Ascesa, caduta e ricaduta di Francantonio Genovese, tra Formazione professionale & aliscafi

24 novembre 2017

Dopo lo scandalo della Formazione professionale e la vittoriosa candidatura del figlio Luigi alle elezioni regionali, per Francantonio Genovese arriva una nuova tegola: un sequestro di circa 100 milioni di euro. In questo articolo proviamo a ricostruire la figura di un personaggio estremamente complesso, in ‘bilico’ tra il grande affare dei trasporti marittimi e la politica. I parallellismi tra Messina e Trapani

Sembra proprio che i guai, per Francantonio Genovese, non debbano mai terminare. Alla fine, riflettendoci, tutti i suoi disastri sono iniziati con la Formazione professionale siciliana. Per lui, politico e imprenditore (è socio della Turist Caronte, uno dei gruppi imprenditoriali della Sicilia tra i più importanti nel comparto dei trasporti marittimi), un democristiano transitato prima nella Margherita e poi nel PD allora retto da Walter Veltroni, il settore formativo deve essere cominciato come un gioco: un gioco che, però, piano piano, sottovaluta oggi e sottovaluta domani, l’ha trascinato in un baratro.

Francantonio Genovese, politicamente parlando, è un figlio d’arte. Anzi, per essere precisi, figlio e nipote d’arte. Suo zio Antonio ‘Nino’ Gullotti – chi ha vissuto la politica siciliana dagli anni ’60 sino alla fine degli anni ’80 del secolo passato lo ricorderà – è stato leader nazionale della DC, più volte Ministro della Repubblica e uno dei più influenti personaggi di questo partito in Sicilia. Ed è stato, dalla metà degli anni ’60 fino alla sua scomparsa, avvenuta nell’estate del 1989, il protagonista indiscusso della vita politica di Messina e dintorni.

Anche suo padre – Luigi Genovese – non scherzava, se è vero che è stato senatore dal 1972 fino al 1994. Ma, lo ribadiamo, il personaggio centrale di questa famiglia politica è sempre stato Nino Gullotti.

Se proprio dobbiamo essere sinceri, avendo vissuto gli anni ’80 occupandoci di cronaca politica siciliana, non troviamo molti punti in comune tra Francantonio Genovese e lo zio. Anche nella gestione del potere zio e nipote sono diversi: sempre ‘felpato’ il leader democristiano, abilissimo, soprattutto nella sua provincia, nel non crearsi ‘nemici’; un po’ esagerato il nipote Francantonio nell’ostentare potere e forza elettorale, tanto da suscitare spesso le invidie dei suoi compagni di partito.

Certo, erano tempi diversi, quelli di Nino Gullotti. Ma una cosa del leader democristiano la ricordiamo con precisione: l’arte di non mescolare mai la politica con altre attività. O – forse – potrebbe aggiungere qualcuno – di non apparire mai in prima persona al di là della politica.

C’è, poi, un’altra differenza tra nipote e zio: Francantonio Genovese ha ereditato il posto nella vita politica dalla famiglia, mentre Nino Gullotti si è fatto da sé in una fase storica molto complessa della Sicilia, quando la prima commissione nazionale Antimafia del Parlamento italiano cominciava a muovere i primi passi, a metà anni ’60.

Secondo lo scrittore Michele Pantaleone, Gullotti, che per tanti anni è stato il vice presidente della commissione Antimafia, ne sapeva sempre una più del diavolo. E questa dote, in una commissione parlamentare d’inchiesta che, in parte, cercava di capire la mafia e di combatterla e, in parte, la strumentalizzava per fini politici, è stato un pregio che, con molta probabilità, ha fatto la fortuna di Gullotti.

Dal 1976 in poi – anno in cui la prima commissione Antimafia del Parlamento nazionale ha concluso i lavori – Gullotti è stato più volte Ministro e leader della Dc. In Sicilia la sua presenza è stata costante e determinante. Negli anni ’70 e negli anni ’80 non c’era Governo regionale che non passasse dalle sue mediazioni.

La baraonda che si scatenerà nella politica siciliana dalla fine del 1989 sino al 1991, in buona parte è dovuta anche all’assenza della capacità di mediazione di Gullotti, soprattutto all’interno di una DC frastornata dai primi, sinistri bagliori di Tangentopoli.

