MATTINALE 49/ Quel rettangolo nel centro di Palermo dove sopravvive la manomorta

17 aprile 2018

Dopo villa Deliella, atroce e barbarico atto di distruzione di cultura e di memoria, oggi vi parlerò di un altro ‘pezzo’ di Palermo sottratto ai cittadini: il rettangolo compreso tra le vie Nicolò Garzilli, via Paolo Paternostro, via Principe di Villafranca e via Dante: un insieme sconnesso e vergognoso di macerie e locali in affitto…   

Ogni città ha i suoi totem. Spazi, edifici, ruderi, memorie. A volte testimonianze vere e proprie nel senso di “testi a carico”.

La mia Palermo, non si sottrae a questa regola, anzi, ne declina fino in fondo l’amaro significato.

Vi ho già parlato di Villa Deliella, atroce e barbarico atto di distruzione di cultura e di memoria e vi ho anche parlato del’incapacità delle nostre amministrazione e della nostra società civile di affrontare e risolvere il problema, che è etico, prima che tecnico e urbanistico, creato da quell’orbita vuota (QUI L’ARTICOLO SU VILLA DELIELLA).

Oggi vi parlerò di un “Rettangolo d’oro”. Che si estende tra le vie Nicolò Garzilli, via Paolo Paternostro, via Principe di Villafranca e via Dante. Un insieme sconnesso e vergognoso di macerie e locali in affitto. Di miseria morale, piccola ingordigia e noncuranza. Ma soprattutto la prova provata della ignobile pusillanimità e della sudditanza da baciapile pelosi dei nostri amministratori, cominciando da quelli che il sindaco non lo sapevano fare, per giungere a quelli che il sindaco lo sanno fare(sic).

Dei vecchi arnesi e antichi farabutti quando si dice che sono morti si è detto tutto. Vogliamo parlare invece del sindaco dalle mille primavere, dell’Orlando sindaco.

In quel rettangolo d’oro al centro di Palermo, prosecuzione, estensione ideale ma anche fattuale della piazza Castelnuovo domina la manomorta. Per chi non lo sapesse, il termine manomorta indica il patrimonio immobiliare degli enti, civili o ecclesiastici, la cui esistenza è perpetua.

Tali beni, solitamente fondiari, erano inalienabili (cioè non trasmissibili ad altri) secondo un istituto giuridico di origine longobarda. Essi, perciò, riducevano la capacità impositiva dello Stato perché non davano luogo né al pagamento di imposte sulla vendita, né a imposte di successione.

Il termine giuridico trae origine dal francese antico main morte per indicare una forma di possesso rigida come quella della mano di un morto che non lascia più la presa perché contratta dalla rigidità cadaverica.

Ecco che cosa c’è ad un passo dal Politeama: un relitto, protervamente in mano ad uno scheletro, la anacronistica sopravvivenza di un istituto “giuridico” di quella popolazione che calò in Italia con le corna in testa e che oggi si chiamano Lombardi.

Un “Opera pia”, dalla notte dei tempi, è proprietaria indisturbata di questo immobile che ingombra, con la sua architettura sbreccata e ammuffita il cuore di Palermo, una costruzione coeva alla Vicaria e al Santo Uffizio, che ammorba la nostra dotta città, capitale della Cultura.

Da quanti anni Orlando avrebbe potuto e dovuto affrontare e risolvere il problema? Ma da quel baciapile che è se ne è guardato bene. Il totem resta lì, a intossicare con i suoi miasmi da pinzocheri il nostro futuro di città moderna.

C’era ai tempi di mio nonno e di mio padre, mi sopravviverà. Sopravviverà a tutti i palermitani che oggi vivono nella nostra città. Perché? Cui prodest? Quanto ci perde la città, anche in tasse non riscosse, ogni giorno che passa? Quanto ci guadagnano preti e Arcivescovi ogni giorno che passa?

E’ TEMPO DI DIRE BASTA!

Ora basta. E’ ora di finirla. Non si va all’Inferno se si chiude questa partita, lo so, ma per alcuni è peggio: si perdono voti di monaci e parrini. Che dolore!

Si dichiari immediatamente la pubblica utilità dello spazio, si butti tutto giù. Si scavi usque ad inferos e si facciano sotto parcheggi per tutta la città come a Torino, a Piazza Castello. E si apra lo spazio ad una piazza come quella ad esempio che c’è al centro di Monaco di Baviera. Un grande spazio per ristorazione, eventi, mostre, spettacoli, vita.

Quanto lavoro per un nuovo sindaco!

Foto di Amelia Bucaro Triglia

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