Quanti siciliani avrebbero votato senza l’inquinamento della campagna elettorale?

23 novembre 2017

Stupirsi, oggi, della compravendita dei voti quando a pochi mesi dalle elezioni abbiamo visto di tutto e di più – dalle assunzioni ‘elettorali’ ai soliti 80 euro sbandierati a qualche giorno dal voto – è da ipocriti. La corruzione è tale sia se il denaro per acquisire consensi è privato, sia se è pubblico. In queste condizioni non c’è da stupirsi se tanta gente, nauseata, non va a votare 

A Palermo un voto, per le elezioni regionali, costava 25 euro. A Catania, piazza elettorale più ‘vivace’, la ‘domanda’ di voti più sostenuta ha fatto schizzare il costo a 50 euro. Per carità, la campagna elettorale è finita, certo. Ma di questa competizione, oltre a contare i morti & feriti, appaiono interessanti altre riflessioni. Pensieri che ci concentrano in una domanda: quanti siciliani sarebbero andati al voto senza la corruzione?

Già, la corruzione: degenerazione spirituale e morale, depravazione, totale abbandono della dignità. O inquinamento o, ancora, ammorbamento.

Proviamo a ripercorrere la campagna elettorale che ci siamo lasciati alle spalle.

Come dimenticare le nomine ‘pilotate’ dalla presidenza della Regione negli ultimi mesi della legislatura? Pensate: per continuare ad effettuare nomine è stata ritardata la pubblicazione del decreto per la convocazione dei comizi elettorali. Il tutto per aggirare la legge che vieta al Governo di effettuare nomine dopo la convocazione dei comizi.

Nessuno era mai arrivato a tanto!

E delle ‘assunzioni’ nella sanità ne vogliamo parlare?

La sanità siciliana è in grande affanno dai tempi del Governo regionale di Raffaele Lombardo. Per cinque anni la situazione negli ospedali dell’Isola è peggiorata giorno dopo giorno: meno posti letto, chiusura dei reparti, medici e infermieri massacrati dal lavoro.

Tutto previsto e voluto: quando con i fondi della sanità si vanno a pagare le rate dei mutui dell’amministrazione regionale, gli stipendi degli oltre 2 mila dipendenti della SAS e l’ARPA Sicilia, beh, qualcuno il conto lo deve pagare, no?

E il conto l’hanno pagato i cittadini-utenti, i medici ospedalieri e gli infermieri.

Dopo cinque anni di inferno, a due mesi dal voto, la ‘grande notizia’: le assunzioni nella sanità! Più decantate che effettuate, naturalmente: ma prima del voto, si sa, tutto fa brodo.

E che dire dei fondi europei – i famigerati bandi – illustrati in convegni pubblici da assessori e alti dirigenti regionali?

Per non parlare degli incontri con i dipendenti regionali promossi da qualche assessore. Tema: l’annunciato rinnovo del contratto, naturalmente in campagna elettorale.

Ma l’apoteosi è stata raggiunta a pochi giorni dal voto, quando il Governo regionale uscente ha reso nota la notizia delle notizie: gli ormai soliti 80 euro in busta paga per i circa 22 mila operai della Forestale. Aumento che dovrà pagare il nuovo Governo regionale.

Ma era importante l’annuncio, no?

Attenzione: tutto è stato fatto alla luce del sole. Tutto in campagna elettorale. Tutto regolare.

Poi è arrivato il 5 novembre, il giorno del giudizio elettorale. E nonostante tutte queste promesse di soldi a votare si è recato poco più del 46% degli elettori aventi diritto.

Da qui la domanda: senza le nomine, che alla fine sono soldi che entrano nelle tasche dei nominati; senza le promesse degli adeguamenti contrattuali per i dipendenti pubblici, che alla fine, quando arriveranno, saranno soldi in più; senza i ‘famigerati’ 80 euro in busta paga, ormai una costante del centrosinistra al governo, che alla fine sono soldi in più; senza le assunzioni nella sanità che, se nuove, sono soldi in più; senza tutto ciò quanti siciliani sarebbero andati alle urne? Il 20%? Forse il 25% degli elettori aventi diritto?

La politica, oggi, che società siciliana ‘legge’? E la società siciliana come ‘legge’ oggi la politica?

Dopo di ciò cominciano a venire fuori qua e là, punte di iceberg vaganti, notizie – ancora da verificare, per carità – di acquisti di voti di qua e acquisti di voti di là.

Ma l’eventuale compravendita dei voti, questo va detto per onestà intellettuale, non è un incidente di percorso, ma il corollario di campagne elettorali nelle quali la gestione della cosa pubblica è diventata merce di scambio.

Se passa – ed è passato – il principio che, in campagna elettorale, tutto è consentito a chi governa, il risultato non può che essere il libero mercato del voto.

Questo modo di fare politica allontana i cittadini dalla politica. E infatti a votare vanno sempre meno elettori.

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