La munnizza a Palermo? Come la mafia, è connaturata all’immagine della città

26 agosto 2018

Fin dalla fondazione, da parte dei Fenici, i palermitani hanno convissuto con la munnizza fino a farne un oggetto di riferimento del paesaggio urbano e un contrassegno identificativo della panormitudine. E Leoluca Orlando? Ci ha dato il Tram, la pedonalizzazione di via Maqueda, la ZTL e l’imbellettamento del centro cittadino ridotto a vetrina kitsch ad uso dei turisti mordi e fuggi. Ma guai a eliminare la munnizza…

di Silvano Riggio

Qualche giorno prima di Ferragosto un’amica mi ha chiesto perché questa città sia così sciatta e sporca. Per evitare di essere banale e affrettato ho aspettato una giornata di vento e di pioggia, quando mi ritiro in casa e non vado a mare come faccio tutti i giorni, e non scendo neanche in giardino. Oggi piove come ieri e avantieri e tutta la settimana. E ne approfitto.

Provo ad abbozzare un parere. Anzi tutto sappiamo bene che la domanda è retorica e la risposta non c’è perché implicita nella domanda. L’avversione atavica dei panormiti per la pulizia, l’ordine e la legalità è un fatto strutturale, ha radici storiche e antropologiche che si prestano a discussioni dottissime da parte dei migliori showmen dell’intellettualità di Palermo.

La munnizza riempie le pagine degli illustri viaggiatori del Grand Tour, a cominciare da Goethe: è connaturata all’immagine di Palermo, come la mafia. Aspettiamo soltanto che il Sindaco ne faccia l’elogio ufficiale e ne chieda l’inclusione fra i beni universali censiti dall’UNESCO. Lo farà, ci scommetto.

Provo a formulare un parere scientifico. Da biologo posso avanzare l’ipotesi neolamarckiana che sia impossibile separare i palermitani dalla munnizza, dato che l’amore per lo sporco l’hanno nel DNA, ma non in quello “codificante” l’eredità genetica che sanno tutti, e che è l’archivio dei nostri caratteri ereditari, bensì in quell’altro che raccoglie e archivia le esperienze personali e le memorizza, e che fu, vedi caso, chiamato “DNA spazzatura” dai ricercatori che lo scoprirono nelle cellule e non ne capirono niente.

Non capendo a che cosa servisse, lo chiamarono “Junk DNA” uguale a DNA munnizza. In realtà, la spazzatura era nell’intelletto dei biologi molecolari che si ritenevano talmente intelligenti da disprezzare tutto ciò che non rientrava nei loro schemi mentali invece di riflettere umilmente sulla loro incapacità. I biologi successivi che capirono l’errore dovuto alla presunzione dei loro colleghi lo riabilitarono e lo chiamarono “DNA oscuro” – Dark DNA – o DNA misterioso.

Oggi se ne sa di più e dalla sua conoscenza è sorta una disciplina nuovissima e molto avanzata che prende il nome di EPIGENETICA, dalla quale ci si attende la soluzione di problemi insoluti come la cura del cancro. Il DNA oscuro ha la funzione importantissima di relazionarsi con l’ambiente, raccogliere informazioni sui rapporti con l’esterno e memorizzarle per governare il funzionamento e le “scelte” del DNA codificante.

In altre parole, il DNA oscuro è una sorte di “software” che manipola e regola il “DNA codificante”, quello che realizza l’organismo così com’è in corpo, anima e intelligenza. Senza l’intervento sapiente del DNA oscuro, l’altro DNA non funziona o funziona malissimo.

Questo DNA oscuro registra le esperienze individuali, le immagazzina in un capace archivio molecolare e detta all’individuo l’adattamento all’ambiente trasmettendo attraverso le generazioni, anche molto lontane, le esperienze vissute da ognuno dei nostri antenati.

Partendo da queste considerazioni si può ipotizzare che, fin dalla fondazione dei fenici e dalla colonizzazione araba, i palermitani abbiano convissuto con la munnizza fino a farne un oggetto di riferimento del paesaggio urbano e e un contrassegno identificativo della panormitudine.

La munnizza si è radicata nel DNA oscuro e guida il nostro atteggiamento amichevole verso la “lurdìa” fino a radicarlo non solo nella cultura, ma anche nella biologia del nostro popolo, ivi inclusa la Buona borghesia e la finta igiene delle signore bene. A questo punto l’estirpazione di questa memoria (che in termini tecnici è un “meme”), è particolarmente difficile e laboriosa e richiede un grandissimo impegno di cultura e di civiltà, decisamente superiore a quanto si può sperare da questi amministratori e dalle capacità dei cittadini.

Formulata questa ipotesi come divertissement da non prendere troppo sul serio, non ho la pretesa di dire qualcosa di diverso e di nuovo. Posso ricordare che, dal dopo guerra fino ai nostri giorni, le dimensioni della città sono esplose dilatandosi in una progressione esponenziale, che non ha visto un’uguale crescita della cultura e della civiltà degli abitanti, per i 4/5 costituiti da immigrati dell’entroterra siculo, presto naturalizzati con il peggio di Palermo, città di cui non fregava niente a nessuno.

Ci si chiede cosa abbiano fatto i cittadini onesti che aspiravano a vivere secondo standard civili e la risposta è che, la folle urbanizzazione degli anni ’70 e ’80 e dopo le stragi, abbiamo consegnato la città a Leoluca Orlando perché ne avevamo apprezzato l’aplomb di uomo di cultura e di caratura internazionale, a parte la sua ben nota capacità di politico navigato e di comunicatore loquace ed iperbolico.

Abbiamo goduto di una breve “primavera” che si è presto trasformata in autunno, poi in inverno siberiano ed ora in “day after” dal quale rischiamo di non uscire più. Da lui e dalla sua amministrazione si sperava una gestione nuova, brillante, irreprensibile e “a tolleranza zero” su tutto – su abusivismo, problemi della costa, viabilità, disinquinamento, ecc. – ma soprattutto di rieducazione della cittadinanza per cambiare l’atteggiamento di chi aveva convissuto con la mafia e con la peggiore assistenza clientelare che ha tante affinità con la mafia, combattuta a suon di slogan e proclami, sempre gli stessi.

Dopo il decennio di Diego Cammarata si anelava ad una riedizione della “primavera” e gli unici risultati sono stati: il Tram, la pedonalizzazione della via Maqueda, la ZTL e l’imbellettamento del centro cittadino ridotto a vetrina kitsch ad uso dei turisti mordi e fuggi.

I problemi atavici non solo sono rimasti, ma si sono anche ingigantiti e la munnizza e il taglio degli alberi sono stati i più offensivi per i cittadini onesti.

Ci sono cascate addosso infinite esternazioni auto elogiative che ci saremmo risparmiate, nell’assoluta incomunicabilità con un’amministrazione sorda ad ogni critica e priva di partecipazione. E con il sottofondo assordante della movida notturna, grande produttrice di munnizza e ammuìno.

Viva Palermo e Santa Rosalia, W la munnizza e così sia!

Foto tratta da siciliatoday.net

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