L’invidia, come la paura, fa novanta: non sanno più cosa inventarsi per denigrare i grani antichi!

17 dicembre 2018

L’idea che il Sud d’Italia abbia, in agricoltura, qualcosa di unico non riesce ad andare giù ai vari potentati. Così, dopo aver scippato il grano duro Senatore Cappelli agli agricoltori meridionali il Crea di Foggia ci ‘delizia’ con uno studio che i protagonisti di ‘Simenza’ smontano pezzo dopo pezzo. Restano due domande: è possibile asserire che i grani antichi non sono migliori di quelli moderni avendo utilizzato nella sperimentazione una sola cultivar? Di quale scienza e di quale informazione ci possiamo fidare?

dalla redazione di ‘Simenza’
riceviamo e volentieri pubblichiamo

Attualmente è in un corso un animato dibattito, in seno alla comunità scientifica e non solo, che contrappone le proprietà dei grani antichi rispetto ai grani moderni. Questa disputa, troppo spesso trattata in modo riduzionistico, sta creando due opposte fazioni che dibattono a volte superficialmente argomenti che necessitano di approfonditi studi scientifici e di un approccio olistico che tenga conto di molteplici fattori.

Il tema che però viene più spesso discusso riguarda il ruolo che il frumento e, in particolare, le sue proteine di riserva svolgono nella dieta, spesso accompagnato da punti di vista estremi ed opposti riguardo gli effetti del glutine sulla salute.

Purtroppo, ad oggi, gli studi disponibili non sono stati in grado di fornire una risposta univoca in tema di sensibilizzazione al grano e al glutine. Da un lato i promotori di diete ‘gluten-free’ considerano i grani moderni come “veleni cronici” (Davis 2011); dall’altro i grandi produttori di ‘commodities’ replicano che “il glutine di frumento non fa male” (National Association of Wheat Growers, 2013).

D’altra parte, punti di vista differenti esistono anche in merito all’interpretazione dei dati epidemiologici, infatti recenti ricerche hanno dimostrato che la celiachia è aumentata da 2 a 4 volte nel corso degli ultimi 50 anni, ma le cause di quest’incremento non sono state ancora completamente chiarite (Rubio-Tapia et al., 2009).

Un recente studio pubblicato sulla rivista Food Research International dal titolo “Comparison of gluten peptides and potential prebiotic carbohydrates in old and modern Triticum turgidum ssp. Genotypes” a firma del Centro di ricerca Cerealicoltura e Colture industriali del Crea di Foggia insieme alle Università di Modena e Reggio Emilia e di Parma, sta animando ancor di più il dibattito tra le diverse fazioni.

Chiariamo subito che la nostra posizione circa questo studio è nettamente critica, è ancor più lo è rispetto alla vasta eco che il circo mediatico ha voluto riservare a questa ricerca titolando nel migliore dei casi “il grano antico contiene più proteine dannose per i celiaci rispetto a quello moderno”.

Entrando nello specifico del lavoro scientifico vengono rilevati parecchi risultati tendenziosi ottenuti utilizzando una progettazione della ricerca che non vorremmo fosse stata mirata ad ottenerli, a partire dallo scopo dello studio; era proprio necessaria una ricerca che dimostrasse che i grani antichi fanno male ai celiaci come e forse più di quelli moderni?

Tutti sappiamo che nessun soggetto affetto da celiachia può assumere prodotti ottenuti da grano, segale, farro, orzo e avena, ma questo studio dimostrerebbe che i grani antichi sono caratterizzati da una maggiore componente proteica e rilasciano quantità superiori di peptidi scatenanti la celiachia rispetto ai moderni.

Entrando nel dettaglio della ricerca, teniamo a sottolineare che le nove varietà di grani antichi presi in considerazione sono state confrontate con sola una varietà, la cv Sfinge e due linee o accessioni, non presenti sul mercato sementiero e quindi non ancora coltivabili su larga scala ed esattamente l’accessione PR22D89 e la L14.

Come mai sono state utilizzate per il confronto nove cultivar di grani antichi e una di grani moderni più due linee? Sarà per caso che siano state scelte varietà o linee moderne con caratteristiche qualitative tali da assicurare il risultato finale? Non sono state trovate altre sei varietà o linee che permettevano un eguale risultato?

Per quanto riguarda i fattori scatenanti la celiachia, già la comunità scientifica ha modificato il nome alla sensibilità al glutine non celiaca, chiamandola sensibilità al grano non celiaca. Il motivo di tale variazione è dovuto alla mancata certezza che questi fenomeni infiammatori non siano dovuti soltanto al glutine.

Ci sono altre proteine del grano che vengono considerate infiammatorie o antidigestive, come ad esempio gli inibitori dell’amilasi-tripsina, che sono diversamente presenti nei grani antichi e moderni. Probabilmente questi meccanismi possono essere innescati da sostanze non proteiche, da qui la necessità di un approccio olistico.

