Il ‘contratto di costa’ serve alla Sicilia o alle imprese del raddoppio ferroviario Pa-Me?

5 maggio 2018

Un post su facebook di Maurizio Spanò apre un dibattito interessante sulla tutela delle coste della Sicilia. Tema dibattuto già a metà anni ’80 del secolo passato. Con soluzioni spesso sbagliate. Oggi il Governo di Nello Musumeci annuncia il ‘contratto di costa’ per il Messinese. Ma c’è il dubbio che non serva alla Sicilia, ma al cosiddetto “appaltismo” caro a un certo centrodestra degli affari 

Il “contratto di costa” presentato dal Governo regionale di Nello Musumeci come la soluzione per combattere l’erosione della costa del Messinese serve solo per togliere le castagne dal fuoco alle imprese che realizzeranno il raddoppio ferroviario Palermo-Messina?

Se fosse così sarebbe una furbata e, perché no, anche una mezza iattura. Anche se sulla propria pagina facebook Maurizio Spanò, che nella vita si occupa proprio di lavori pubblici, scrive:

“Vediamo se mi sbaglio: il raddoppio ferroviario Messina Palermo è quasi tutto in galleria. Il materiale di scavo delle gallerie va smaltito, quindi Musumeci si inventa il ‘contratto di costa’ che servirebbe a ripristinare le spiagge erose dal mare. L’iniziativa è lodevole, ma chiamiamola come si deve, ovvero: scarichiamo il materiale di scavo a mare. Non c’è niente di male, del resto circa 25 anni fa si fece lo stesso a Cefalù con il materiale della galleria dell’autostrada. Naturalmente il progetto fu redatto da noti ambientalisti, ci mancherebbe. Un contratto di costa serio dove la prende la sabbia per ripristinare il litorale? Quindi si pensa a mettere il materiale di scavo sotto, e un po’ di sabbia sopra. Et voilà”.

Noi ci auguriamo che le cose non stiano in questi termini. E che quanto scrive Spanò non risponda al vero. Perché l’erosione delle coste è un problema serio, che è presente in tutta l’Italia, Sicilia compresa. Un problema che non si affronta con furbate e semplificazioni.

L’erosione delle coste è un fenomeno dovuto a vari fattori: climatici, ambientali e anche antropici.

Chi scrive ricorda il primo convegno sull’erosione delle coste che si tenne a Palermo nella prima metà degli anni ’80. Fu voluto da Legambiente Sicilia, allora diretta da Giuseppe ‘Peppe’ Arnone e Angelo Dimarca, e dall’assessorato regionale al Territorio e Ambiente.

Vennero già allora analizzate attentamente – per quelle che erano le conoscenze scientifiche del tempo – le cause dell’erosione delle coste. E proprio sul Messinese si arrivò alla conclusione che era stata la dabbenaggine umana la prima causa dell’erosione delle coste, che già allora era un problema.

Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 del secolo passato molte delle Fiumare del Messinese erano state ‘cementificate’. Cosa, questa, che aveva drasticamente ridotto l’apporto di detriti a valle. E siccome le spiagge sono il risultato di un equilibrio dinamico tra la sabbia che il mare si porta via e i detriti che i fiumi portano in spiaggia, la ‘cementificazione’ delle Fiumare, riducendo, se non eliminando, l’apporto di sabbia e detriti a valle finì con il creare le condizioni per l’erosione costiera. E per il degrado.

La Fiumara d’arte voluta da Antonio Presti nel Messinese, oltre che una ‘poesia’ per l’ambiente, era anche una protesta contro il degrado del nostro tempo.

Anche le infrastrutture portuali, se realizzate irrazionalmente, creano le condizioni per l’erosione.

E’ probabile – anzi è quasi certo – che l’erosione che ha colpito le coste della Sicilia dalla fine degli anni ’70 in poi sia il frutto di molteplici fattori, non tutti naturali: per esempio, la realizzazione, nella nostra Isola, di quasi quaranta dighe artificiali sbarrando, a monte, i fiumi e i corsi d’acqua ha impoverito le spiagge, predisponendole all’erosione.

I dibattito su come provare a frenare l’erosione delle coste in Sicilia è tutt’ora in corso. Nella seconda metà degli anni ’80, grosso modo, si fronteggiavano due scuole di pensiero.

