terza pagina/‘’La mia terra, l’isola, la Sicilia, è una terra estrema…”

7 novembre 2018

La nostra rubrica dedicata alle pillole culturali: gli incipit tratti dai grandi romanzi, gli aforismi di scrittori e filosofi, i siciliani da non dimenticare, gli anniversari di fatti storici noti e meno noti, la Sicilia dei grandi viaggiatori, i proverbi della nostra tradizione e tanto altro ancora. Buona lettura

terza pagina

(a cura di Dario Cangemi)

Incipit

Un classico buongiorno. O, se preferite, un buon giorno ricordando un grande romanzo. Il modo migliore di iniziare una giornata: l’incipit di un grande libro. Se lo avete già letto sarà un bel ricordo. Se no, potrebbe invogliarvi alla lettura.

«Tomáš si diceva: fare l’amore con una donna e dormire con una donna sono due passioni non solo diverse ma quasi opposte. L’amore non si manifesta col desiderio di fare l’amore (desiderio che si applica a una quantità infinita di donne) ma col desiderio di dormire insieme (desiderio che si applica a un’unica donna)».

Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”

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Pensieri sparsi

L’aforisma, la sentenza, sosteneva Nietzsche, sono le forme dell’eternità. L’aforisma é paragonato dal filosofo tedesco alle figure in rilievo, che, essendo incomplete, richiedono all’osservatore di completare ‘’col pensiero ciò che si staglia davanti’’.

‘’Per riacquistare la giovinezza basta solo ripeterne le follie.’’

Oscar Wilde

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Siciliani notevoli da ricordare

il 7 novembre 1918 moriva sulle montagne del Carso

•Pasquale Ferrara

-capitano di artiglieria

Fra i numerosi caduti sulle montagne del Carso e del Podgora durante la Grande Guerra (al tema abbiamo dedicato un seminario che pone l’accento sulle vittime meridionali che potete leggere qui, ndr) si distinsero Isidoro Ferrara (Prizzi 15 luglio 1891 – 2 novembre 1916), che aveva esercitato a Roma la professione di avvocato, sottotenente di fanteria, decorato con medaglia d’argento al valor militare; e il fratello Pasquale Ferrara (Prizzi 10 ottobre 1894 – 7 novembre 1918), diplomato alla Accademia militare di Torino, capitano di artiglieria, decorato con medaglia d’argento e di bronzo.

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Eventi e fatti storici

Distrutta e seppellita da una colata lavica dell’Etna la stazione ferroviaria di Mascali

•7 novembre 1928

Il 2 novembre si apre una frattura sotto il cratere centrale; il 3 novembre si attiva una seconda frattura da cui viene emessa una colata che si riversa in una zona disabitata; il 5 novembre una terza frattura si apre sopra Ripa della Naca. Da qui viene emessa una colata lavica che il 6 novembre taglia la ferrovia Circumetnea e il 7 novembre raggiunge e distrugge Mascali in pochi giorni. La colata fuoriuscì da diverse bocche laterali sul versante orientale del vulcano e minacciò anche Sant’Alfio e Nunziata. L’eruzione termina il 20 novembre dopo che il fronte lavico più avanzato ha raggiunto quota 25 metri sul livello del mare. In quei giorni di panico dovuto all’avanzare della lava verso le abitazioni due persone perdono la vita.

La stazione di Mascali è una stazione ferroviaria della linea Messina-Catania a servizio del centro abitato di Mascali, in Sicilia. La stazione fu costruita durante la realizzazione della ferrovia tra Messina e Catania dalla Società Vittorio Emanuele in prossimità dell’abitato di Mascali. Venne aperta nel 1867 in seguito all’entrata in funzione del secondo tratto di ferrovia tra Taormina e Catania. La stazione ebbe un buon traffico viaggiatori e un movimento di merci legato alle attività agricole e vinicole della zona etnea. Dopo l’eruzione venne successivamente ricostruita più a valle insieme ad un tratto di linea ferrata di alcuni km. Alla fine degli anni ottanta in seguito all’attivazione del doppio binario è stata declassata a semplice fermata. Da qualche anno l’edificio viaggiatori è stato ceduto e vi ha trovato posto il comando della polizia municipale di Mascali.

ALTRI ACCADIMENTI:

1347

trattato di pace con il Regno napoletano

1982

arresto del boss mafioso Salvatore Montalto.

