terza pagina/ L’avventura palermitana di D’Annunzio…

5 novembre 2018

La nostra rubrica dedicata alle pillole culturali: gli incipit tratti dai grandi romanzi, gli aforismi di scrittori e filosofi, i siciliani da non dimenticare, gli anniversari di fatti storici noti e meno noti, la Sicilia dei grandi viaggiatori, i proverbi della nostra tradizione e tanto altro ancora. Buona lettura

terza pagina

(a cura di Dario Cangemi)

Incipit

Un classico buongiorno. O, se preferite, un buon giorno ricordando un grande romanzo. Il modo migliore di iniziare una giornata: l’incipit di un grande libro. Se lo avete già letto sarà un bel ricordo. Se no, potrebbe invogliarvi alla lettura.

«In realtà temiamo il domani solo perché non sappiamo costruire il presente e quando non sappiamo costruire il presente ci illudiamo che saremo capaci di farlo domani, e rimaniamo fregati perché domani finisce sempre per diventare oggi».

Muriel Barbery, “L’eleganza del riccio”

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Pensieri sparsi

L’aforisma, la sentenza, sosteneva Nietzsche, sono le forme dell’eternità. L’aforisma é paragonato dal filosofo tedesco alle figure in rilievo, che, essendo incomplete, richiedono all’osservatore di completare ‘’col pensiero ciò che si staglia davanti’’.

«Questa tendenza a creare intorno a me un altro mondo, uguale a questo ma con altra gente, non ha mai lasciato la mia immaginazione».

Fernando Pessoa, “Una sola moltitudine”

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Siciliani notevoli da ricordare

il 5 novembre 1948 moriva a Roma

Guido Laj

giornalista

Guido Laj (Messina, 16 aprile 1880 – Roma, 5 novembre 1948) è stato un giornalista, politico e massone siciliano. Fu Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1945 al 1948.

Nato in Sicilia, visse gran parte della sua vita a Roma. Giornalista e dottore in giurisprudenza, divenne inizialmente segretario presso il Ministero della Pubblica Istruzione, arrivando in seguito al Consiglio di Stato.

Prese parte come volontario alla Prima guerra mondiale, venendo in seguito decorato al valor militare. Tra il 1920 ed il 1922 fu assessore comunale a Roma (Servizi Tecnologici). Dopo il 1922 scrisse su Il Mondo, quotidiano politico fondato da Giovanni Amendola, dalle cui pagine svolse una costante attività di opposizione nei confronti dell’amministrazione comunale romana, ormai orientata su posizioni filo-fasciste. Laj fu tra i funzionari pubblici che rifiutarono la tessera del Partito Nazionale Fascista. Nel novembre del 1924 aderì all’Unione Nazionale di Amendola.

Dopo la liberazione dal regime, fu prosindaco di Roma dal giugno 1944 al dicembre 1946.

Tra il 1943 ed il 1945 resse il Comitato di maestranza del Grande Oriente d’Italia, insieme con Umberto Cipollone e Gaetano Varcasia. Il 18 settembre 1945 fu eletto Gran Maestro, e rimase in carica fino al giorno della sua morte.

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Eventi e fatti storici

Messina, l’abbondanza delle piogge cadute fa straripare i torrenti, parecchie vittime

5 novembre 1833

…Appena due anni dopo, il 5 novembre 1833 «le campagne di tutto il comune ed i borghi della città ebbero ancora una volta a soffrire fortissimi danni per l’abbondanza delle piogge cadute, che fecero straripare i torrenti, producendo dovunque delle inondazioni». La zona più colpita è quella tra i torrenti Zaera e Portalegni, dove «parecchie» furono le vittime («Come al solito il borgo Zaera ebbe più degli altri a soffrire, e nel borgo di Portalegni si ebbero a deplorare parecchi morti»), mentre tra i villaggi il più danneggiato era Larderia, «dove ai molti giardini quasi distrutti, si aggiunse la rovina di parecchie case abitate da quei naturali, e di alcune casine appartenenti a famiglie benestanti della città. Fortunatamente di morti in Lardaria non se ne contò che uno solo, certo Carmelo Sottile messinese colà dimorante»

ALTRI ACCADIMENTI

1688 – Inizia la Gloriosa rivoluzione: Guglielmo d’Orange sbarca a Brixham

1876 – Italia: si svolgono le elezioni politiche generali per la 14ª legislatura. Il risultato porta al potere la sinistra parlamentare

