Quanta ipocrisia sui dodici migranti morti che lavoravano nei campi di pomodoro a Foggia!

8 agosto 2018

Questo sistema di sfruttamento va avanti da almeno un paio di decenni. I migranti, di fatto, si sono sostituiti ai braccianti agricoli italiani per la raccolta dell’ortofrutta perché accettano salari nettamente inferiori rispetto a quelli previsti dalle leggi italiane. Lo scenario, però, è molto più complesso di quanto appaia. In ballo c’è una parte importante dell’agricoltura italiana. Il ruolo delle politiche dell’accoglienza e della UE.

Ogni tanto in Italia scoprono lo sfruttamento nel lavoro. Questo avviene – com’è accaduto in queste ore – quando a lasciarci la vita, in un incidente, sono i migranti che lavorano, da sfruttati, in agricoltura. Com’è avvenuto a Foggia e dintorni per la morte di dodici migranti-braccianti agricoli. 

Allora ci si comincia a stracciare le vesti: vergogna di qua, vergogna di là. La cosa incredibile è che, ad alzare la voce, gridando allo scandalo, sono gli esponenti di quelle forze politiche e quei cattolici che sono in prima file nelle cosiddette politiche dell’accoglienza dei migranti. Dimenticando che l’accoglienza dei migranti si sposa perfettamente con la crisi dell’agricoltura italiana ed è alla base dello sfruttamento degli stessi migranti.

Proviamo a illustrare come stanno le cose, senza avere la pretesa di conoscere la verità.

Cominciamo con la politica dell’accoglienza dei migranti costi quel che costi. Che fine fanno i migranti che arrivano in Italia con i barconi? In buona parte emigrano verso il Nord Europa. Prima era molto facile emigrare dall’Italia, oggi cominciano ad esserci difficoltà, perché alcuni Paesi europei hanno chiuso del frontiere e altri le stanno chiudendo.

In ogni caso, alle frontiere italiane sono aumentati controlli e respingimenti e la vita per i migranti che vogliono lasciare l’Italia sta diventando dura.

In questa fase, come tutti sappiamo, ci sono tensioni e polemiche, perché il Ministro degli Interni, Matteo Salvini, ha bloccato le attività delle navi delle ONG. Così il numero di sbarchi si è ridotto, ma non è scomparso.

Restano i migranti già in italia che vivono nel nostro Paese e quelli che attendono di sapere se verranno accettati o no come rifugiati politici. Più i migranti che, in minor numero, continuano ad arrivare.

Ormai è noto che i rifugiati politici sono, sì e no, il 7% dei migranti che arrivano in Italia: il resto – ovvero la gran maggioranza – sono migranti economici.

Molti di questi migranti che vivono nel nostro Paese sono ospitati nei centri di accoglienza. Questi centri di accoglienza percepiscono dallo Stato italiano 35 euro al giorno per ogni migrante ospitato.

Ogni centro di accoglienza garantisce vitto e alloggio tenendosi 33 euro. Ad ogni migrante vanno appena 2 euro al giorno!

Va da sé che i tanti migranti che vivono nei centri di accoglienza e altri migranti che si trovano a vivere in Italia senza permesso di soggiorno si danno da fare: si improvvisano parcheggiatori abusivi, chiedono l’elemosina davanti le chiese, davanti ai bar, davanti ai supermercati e via continuando (sembra che questi posti per chiedere l’elemosina siano ‘controllati’, soprattutto nelle grandi città: ma questo è un altro discorso).

Molti di questi migranti si offrono come braccianti in agricoltura: e questo avviene in tutta l’Italia, non soltanto nel Sud.

Ora guardiamo la vicenda dall’altra parte: dalla parte dell’agricoltura.

L’agricoltura italiana, da anni, è sotto attacco. Sia il grano duro, sia il grano tenero devono fare i conti con i grani di mezzo mondo che arrivano con le navi. Chi legge questo blog sa che il grano duro del Sud Italia si vende a 18-20 euro al quintale. Un prezzo irrisorio che sta mettendo in ginocchio il settore (in calce troverete qualche articolo).