E Francantonio Genovese? Arriva in politica a metà anni ’90 del secolo passato, quando la mediocrità della Seconda Repubblica porta sulla ribalta la ‘serie B’ della politica italiana. Elezione in Consiglio provinciale ed elezione all’Assemblea regionale siciliana nel 2001.

Quattro anni dopo – nel 2005 – lascerà il Parlamento dell’Isola dopo essere stato eletto sindaco di Messina.

Nel 2007, su indicazione dell’allora segretario nazionale del PD, Veltroni, Genovese diventa segretario regionale del partito nato dalla fusione tra gli ex democristiani della Margherita (che in realtà sono quasi tutti esponenti della sinistra DC: quindi democristiani particolari, tecnicamente ‘zaffigni’…) e gli ex comunisti del Pci passati dalle prime due ‘trasformazioni’: dal Pci al Pds e dal Pds ai Ds).

Francantonio Genovese, per la cronaca, diventa primo segretario regionale del Partito Democratico con l’85% dei consensi. E, da segretario regionale del PD, nel 2008, viene eletto alla Camera dei deputati.

Come lo zio, Genovese è abile nell’organizzazione del potere. Ma, a differenza dello zio, come già ricordato, nel farsi largo a gomitate in una realtà, Messina e il Messinese, resa ‘complicata’ dall’inestricabile intreccio tra vari poteri – alcuni visibili, altri meno visibili, ma non per questo meno presenti – Francantonio Genovese forse ‘pesta’ un po’ troppi piedi.

Lo fa mettendo assieme la tradizione democristiana e la tradizione di una sinistra post comunista che a Messina non è stata mai irresistibile: una sinistra post comunista che, con Genovese sulla plancia di comando del Partito Democratico siciliano, diventa sempre meno influente. Nella Città dello Stretto e in provincia Genovese crea una rete di contatti capillare: consiglieri e assessori comunali, sindaci, deputati regionali. Tra questi spicca Franco Rinaldi, cognato di Genovese.

Ma sarebbe un errore pensare che il sistema politico sia una creazione del solo Genovese: dietro di lui c’è una complessa rete di relazioni molto articolata che affonda le radici nel passato, nei legami molto stretti con il territorio e con un importante mondo imprenditoriale nel settore dei trasporti marittimi del quale lo stesso Genovese è autorevole esponente.

Forte di questo sistema di relazioni – che non è mai stato scalfito e che oggi è più forte che mai – Genovese, nel PD di Messina e provincia, è il più forte. Lo dimostra in modo forse un po’ rude nel dicembre del 2012, quando vanno in scena le primarie del PD siciliano in vista delle elezioni politiche nazionali che si celebreranno nella primavera dell’anno successivo.

Genovese mette all’incasso circa ventimila preferenze, tra i candidati più votati d’Italia, scatenando le invidie di alcuni esponenti della sinistra messinese di estrazione comunista, che si sentono messi all’angolo. Un errore che, con molta probabilità, lo zio avrebbe evitato.

Un capitolo a sé merita il rapporto tra Genovese e la Formazione professionale. Che, con molta probabilità, inizia tra la fine degli anni ’90 e il 2000, quando a Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione siciliana, siede Angelo Capodicasa, eletto a capo del Governo dell’Isola grazie a un ribaltone politico (Governo eletto dall’Ars, perché allora i presidenti della Regione e gli assessori li eleggeva il Parlamento dell’Isola).

Assessore al Lavoro e alla Formazione professionale era l’ex democristiano, Nino Papania: ex democristiano proprio come Genovese, che insieme con Papania darà vita a un sodalizio – nel PD e nel mondo della Formazione professionale – che si interromperà solo quando i due cadranno in disgrazia.

Per chi non lo sa, va detto che, nella politica siciliana, a partire, grosso modo, dalla seconda metà degli anni ’80, chi diventava assessore regionale al Lavoro e alla Formazione, di solito, rimaneva legato allo stesso mondo della Formazione con enti e, dal 1997 in poi, con società.