C’erano – e non erano pochi – coloro i quali pensavano che il problema si poteva risolvere realizzando frangiflutti sotto costa. Era, questa, un’impostazione ingegneristica. Mentre la seconda scuola di pensiero – fatta da geologi esperti in sedimentologia – invitava ad essere più cauti.

Per un certo numero di anni l’impostazione ingegneristica ebbe la meglio. E in Sicilia – per esempio a Sciacca, ma non soltanto a Sciacca – si realizzarono tanti frangiflutti sotto costa. Il metodo sembrava funzionare. Sembrava. Perché dopo pochi anni si scoprì che, in realtà, con i frangiflutti, si proteggeva un tratto di costa, ma si spostava il problema di poche centinaia di metri!

Insomma: avevano ragione i geologi-sedimentologi a invitare alla cautela.

In quegli anni – e qui torniamo a quanto scrive Spanò – si parlava di un altro errore che non avrebbe dovuto essere commesso: scaricare in mare i detriti di scavi e attività edilizia in generale. L’esempio degli effetti di questo tragico errore erano visibili a Palermo, dove un tratto della costa orientale della città era stata rovinata proprio dallo carico indiscriminato di detriti negli anni del cosiddetto ‘Sacco’ di Palermo!

Ancora oggi – e sono passati quasi cinquant’anni! – il tratto di costa di Acqua dei Corsari, a Palermo, massacrato dal materiale di risulta della speculazione edilizia non è stato bonificato.

Spanò fa riferimento al ‘riempimento’ di un tratto di costa lungo la strada statale di Cefalù andato in scena alla fine degli anni ’80. Fu un intervento pesante, se non devastante. Per il quale non mancarono le polemiche, anche roventi. Non è stata una bella trovata, anzi.

Lo vogliono replicare nel Messinese? Noi ci auguriamo di no.

Noi ci rifiutiamo di pensare che l’attuale Governo regionale e le imprese che realizzeranno il raddoppio ferroviario Palermo-Messina abbiano intenzione di scaricare in mare il materiale di risulta di questi lavori. Sarebbe un fatto gravissimo!

Noi ci auguriamo che il “contratto di costa” illustrato dal Governo regionale abbia alle spalle uno studio serio redatto non soltanto da ingegneri, ma anche – anzi soprattutto – da tecnici geologi ed esperti in sedimentologia.

Un ‘contratto di costa’ che si rispetti deve affrontare il problema dell’erosione delle coste con un approccio che i filosofi definirebbero “olistico”, in grado di guardare a tutti i fattori che provocano l’erosione: meteoclimatici, geologici, biologici ed antropici.

Oggi l’erosione costiera, come ci ricordano gli esperti di questo settore, è dovuta principalmente all’attività dell’uomo. Tra queste ricordiamo l’agricoltura non sempre in accordo con gli equilibri ambientali, la riduzione dei boschi (i 20 mila ettari di boschi andati in fumo lo scorso anno perché il Governo nazionale e il Governo regionale hanno ‘risparmiato’ sui forestali non ha certo aiutato), le opere edili (abusivismo lungo le coste) e certe opere portuali.

L’erosione delle coste è dovuta anche a cause naturali che hanno comunque un impatto minimo sul fenomeno. I maggiori danni li produce l’uomo.

Insomma, per affrontare e provare a risolvere il problema dell’erosione delle coste non bisogna agire solo sulle stesse coste, ma a livello globale, intervenendo sui vari fattori responsabili di tale fenomeno. Prendere il materiale di risulta della galleria del raddoppio ferroviario Palermo-Messina e gettarlo in mare si configurerebbe come un attentato all’ambiente, altro che soluzione del problema erosione della costa!

Se, per citare un esempio, la Regione siciliana, nel 1976, non avesse approvato la legge n. 78 del 1976 – che è la legge che ha introdotto l’inedificabilità assoluta entro i 150 metri dalla battigia – la Sicilia, oggi, non avrebbe un metro di costa libera. Il cemento avrebbe travolto tutto.

La lungimiranza paga sempre.

Speriamo bene, per la costa del Messinese e per le restanti coste siciliane.

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