Abbiamo citato il grano perché è un esempio di come le politiche agricole volute dall’Unione Europea dell’euro stanno massacrando l’agricoltura del Meridione d’Italia.

Il grano con i migranti c’entra poco o nulla, perché la raccolta del grano avviene meccanicamente con le mietitrebbie. Diverso il discorso per l’ortofrutta, con la raccolta che è ancora quasi tutta manuale. Il problema è che anche l’ortofrutta italiana è sotto attacco da parte di prodotti – peraltro di scarsa qualità – che arrivano dall’estero, soprattutto da Cina e Africa.

In questi Paesi il costo del lavoro è irrisorio. Facciamo un esempio per fare chiarezza. In Italia un bracciante agricolo, se pagato a norma di legge, costa quasi 100 euro al giorno. Mentre in Africa 5 euro al giorno viene considerato un salario alto!

E’ chiaro che non ci può essere partita tra l’Italia e questi Paesi.

Il pomodoro è un esempio paradigmatico. Ci fu un tempo in cui tutto il Sud Italia pullulava di industrie, piccole e grandi, che lavoravano il pomodoro. Oggi, ad esempio, in Sicilia – a parte qualche azienda che produce salsa di pomodorino ‘ufficialmente’ di Pachino (su questo punto torneremo con un articolo a parte) – le industrie che lavorano il pomodoro sono quasi del tutto scomparse.

Sono in pochi, in Sicilia, a coltivare il pomodoro di pieno campo. Per due ragioni.

In primo luogo perché l’Italia è letteralmente invasa da pomodori, da passata di pomodoro e, in generale, di pomodoro in scatola (o che viene messo in scatola) che arriva da Cina e Africa. E quindi il prezzo di questo prodotto, vuoi o non vuoi, è basso.

La seconda ragione è che oggi, in Sicilia – a meno che non si tratti di aziende a conduzione familiare che possono ridurre al minimo i costi – coltivare il pomodoro di pieno campo non conviene, perché un’azienda non può pagare i braccianti agricoli per raccoglierlo circa 100 euro al giorno! (in calce trovate articoli su tale argomento).

C’è chi lo coltiva lo stesso: ma lo fa a proprio rischio e pericolo, utilizzando come manodopera i migranti, con retribuzioni minime. In Sicilia – così a noi risulta – c’è chi paga 15 euro al giorno, chi 20 euro, chi 25-30 euro al giorno: oltre queste cifre non si va.

Diverso il discorso nel resto del Sud Italia – soprattutto Puglia e Campania – dove il pomodoro di pieno campo regge, sorretto dalla presenza di piccole industrie.

Ai migranti, tutto sommato, conviene lavorare nella raccolta di pomodoro di pieno campo, perché i posti per l’elemosina non sono proprio ‘liberi’ e, a un certo punto, si saturano. E loro non hanno alternative.

Sanno di essere sfruttati dall’alba al tramonto. E, spesso, si trasferiscono nei luoghi di raccolta del pomodoro (o di altri prodotti) per settimane. Si hanno notizie di luoghi dove i migranti-braccianti passano le notti per giorni e giorni. E dove succedono anche altre cose spiacevoli.

Sarebbe possibile fare finire tutto questo? Sì, perché tutti sanno dove si trovano le colture di pieno campo – di pomodori e di altri ortaggi – e dove si trovano i frutteti. Non sarebbe difficile, per le autorità, bloccare tutto.

Ma si bloccherebbe una parte dell’agricoltura italiana, che oggi – proprio sul costo del lavoro – non può reggere il confronto con chi coltiva l’ortofrutta in alcune aree del mondo dove il costo del lavoro è irrisorio.

Insomma, pensiamo veramente che sia difficile individuare i campi di pomodoro sparsi per la Puglia e la Campania? Cerchiamo di essere seri! Sarebbe semplicissimo. E il primo a saperlo è il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che annuncia controlli a tappeto.

Forse al Sud questi controlli a tappeto potrebbero anche arrivare. Tanto a Salvini che cosa gliene frega dell’agricoltura del Sud? Ma dubitiamo che la stessa cosa possa avvenire al Centro Nord, dove la Lega ha un forte radicamento elettorale.