1997

inizia a Palermo il processo per associazione mafiosa a Marcello Dell’Utri

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Viaggiatori in Sicilia

Se il viaggio è desiderio di conoscere l’altro e, al tempo stesso, possibilità di riconoscere se stessi. E’ affascinante notare come la Sicilia rappresenta per chi non vi è nato un’attrazione irresistibile, calamitando fantasie e immaginari dei viaggiatori stranieri che, forti della propria identità, vengono in Sicilia per capirne la conclamata diversità e forse trovano per lo più quello che credevano di voler trovare secondo la loro formazione, i loro desideri. In passato, l’identità univoca dei centri da cui provenivano i viaggiatori, bagaglio e ideale di cultura di cui erano portatori e di cui cercavano conferma in Sicilia, si è scontrata con l’identità plurale dell’isola in cui giungevano, quella pluralità tipica delle periferie e pure delle dimore di frontiera, con il loro intreccio di genti e di culture.

Raccontiamo oggi un aneddoto, una storia, di uno dei poeti più discussi del 900 italiano: Gabriele D’annunzio

L’AMANTE DEL VATE D’ANNUNZIO E LA MARCHESA: UN’AVVENTURA PALERMITANA

I maggiori biografi di Gabriele d’Annunzio e lo stesso Tom Antongini, suo segretario, hanno del tutto omesso di riferire ogni contatto del poeta con Palermo, ritenendolo forse marginale. Più giù di Napoli, a loro giudizio, non è andato. Invece non è vero: l’eccentrico interprete del superuomo di nicciana memoria ha avuto (eccome) incontri ravvicinati, toccate e fughe ma anche costanti rapporti, non solo epistolari, con eminenti personalità dell’arte, dell’economia, della politica e della nobiltà. All’interno di quest’ultima non difettavano di certo le fugaci ma anche durature relazioni di natura amorosa.

Con la ricca famiglia Florio si incontrò più volte. D’Annunzio contribuì con i suoi infuocati scritti al battesimo del quotidiano cittadino “L’Ora”. Il 21 aprile 1900 fu proprio don Ignazio, per difendere la propria posizione nei confronti del governo e dagli attacchi che gli provenivano da più parti, a fondare il glorioso giornale palermitano cui furono chiamati a collaborare illustri giornalisti e scrittori di tutta Italia.

L’aver messo al servizio della più facoltosa famiglia siciliana la propria penna, non impedì al futuro comandante dell’impresa di Fiume di provocare qualche dispiacere al quel playboy o dandy che era, in fondo, il proprietario de “L’Ora”.

Don Ignazio intratteneva una relazione extraconiugale con Lina Cavalieri, allora definita «la donna più bella del mondo», che cantava nei teatri di varietà. Grazie al suo amante fece ingresso nel mondo della lirica e venne prontamente scritturata prima alla Scala di Milano e poi al Massimo di Palermo per un ruolo principale nella “Bohème” di Giacomo Puccini. Il teatro del Basile non portò fortuna alla Cavalieri che venne sonoramente fischiata, grazie anche al pesante intervento di donna Franca che organizzò e finanziò una claque ostile sia fra i loggionisti che in platea. La cantante scappò letteralmente dalla città e si ritirò nella villa che Florio le aveva regalato nei dintorni di Firenze. Poco tempo dopo, Ignazio la raggiunse nel nido fiorentino.

Trovò solo una desolata governante che gli comunicava che la signora non era in casa ma ospite, da alcuni giorni (e notti) di Gabriele d’Annunzio nella vicina villa della “Capponcina”. L’amante tradito si adirò tanto che se ne tornò in fretta e furia in Sicilia con grande soddisfazione di donna Franca. Una conquista amorosa, quella del poeta, a scapito di un ricchissimo palermitano, che si sovrapponeva a ben altra conquista di qualche anno prima. Quella del pubblico di un bellissimo teatro della nostra città, in cui il vate potrà assaporare un vero successo dopo anni di incomprensioni: la sera del 15 aprile 1899 d’Annunzio, presente in sala, assistette alla rappresentazione della sua nuova tragedia “La Gioconda”, con protagonista principale la grande Eleonora Duse. Al teatro Bellini, gremito in ogni ordine di posti e alla presenza del duca d’Orleans, il poeta e drammaturgo ricevette «applausi fragorosi e chiamate al proscenio due, tre, quattro volte». Nel 1904, a 41 anni, d’Annunzio conobbe la ventisettenne marchesa Alessandra Starrabba di Rudinì vedova Carlotti nonché figlia prediletta dell’ex presidente del Consiglio dei ministri ed ex sindaco di Palermo marchese Antonio. Il poeta prese, ricambiato, una vera e propria cotta. Narrano le cronache che la nobildonna, dal carattere forte e di sicula tenacia, riuscì a placare l’esuberanza di quello che ormai era considerato un simbolo nazionale. Alessandra fu una vera amante e pretese l’esclusiva.