Papania e Genovese diventano importanti, nel mondo della Formazione professionale siciliana, dopo che il primo Governo regionale di centrodestra, che si insedia nel 1996, avvia la lenta e inesorabile privatizzazione della Formazione professionale: privatizzazione che, per ironia della sorte, due Governi siciliani di centrosinistra – il Governo di Raffaele Lombardo prima e il Governo di Rosario Crocetta dopo – porteranno alle estreme conseguenze.

Il ‘caso’ della Formazione professionale siciliana a gestione pubblica distrutta da due Governi regionali di centrosinistra è paradigmatico: e ci dice che, anche in questo settore, la Sicilia ha anticipato lo scenario nazionale: insomma, la ‘Buona Formazione professionale’ (leggere massacro di questo settore) ha anticipato la ‘Buona scuola’ di Renzi.

L’unica eccezione nella sinistra siciliana, rispetto alla distruzione del modello di Formazione professionale pensato ai tempi di Piersanti Mattarella – una formazione, lo ribadiamo, imperniata su enti no profit e rigorosamente pubblica – è rappresentata dalla CGIL siciliana che, intuendo in anticipo quello che sarebbe successo, si è chiamata fuori dal settore prima del grande crollo.

A differenza della CISL siciliana, che invece è rimasta invischiata prima nel lombardismo e poi nel crocettismo, con lo IAL – un Ente formativo tempo gloria e vanto della stessa CISL – finito ingloriosamente in fallimento tra ombre (tante) e luci (poche).

Dai primi anni del 2000 fino, grosso modo, al 2013 Genovese e Papania saranno punti di riferimento per il PD siciliano e per la Formazione professionale.

Già, fino al 2013. Anno orribile, per i due. Il primo a ‘cadere’ è Papania – anche lui parlamentare nazionale del PD – che nella primavera del 2013 non viene ricandidato alle elezioni politiche nazionali.

E’ quasi un segnale per il suo compagno di partito e di avventure, Genovese, se è vero che, nell’estate dello stesso anno, a Messina, esplode lo scandalo dei ‘corsi d’oro’ nella Formazione professionale.

La domanda è una: perché Genovese – erede di un notevole passato politico ed esponente di una nota famiglia imprenditoriale siciliana – decide di entrare nella Formazione professionale mettendoci la faccia?

Questo è un mistero. Forse vale un vecchio adagio siciliano, stando al quale i sordi portanu sordi: ovvero chi è ricco cerca di diventare ancora più ricco. E’ così? Vattelappesca!

Lo ‘scivolone’ di Genovese non deve avere resi infelici gli invidiosi della sua parte politica, allocati soprattutto nel suo partito, il PD. Ed è proprio il suo partito che, nel maggio 2014, alla Camera, non lo salva dall’arresto: Montecitorio, infatti, manda in galera Genovese con i voti dei parlamentari del Partito Democratico.

Si ‘sciroppa’ più di un anno di carcere, Genovese. Esce nel dicembre del 2015. Una delle prime cose che fa è lasciare il PD, seguito da tutti i suoi fedelissimi. E, insieme con i suoi amici, aderisce a Forza Italia.

Gli effetti, a Messina, non si fanno attendere. In Consiglio comunale, ad esempio, cambia la maggioranza: il PD diventa minoranza e Forza Italia diventa il primo partito. Olè!

Anche alla Camera dei deputati – Genovese è rimasto parlamentare nazionale – passa all’opposizione.

Nel gennaio di quest’anno arrivano le condanne in primo grado per la vicenda dei ‘corsi d’oro 2’ (parliamo sempre di Formazione professionale). Condanna per lui, per la moglie Chiara, per i cognati e per le altre persone coinvolte nell’inchiesta.

Sempre per la cronaca, sia Genovese, sia il cognato Rinaldi sono coinvolti in un’altra vicenda giudiziaria esplosa lo scorso anno.

Francantonio Genovese, nonostante le traversie, si dimostra tosto. O forse è il sistema del quale lui è autorevole esponente che decide di non mollare. E di catapultare nell’agone politico il figlio ventenne, studente di Giurisprudenza. Così Luigi Genovese viene candidato alle elezioni regionali nella lista di Forza Italia.

Candidatura presentata nel corso di una convention organizzata in un ‘Palacultura’ piano di gente, alla presenza del commissario-coordinatore di Forza Italia in Sicilia, Gianfranco Miccichè.