Un’altra criticità emersa nella ricerca riguarda l’adozione della tecnica della digestione in vitro per identificare i processi digestivi. I meccanismi della digestione propri del corpo umano sono difficilissimi da riprodurre in vitro con la stessa complessità con cui avvengono naturalmente. Già la tecnica del “doppio cieco”, ovvero esperimenti scientifici dove viene impedito ad alcune delle persone coinvolte di conoscere informazioni che potrebbero portare a effetti di aspettativa consci o inconsci, così da invalidarne i risultati, viene giudicata la migliore approssimazione possibile della realtà, e alcuni studi condotti con questa metodologia dimostrano altro sulle differenze tra grani antichi e moderni.

Quando guardiamo gli studi clinici sull’uomo, le differenze tra grani tradizionali e moderni appaiono in modo evidente. Una ricerca di A. Whittaker dal titolo “A khorasan wheat-based replacement diet improves risk profile of patients with type 2 diabetes mellitus (T2DM): a randomized crossover trial” del 2017 pubblicata su European Journal of Nutrition, condotta con la modalità del doppio cieco rileva un netto miglioramento dei parametri clinici del Diabete di tipo 2 e l’infiammazione ad esso correlata a seguito dell’alimentazione con prodotti a base di grani antichi.

Un’altra ricerca effettuata da Francesco Sofi dal titolo “Effect of Triticum turgidum subsp. turanicum wheat on irritable bowel syndrome: a double-blinded randomised dietary intervention trial “del 2014, pubblicata sul British Journal of Nutrition rileva che l’utilizzo di prodotti a base di grani moderni provoca un peggioramento su pazienti con colon irritabile.

Un dato ormai scientificamente acquisito conferma che le proteine del glutine delle varietà di frumenti antichi contengono meno ‘epitopi tossici’, ovvero le sequenze aminoacidiche riconosciute dai linfociti delle persone affette da celiachia (Van den Broeck et al., 2010). Questa ricerca, al contrario di quella condotta dai ricercatori del CREA, confrontava ben 36 varietà moderne e 50 antiche.

Una dieta a base di varietà di frumento con meno ‘epitopi tossici’ può aiutare nella prevenzione della celiachia, così come è stato osservato che la quantità di glutine ingerito e il tempo di assunzione sono associati con l’insorgenza della celiachia (Ventura et al., 1999; Ivarsson et al., 2000; Fasano 2006).

Esistono numerosissimi altri studi scientifici che provano la maggiore proprietà infiammatrice delle proteine di grani moderni rispetto a quelli antichi: come mai questi studi non hanno avuto la stessa rilevanza mediatica di quello condotto dai ricercatori del CREA CI di Foggia?

La seconda parte della ricerca condotta da questi scienziati ha riguardato le componenti prebiotiche; in questo caso sono stati posti a confronto una sola varietà di grano antico, ovvero il Dauno III, selezionata dal genetista Strampelli, di cui non si ha notizia di attuale coltivazione nel mondo, ed una linea o accessione moderna ovvero il PR22D89, anche questa non presente nei cataloghi sementieri, analizzando la presenza di amido resistente, prima e dopo la cottura. In questo caso non sono state evidenziate differenze sostanziali tra le due varietà, escludendo quindi un potenziale prebiotico superiore nei grani antichi.

Purtroppo, dobbiamo rilevare che quando si tratta di caratteristiche qualitative tecniche questo team di ricercatori ha conoscenze molto limitate riguardo all’elevato patrimonio genetico di grani antichi presenti in Italia e in Sicilia in particolare. Questi studiosi conoscono ed utilizzano, in particolari casi, soltanto il Dauno III, attualmente non coltivato, che ha raggiunto una qualche notorietà solo negli anni ’60, specialmente in Sardegna.

Infatti, anche una ricerca dell’anno scorso condotta dal team della dott.ssa Ficco, dal titolo “Milling overrides cultivar, leavening agent and baking mode on chemical and rheological traits and sensory perception of durum wheat breads”, pubblicata su Scientific Reports riportava supposte migliori qualità panificatrici dei grani moderni versus i grani antichi, riprese con grande risalto sulla home page del sito istituzionale dl CREA e da tutta la stampa allineata.

Il problema è che, allora come adesso, le analisi dei grani antichi erano limitate ad una sola varietà ossia ancora una volta il Dauno III.

Ci chiediamo, è possibile asserire migliori o peggiori qualità nutrizionali e salutistiche dei grani antichi e moderni ponendo a confronto limitatissimi set di varietà o peggio ancora linee?

Come è possibile che i presunti risultati positivi dei grani moderni abbiano una eco mediatica enorme e quelli di segno opposto siano artatamente ignorati?

È possibile asserire che i grani antichi non sono migliori di quelli moderni avendo utilizzato nella sperimentazione una sola cultivar?

Di quale scienza e di quale informazione ci possiamo fidare?

Lasciamo alla coscienza di ognuno di noi la risposta.

INTERVISTA A GIUSEPPE LI ROSI CHE CI RACCONTA L’AVVENTURA DI ‘SIMENZA’ 

IL PROFESSORE ALESSIO FASANO CI SPIEGA TUTTO QUELLO CHE BISOGNA SAPERE SULLA CELIACHIA E SULLA GLUTEN SENSITIVITY

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