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Viaggio e cultura: il rapporto degli scrittori con la Sicilia

Se il viaggio è desiderio di conoscere l’altro e, al tempo stesso, possibilità di riconoscere se stessi. E’ affascinante notare come la Sicilia rappresenta per chi non vi è nato un’attrazione irresistibile, calamitando fantasie e immaginari dei viaggiatori stranieri che, forti della propria identità, vengono in Sicilia per capirne la conclamata diversità e forse trovano per lo più quello che credevano di voler trovare secondo la loro formazione, i loro desideri. Quando pensiamo alla Sicilia, inevitabilmente i ricordi personali si sovrappongono alle descrizioni letterarie, così come i fatti di attualità si intrecciano con le fantasie mitologiche e il folklore si confonde con i luoghi comuni, suggerendo all’immaginazione percorsi alternativi.

Raccontiamo oggi l’interessante storia di Vincenzo Consolo Nato a Sant’Agata di Militello, in provincia di Messina, il 18 febbraio 1933 da genitori Sanfratellani. Dopo le scuole superiori, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano, ma si laurea, con una tesi in filosofia del diritto, all’Università di Messina, dopo aver assolto il servizio militare. Conclusi gli studi universitari, ritorna in Sicilia, dove si dedica all’insegnamento nelle scuole agrarie. Nel 1963 esordisce con il suo primo romanzo, La ferita dell’aprile, squarcio sulla vita di un paese siciliano movimentato dalle lotte politiche dei primi anni del dopoguerra. I suoi riferimenti umani e letterari, in quella stagione, sono lo scrittore Leonardo Sciascia e il poeta Lucio Piccolo. Da Sciascia coglierà un certo atteggiamento da “scrittore impegnato”, riscontrabile più che altro nelle interviste o nelle conferenze pubbliche. Nel 1968, avendo vinto un concorso alla RAI, si trasferisce a Milano, dove ha vissuto e lavorato fino alla sua morte, svolgendo un’intensa attività giornalistica, con lunghi soggiorni nel paese d’origine. Nel 1975 segue come inviato a Trapani del quotidiano L’Ora (con cui collabora dal 1964) il processo al “mostro di Marsala”.

Consolo, come tanti scrittori siciliani moderni, scrive costantemente della sua terra d’origine, traendo spunto dal materiale autobiografico relativo alla sua infanzia e giovinezza “isolana”. Ciò gli ha permesso di ricostruire nelle sue opere momenti e vissuti personali attraverso il “filtro” di un particolare tipo di memoria che si tinge di nostalgia. Questa posizione di distanza materiale e vicinanza affettiva sembra provenire insieme da un rapporto di amore e odio con la Sicilia, e da una doppia esigenza artistica e conoscitiva.

‘’La mia terra, l’isola, la Sicilia, è una terra estrema, che ha sempre, da una parte, persone non felici socialmente, che, spinte dalla necessità, sono state portate ad emigrare; ma questo non solo dalla Sicilia, ma da tutto il meridione, come voi sapete, e anche da zone depresse di questo Veneto. Però da parte degli intellettuali, degli scrittori c’è sempre stata, se non la necessità, il desiderio di arrivare al centro, di lasciare questa periferia incerta, cercando un centro che in volta in volta si identificava in Roma, in Firenze, ma soprattutto in Milano.’’

Vincenzo Consolo

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La scuola poetica siciliana

La scuola poetica siciliana è la prima forma di letteratura laica in Italia. Suo promotore fu l’Imperatore Federico II di Svevia. Questa scuola vide il suo apice tra il 1230 e il 1250. Nacque come una poesia di corte, infatti autori dei più noti sonetti sono lo stesso Federico II e membri della sua corte quali Pier delle Vigne, Re Enzo, figlio di Federico, Rinaldo d’Aquino, Jacopo da Lentini (funzionario della curia imperiale), Stefano protonotaro da Messina…La lingua usata era il siciliano o meglio il siculo-appulo.

‘’Amor mi fa sovente

lo meo core pensare,

dàmi pene e sospiri;

e son forte temente,

per lungo adimorare,

ciò che por[r]ia aveniri.

Non c’agia dubitanza

de la dolze speranza

che ’nver di me fallanza ne facesse,

ma tenemi ’n dottanza

la lunga adimoranza

di ciò c’adivenire ne potesse…’’

Amor mi fa sovente Re Enzo

XIII secolo

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Proverbi Siciliani

Il proverbio è la più antica forma di slogan, mirante non già ad incentivare l’uso di un prodotto commerciale, bensì a diffondere o a frenare un determinato habitus comportamentale, un particolare modo di valutare le cose, di interpretare la realtà.

U venniri è di natura, comu agghiorna accussì scura. (Il venerdì è di natura, come fa giorno, così muore).

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