Le polemiche infuriano. Ma il giovane Genovese non si scompone. Replica punto per punto, rilascia interviste. E punta su una campagna elettorale giocata più sui social che sull’informazione tradizionale.

Causa i legami familiari, il suo nome finisce nelle polemiche sui cosiddetti “impresentabili”. Ma questo non scalfisce la sua candidatura: Luigi Genovese viene eletto all’Ars sfiorando le 18 mila preferenze: circa 7 mila a Messina città, il resto in provincia. Piaccia o no, è una grande vittoria.

Come circa trent’anni fa Massimo Grillo (eletto al posto del padre, il parlamentare Salvatore ‘Turi’ Grillo, allora escluso dalla lista della DC di Trapani), Luigi Genovese è il più giovane deputato presente nella nuova Assemblea regionale siciliana.

E oggi? Bella domanda. Intanto, pronto accomodo, c’è un sequestro di circa 100 milioni di euro. Chi conosce la famiglia Genovese non può certo restare stupito dalla cifra. I soldi, da quelle parti, non sono mai mancati. E non possiamo non notare la tranquillità con la quale la famiglia Genovese sta affrontando la nuova bufera giudiziaria.

Insomma, da quello che leggiamo dai giornali, sia i legali della famiglia, sia i Genovese sono convinti che chiariranno tutto. Si vedrà.

E’ stato scalfito non il potere di Francantonio Genovese, ma il ‘sistema’ che sta dietro di lui, o forse anche sopra di lui? A questa domanda non potrà che rispondere l’incedere degli eventi nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.

Un elemento politico, però, pensiamo di essere in grado di commentarlo: è un errore pensare che il ‘sistema’ Genovese abbia bisogno di entrare a far parte del nuovo Governo regionale di Nello Musumeci. Gli obiettivi sono altri e molto più importanti.

Per carità, se dovesse arrivare un assessorato regionale, bene: sarebbe altro grasso che cola (nei giorni scorsi è stato fatto il nome di Pippo Rao, ex segretario del PD di Messina, ovviamente vicino a Genovese).

Ma il tema non è questo.

Il tema vero è il potere economico prima che politico, dopo una stagione di confusione che, per un gioco di veti incrociati, ha portato sulla poltrona di sindaco di Messina Renato Accorinti, esponente di una sinistra non certo riconducibile al PD.

Non dimentichiamo che le elezioni comunali, nella Città dello Stretto, sono alle porte. E quel ‘sistema’, tutto messinese – che, volendo citare un esempio concreto, Enzo Basso con il suo battagliero settimanale Centonove ha sempre combattuto a viso aperto, pagandone, anche personalmente, le conseguenze – si vuole riprendere ciò che in questi anni ha dovuto cedere.

Sullo sfondo di questa intrigata vicenda non va dimenticato il mondo dei trasporti marittimi della Sicilia, già sfiorato dall’inchiesta della scorsa primavera che ha coinvolto la potente famiglia imprenditoriale di Ettore Morace, mettendo a soqquadro Trapani e l’altrettanto complicato sistema di relazioni di questa città che, con Messina, ha almeno due punti in comune: la presenza di una radicata Massoneria e la rete di trasporti marittimi.

Se a Messina i trasporti marittimi riguardano navi e aliscafi che fanno la spola tra Scilla e Cariddi e le isole Eolie, a Trapani c’è il via vai di aliscafi con le isole Egadi.

Tanto soldi pubblici a Trapani, tanti soldi pubblici a Messina. Eh sì, in queste due città siciliane le vie del mare, è proprio il caso di dirlo, sono infinite…

Da leggere anche:

Lo scandalo di aliscafi & traghetti: i retroscena milionari dell’accoppiata Morace-Franza

 

Gli affari del mare 2/ L’eterno ritorno delle stesse facce…

 

Gli affari del mare 3/Nuovi dubbi sul bando per i collegamenti con Egadi e Eolie

 

Gli affari del mare 4/ L’Antitrust e la Sicilia: una volta sì, una volta no…

 

Gli affari del mare 5/ Interrogazione parlamentare sulla Siremar e sui bandi per i trasporti

 

Gli affari del mare 6/ L’Antitrust accusa la Regione e si autoassolve…

 

 

 

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