Tra l’altro, bloccare l’attuale sistema – a nostro avviso sbagliato – avrebbe subito un effetto: aumenterebbe l’importazione di prodotti agricoli di bassa qualità dal resto del mondo, agevolando coloro i quali lavorano per lo smantellamento dell’agricoltura italiana.

Quello che si verifica in alcuni, importanti settori dell’agricoltura del nostro Paese è sotto gli occhi di tutti: i braccianti agricoli italiani si rifiutano di andare a lavorare in nero per 20-30 euro al giorno. I migranti accettano, perché per loro che si ritrovano in tasca 2 euro al giorno acciuffare altri 20-30 euro al giorno è già un mezzo successo.

Poi arriva un incidente, come quello che si è verificato a Foggia: e allora bisogna recitare la parte contro il ‘caporalato’, contro chi sfrutta i lavoratori nei campi e bla bla bla. Chiacchiere da farisei.

Ha torto il filosofo e commentatore Diego Fusaro quando scrive e dice che i migranti che vengono ‘deportati’ in Europa abbassano il costo del lavoro e distruggono i diritti dei lavoratori europei? Non è forse successo proprio questo con i braccianti agricoli italiani?

Qualcuno si è mai lamentato del fatto che, ormai da qualche decennio, i braccianti agricoli a bassa specializzazione del nostro Paese sono stati sostituiti dai migranti che si accontentano di meno di un terzo del salario previsto dalle leggi italiane?

Ovviamente, questo non vale per gli operai agricoli specializzati: per esempio per i potatori. Questo personale, non potendo essere sostituito con manodopera a basso costo, resiste. E si fa pagare.

Ovviamente, non ci limitiamo a illustrare i problemi senza ipotizzare soluzioni. Perché le possibili soluzioni ci sono: e non sono certo i voucher reintrodotti in queste ore in agricoltura, che servono solo a codificare lo sfruttamento!

Chi ha un po’ di memoria ricorderà che quando il Governo Renzi ha introdotto i voucher, il lavoro nero, in agricoltura, non è stato eliminato (anche su questo punto proveremo a illustrare, in un prossimo articolo, a chi servono effettivamente i “voucher in agricoltura”: non certo agli agricoltori!).

La prima soluzione da adottare sono i controlli sanitari sull’ortofrutta che arriva in Italia. L’ortofrutta che giunge dall’estero, oltre a costare poco grazie al costo del lavoro irrisorio, è anche prodotta con tecniche agronomiche che l’Italia e buona parte del resto d’Europa hanno bandito da decenni.

Ci riferiamo all’uso di pesticidi che dalle nostre parti non si utilizzano più perché dannosi per la salute umana. Ecco, basterebbero dei semplici controlli per rimandare al mittente una buona parte dell’ortofrutta che arriva in Italia.

Nessun dazio doganale – come invece stanno facendo gli Stati Uniti d’America per difendere le proprie produzioni industriali – ma semplici controlli fitosanitari.

Ma questo presuppone un’Unione Europea nella quale l’interesse per la salute delle persone viene prima degli interessi delle multinazionali e degli speculatori.

Purtroppo si verifica l’esatto contrario. La Commissione Europea – che è il Governo dell’Europa unita che nessuno ha eletto democraticamente – pur di favorire le multinazionali, ha deciso, ad esempio, di applicare il CETA (il trattato commerciale tra Canada e UE) calpestando la volontà di ben 27 Parlamenti sovrani.

In pratica, questo trattato commerciale internazionale truffaldino viene applicato senza che i Parlamenti dei 27 Paesi lo abbiano prima ratificato, alla faccia della democrazia! (a proposito, dove sono, in questo caso, i ‘custodi’ della democrazia che ci invitano a combattere il rinascente ‘fascismo’?).

Grazie al CETA, dal settembre dello scorso anno le multinazionali vanno in Canada a ‘chiudere’ affari nell’industria e nella pubblica amministrazione; in cambio, però, i cittadini europei debbono importare prodotti agricoli canadesi, in alcuni casi di pessima qualità: prodotti che, guarda caso, vanno ad ‘ammazzare’ i prodotti agricoli italiani, soprattutto del Sud Italia.

