione: usare molta cautela se, sotto il profilo scientifico, la scenario è controverso. Insomma: prevenire è meglio che curare. Ma in Europa – e quindi anche nel nostro Paese, visto che facciamo parte dell’Unione Europea – di precauzioni, rispetto al glifosato, non ce ne sono molte: anzi.

Per provare a capirne di più siamo andati a leggere lo studio sul glifosato curato dall’Istituto Ramazzini. I nostri lettori conoscono questo centro di ricerca e la dottoressa Fiorella Belpoggi (NE ABBIAMO PARLATO NEL NOVEMBRE DEL 2017 IN QUESTO ARTICOLO). Ora proviamo a fornire a chi ci segue i risultati di uno studio sul glifosato.

Nello studio dell’Istituto Ramazzini-Centro di ricerca sul cancro Cesare Mazzoni leggiamo che si comincia a parlare di glifosato nel lontano 1971.

In realtà, come leggiamo su Wikipedia, il glifosato “Il composto chimico fu scoperto nel 1950 dal chimico Henry Martin, che lavorava per la svizzera Cilag, ma non fu oggetto di pubblicazione. Fu poi riscoperto, in modo indipendente, nel 1970 nell’ambito di una ricerca sugli addolcitori d’acqua condotta dalla Monsanto sugli analoghi dell’acido aminometilfosforico. Alcuni di questi addolcitori destarono interesse quando mostrarono un blando potere erbicida motivo per cui la Monsanto incaricò il suo chimico John E. Franz della ricerca di altri analoghi con maggior efficacia erbicida. Il glifosate fu il terzo analogo a essere scoperto”.

Nel 1974 viene registrato dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente americana (U.S. EPA). La registrazione viene completata nel 1993.

Il glifosato è un erbicida non selettivo. Uccide sia pianta a foglie larghe, sia graminace.

Questo erbicida arresta un percorso enzimatico specifico, che si trova solo nelle piante e in alcuni microrganismi.

In questo momento è l’erbicida più utilizzato al mondo. Tutti sanno che la multinazionale che l’ha lanciato è l’americana Monsanto, oggi fusa con la tedesca Bayer. In realtà, dal 2001, il brevetto è scaduto e sono in tanti, nel mondo, a produrre il glifosato, a cominciare dalla Cina.

Negli Stati Uniti, come leggiamo nello studio dell’Istituto Ramazzini, è presente in 750 prodotti chimici utilizzati per l’agricoltura intensiva. In particolare, il glifosato va in abbinamento con gli OGM, gli Organismi Geneticamente Modificati che sono stati selezionati – geneticamente – resistenti al glifosato. 

Così quando si usa il glifosato, la cultura agricola che interessa all’uomo – esempio classico il mais geneticamente modificato – resta viva, mentre tutte le altre piante muoiono. Non ci crederete, ma questo modo di fare agricoltura, imperniato sulla morte, sulla resistenza al veleno e sull’inquinamento che non risparmia l’ambiente e l’uomo, viene considerato progresso!

Il glifosato, oggi, si utilizza anche nel giardinaggio, in orticoltura e per il diserbo delle strade (e anche negli spazi verdi cittadini). (QUI UN NOSTRO ARTICOLO).

Nel 2013 la produzione mondiale di glifosato ha raggiunto le 700 mila tonnellate. Ma nonostante l’attenzione che oggi nel mondo viene rivolta ai pericoli di questo erbicida per l’ambiente e per la salute umana, le previsioni dicono che, il prossimo anno, si arriverà a una produzione di un milione di tonnellate di glifosato. Gli affari vengono prima della salute.

“Il glifosato – leggiamo nello studio – è incluso nel progetto di screening degli interferenti endocrini (US, EPA, EDSP)”.

Gli studi indicano il glifosato come un interferente endocrino. 

La scienza ha stabilito quali sono le dosi di glifosato alle quali l’uomo può esporsi:

1.75 mg/kg/giorno per gli USA;

0,3 mg/kg/giorno nell’Unione Europea.

Gli americani sono più ‘resistenti’ al glifosato degli europei? La verità è che in questa storia – non conoscendo ancora bene gli effetti di questo veleno – gli interessi economici prevalgono su tutto il resto.

Da qui la domanda che lo stesso i ricercatori dell’Istituto Ramazzini pongono e si pongono: quanto sono veramente sicuri i livelli di glifosato considerati “sicuri” per l’uomo?

Le industrie che lo producono ci dicono che dobbiamo stare tranquilli.

I livelli di sicurezza attuali – ci dicono sempre gli industriali che producono questo erbicida – sono stati identificati con test di tossicità su animali da laboratorio.

A questo punto lo studio dell’Istituto Ramazzini ci dà una notizia che ci inquieta un po’:

“Le dosi (di glifosato ndr) attualmente considerate sicure per l’uomo negli USA e in Europa non sono mai state testate si animali di laboratorio”. 

E ancora:

“Sta sempre più consolidandosi la consapevolezza che gli studi finora compiuti su animali di laboratorio (ratto e topo) sul glifosato e il Roundup (un erbicida che contiene glifosato) non siano più adeguati per mettere in evidenza il reale rischio per l’uomo non soltanto per il cancro, ma per atri disturbi cronici gravi”. 

Le industrie dicono che gli effetti tossici del glifosato osservati negli studi sugli animali non hanno alcuna importanza per l’uomo, perché noi siamo esposti a livelli “sicuri” di glifosato.

Invece i dati dell’Istituto Ramazzini dimostrano che nella prima fascia di età – cioè dalla vita embrionale fino all’adolescenza – “la ADI americana per il glifosato (l’ADI è la quantità di sostanza che viene introdotta nell’organismo con i cibo e l’acqua) interferisce con alcuni parametri considerati biomarker del normale sviluppo sessuale, della genotossicità e delle alterazioni della flora batterica intestinale”.

Per la cronaca, sono ancora in corso studi come la “trascrittomica per la ghiandola mammaria, rene e fegato, così come lo studio dell’assetto ormonale nel sangue e l’aneuploidia dello sperma”.

Per l’Istituto Ramazzini, il glifosato dovrebbe essere utilizzato, in Europa, per non più di 5 anni.

“Tra 5 anni – dicono all’Istituto Ramazzini – avremo nelle mani il risultato del nostro studio a lungo termine. Lo studio chiarirà:

la sussistenza dei possibili pericoli per la salute nel primo periodo della vita;

se le patologie precoci riscontrate siano correlabili a lungo termine con patologie gravi come il cancro;

dato l’accurato disegno sperimentale, permetterà, anche in caso di risultati negativi, di sciogliere tutte le incertezze, le discussioni e le polemiche attorno a questo composto così importante per la salute pubblica, ma anche per l’industria agricola”.

Intanto in Italia – e soprattutto nel Sud Italia e in Sicilia – continua ad arrivare il grano duro canadese che, è noto, viene fatto maturare artificialmente con il glifosato (COME POTETE LEGGERE QUI).

E continuiamo a importare legumi seccato con il glifosato.

E si diserbano strade e giardini con il glifosato…

PER SAPERNE DI PIU’ SUL GLIFOSATO

 

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