D’Annunzio alla “Capponcina” dissipò tutto: energie fisiche ed economiche. Assecondò ogni desiderio dell’amata all’interno di una cornice fatta di lusso e spensieratezza. In quattro anni di intensa relazione la di Rudinì, gelosa ed esigente, volle Gabriele tutto per sé, non disposta nemmeno a dividerlo con l’arte. Non a caso la produzione artistica dannunziana, in quel periodo, si assottigliò di gran lunga. La critica sentenziò che si era spenta la vena poetica «del grande Genio latino». Per non parlare dei disagi degli editori costretti ad esosi anticipi in danaro in attesa di futuri improbabili guadagni per lavori commissionati e non consegnati nei termini contrattuali.

Emerse, in controtendenza con un ben noto e personalissimo costume, che il poeta non solo non trovò mai ispirazione in Alessandra Di Rudinì, ma non le dedicò alcuna sua opera. Insomma amore totale e impotenza artistica. Come tutte le cose umane, successivamente anche il rapporto con la bella Alessandra finì. D’Annunzio volse lo sguardo verso altri lidi e la marchesa non riuscì a farsene una ragione. Alla fine si arrese e decise di dire addio a quell’amore, ai due figli e alla mondanità.

Sprofondò in una lunga depressione e si risollevò parzialmente individuando un cammino di spiritualità e religiosità. Nel Convento del Carmelo della Trinità, al Viottolo del Lupo, di Paray-le-Monial (Francia) Non si registra più, da allora, alcun legame, affettivo e non, di d’Annunzio con Palermo. In lui non c’era più spazio, in presenza di nuovi e più pressanti ruoli, per nostalgie e rimpianti. Chiusa nel peggiore dei modi l’esperienza fiumana, fu sommerso dal suo “io” e riparò, estraniandosi, nel mondo dorato del Vittoriale sul lago di Garda. Storicamente ciò che resta è una certezza: la nostra città segnò in profondità la vita di d’Annunzio negli affetti e nella sua arte. A onta dei suoi inspiegabili silenzi e delle omissioni letterarie dei suoi cantori.

«Habere, non haberi». «Possedere, non essere posseduto»

‘’Gabriele D’Annunzio

massima del padre, di Andrea Sperelli, il piacere’’

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Rapporti tra scrittori e la Sicilia

Quando pensiamo alla Sicilia, inevitabilmente i ricordi personali si sovrappongono alle descrizioni letterarie, così come i fatti di attualità si intrecciano con le fantasie mitologiche e il folklore si confonde con i luoghi comuni, suggerendo all’immaginazione percorsi alternativi.

«[…] hai visto le generose

montagne siciliane coperte da vigneti.

Hai bevuto a Messina, a Palermo e sull’Etna;

Catania ti ha riempito il calice».

(Jan Andrzej Morsztyn, “Georgiche”, 1643-1644)

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La scuola poetica siciliana

La scuola poetica siciliana è la prima forma di letteratura laica in Italia. Suo promotore fu l’Imperatore Federico II di Svevia. Questa scuola vide il suo apice tra il 1230 e il 1250. Nacque come una poesia di corte, infatti autori dei più noti sonetti sono lo stesso Federico II e membri della sua corte quali Pier delle Vigne, Re Enzo, figlio di Federico, Rinaldo d’Aquino, Jacopo da Lentini (funzionario della curia imperiale), Stefano protonotaro da Messina…La lingua usata era il siciliano o meglio il siculo-appulo.

‘’L’amor fa una donna amare.

Dice: «Lassa, com faragio?

Quelli a cui mi voglio dare

non so se m’à ‘n suo coragio.

Sire Dio, che lo savesse

ch’io per lui sono al morire,

o c’a donna s’avenesse:

manderia a lui a dire

che lo suo amor mi desse.

Dio d’amor, quel per cui m’ài

conquisa, di lui m’aiuta;

non t’è onor s’a lui non vai,

combatti per la renduta.’’

L’amor fa una donna amare Compagnetto da Prato

XIII secolo

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Proverbi Siciliani

Il proverbio è la più antica forma di slogan, mirante non già ad incentivare l’uso di un prodotto commerciale, bensì a diffondere o a frenare un determinato habitus comportamentale, un particolare modo di valutare le cose, di interpretare la realtà.

Quannu c’è broru assai minuzza pani, accussi si fannu li scialati boni.

( A tanto brodo aggiungi pane e ti sazierai)

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