Lo stesso discorso vale per l’olio d’oliva finto extra vergine tunisino (che sta massacrando le produzioni di extra vergine di Puglia, Calabria e Sicilia), per gli agrumi del Maroccoper i già citati pomodori freschi e per i derivati del pomodoro cinese e africano, per la frutta estiva del Nord Africa e via continuando.

Fino a quando ci sarà l’attuale Unione Europea dell’euro – con in maggioranza Popolari e i Socialisti che avallano queste sconcezze – ci sarà poco da fare.

Un’altra soluzione potrebbe essere l’utilizzazione di una parte dei fondi europei destinati all’agricoltura per abbattere il costo del lavoro. Ma, anche su questo fronte, dubitiamo che la UE lo consentirebbe, soprattutto per le agricolture mediterranee.

Ricordiamoci che l’Unione Europea paga i produttori di grano duro del Sud Italia per farli restare a casa (il regolamento comunitario si chiama Set-Aside, come potete leggere sempre in calce a questo articolo).

Con molta probabilità, è in corso un progetto di smantellamento di tutta l’agricoltura del Sud Italia per consentire a soggetti esteri e del Centro Nord Italia di impossessarsi dei terreni agricoli del Mezzogiorno, facendo fuori i nostri agricoltori. 

La vicenda della ‘privatizzazione’ della varietà di grano duro Senatore Cappelli è emblematica. E non escludiamo siano in corso ‘lavori’ (leggere imbrogli) per scippare alla nostra Isola la titolarità dei grani antichi siciliani.

Sotto questo profilo la presenza di un Ministro delle Politiche agricole leghista – Gian Marco Centinaio – deve preoccupare, e molto, gli agricoltori del Sud Italia. Questo signore, da quando si è insediato, sta lavorando solo per l’agricoltura e per l’agro-industria del Centro Nord Italia, ignorando il Sud.

Basti pensare che per il problema grano duro in generale e per la vicenda Senatore Cappelli in particolare l’attuale Ministro Centinaio non ha pronunciato una sola parola.

Davanti allo sfruttamento dei migranti c’è chi propone soluzioni drastiche. Ma, come abbiamo cercato di illustrare, il problema è molto complesso e oggi una parte importante dell’agricoltura italiana è schiava di un sistema al quale concorrono vari fattori: l’ortofrutta che arriva in Italia a prezzi stracciati, i migranti che si sono sostituiti ai braccianti agricoli italiani e, soprattutto, le Politiche agricole della UE che hanno creato queste condizioni-capestro.

A Bruxelles sarebbero felici di sapere che l’Italia ha finalmente eliminato il ‘caporalato’, perché, contemporaneamente, si eliminerebbe una parte dell’agricoltura italiana, dando la possibilità agli speculatori, soprattutto stranieri, di impossessarsi dei terreni agricoli del nostro Paese.  

Concludendo, con l’attuale Unione Europea dell’euro, controllata da multinazionali, massoni, speculatori e strozzini, l’agricoltura italiana sarà sempre in difficoltà, mentre l’agricoltura del Sud Italia è destinata a una crisi sempre più difficile da gestire.

Lo sfruttamento della manodopera composta da migranti continuerà, anche perché la presenza di queste masse di disperati alleggerisce le città. Il nostro non è cinismo: è una constatazione. Perché se tutti i migranti che oggi vivono nei centri agricoli – in alcuni casi in condizioni terribili – dovessero perdere il lavoro, ebbene, questi stessi migranti si riverserebbero nelle città del nostro Paese.

Parliamo di migliaia e migliaia di persone. Poi che cosa si dovrebbe fare, affidarci allo ‘sceriffo’ Salvini e alle sue sceneggiate mediatiche?

Foto tratta da expo2015.org

Da leggere:

Raccolta del pomodoro: sette giorni per assumere un operaio a norma di legge. E’ normale?

Regione e UE: soldi agli agricoltori siciliani per non coltivare il grano. E così arriva il grano canadese!

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