Elezioni/ “Solo gli autonomisti hanno un programma serio per la Sicilia”

22 settembre 2017

Una analisi del costituzionalista siciliano, Andrea Piraino, sull’attuale situazione siciliana che condividiamo in gran parte: l’assenza di programmi delle forze politiche tradizionali, il dramma di una Sicilia che su 12 miliardi di spesa alimentare a fronte di di acquisto di prodotti locali sotto i 3. Le cause del declino dell’economia regionale, le soluzioni. Sulla conclusione però…

Riprendiamo una analisi sull’attuale situazione politica siciliana di Andrea Piraino, docente di diritto costituzionale all’università di Palermo e pubblicata sul sito ildomaniditalia.eu. Delle parole del professore non condividiamo solo l’auspicio finale: riconosce, infatti, che solo le forze autonomiste hanno un programma serio per la Sicilia- tra questi il movimento ‘Noi Siciliani con Busalacchi, Sicilia Libera e Sovrana’ verso il quale il docente ha espresso stima- ma si augura che anche altre forze politiche battano un colpo. Ebbene, non c’è nessuna speranza che le altre formazioni possano dare un segnale che vada nell’interesse della Sicilia, perché non è questo il loro obiettivo: checché ne pensi il professore Piraino queste altre formazioni politiche rimangono legate a logiche ed interessi nazionali- quando non si tratta di logiche clientelari e di poltrona-  che cozzano con il futuro della Sicilia

L’incredibile leggerezza dell’essere politico in Sicilia

di Andrea Piraino

Quel che sta accadendo in Sicilia, in vista delle prossime elezioni regionali del 5 novembre, ha dell’incredibile. Almeno per due motivi. Primo, perché tutti vogliono cambiare la Sicilia: in particolare, coloro che sono stati al potere e si dicono convinti di avere le carte in regola per guidarne il cambiamento! Secondo, perché molti di coloro (ben 29 soltanto nella seduta conclusiva dell’Assemblea Regionale Siciliana) che hanno rivestito nell’ultima legislatura un ruolo di rappresentanza politica all’ARS, nel tentativo di garantirsi la rielezione, stanno passando da destra a sinistra e da sinistra a destra con una spregiudicatezza spaventosa che conferma non solo un desiderio di successo personale quanto una assoluta mancanza di distinzione, di diversa visione, tutti omologati, come sono, dentro paradigmi liberisti ed ascaro/rivendicazionisti.

Non capendo granchè di cosa sia successo in Sicilia e nel Mezzogiorno a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso e non avendo soprattutto alcun vero desiderio di operare un cambiamento strutturale, blaterano tutti intorno a tre quistioni (crescita dell’occupazione, risanamento del debito pubblico e moralizzazione) indubbiamente da affrontare ma non con l’approccio demagogico-opportunista di chi, in realtà, non sa andare al di là dello status quo ante.

Nel tentativo di fornire qualche utile stimolo ad una riflessione in grado di supportare un’analisi innovativa, invece, la domanda che bisogna farsi è quale sia l’origine della crisi che ha investito la Regione siciliana ed in che cosa essa consiste.

In poche battute. La Sicilia subisce gli effetti, con la fine della cd. Prima Repubblica, del venir meno del Patto di unità nazionale tra Nord e Sud e, con l’avvento della Seconda, dell’affermarsi di una nuova fase del capitalismo oligopolistico/finanziario di natura neomercantilistica.

Per effetto di queste dinamiche, la Sicilia dalla fine degli anni ottanta ha perso progressivamente capacità produttiva mentre esplodevano stili di vita consumistici. Il risultato è stato la caduta della propensione al risparmio, la crescita dell’indebitamento privato e pubblico regionale, l’esplosione del deficit della bilancia commerciale regionale con sistematico trasferimento di base monetaria fuori dalla Regione.

Da qui il crollo del PIL e dell’occupazione, ma soprattutto l’inizio di una nuova spaventosa emigrazione di massa. Infatti quando le bilance commerciali diventano strutturalmente negative e non sono compensate da movimenti di capitali (trasferimenti o investimenti) il riequilibrio avviene dalla parte dell’economia reale con la perdita di reddito e della demografia con la perdita di risorse umane (minori nascite, più emigrazione).

Parlare, allora, ossessivamente del debito pubblico regionale senza contestualizzarlo significa non avere assolutamente idea di come si possa uscire dalla crisi, se non peggio: essere funzionali a interessi capitalistico/clientelari protesi ad acquisire beni o aziende pubbliche a prezzi da smobilizzo in nome del risanamento (si pensi alla privatizzazione dell’acqua o alla vendita dei beni immobili regionali con il contestuale affitto a prezzi scandalosi).

Se così è manca in questo momento nel panorama politico regionale una offerta politica che parta dall’idea di mettere al centro degli obbiettivi politici la riduzione sistematica del deficit della bilancia commerciale della Sicilia, senza chiusure aprioristiche ma a partire da una rivoluzione dei consumi ed un allargamento radicale della base produttiva nei quattro/cinque settori (agroalimentare, turismo, energia, sanità, ricerca ed innovazione) che possono proiettare l’Isola nel mercato globale bloccando la perdita di risorse umane. Ciò in un contesto di difesa e rilancio di quel poco che resta del sistema bancario regionale depredato e distrutto da logiche di dominio e conquista che gridano vendetta.

Alcuni richiami possono aiutare a cogliere la radicale diversità di questa impostazione.

La Sicilia ha una spesa alimentare allargata di circa 12 miliardi a fronte di acquisto di prodotti locali sotto i 3. Basterebbe spostare 3 miliardi di domanda per una crescita del PIl di almeno il doppio (6 miliardi) a voler essere pessimisti. Come? Introducendo dazi? Assolutamente no. Semplicemente con una grande campagna di sensibilizzazione in nome della salute e della verità sull’origine dei prodotti.

Non volendo parlare di turismo dove le presenze sono relativamente ridicole rispetto alle Regioni similari, un altro settore su cui bisogna assolutamente concentrarsi è quello dell’energia che può fare la differenza innovando radicalmente rispetto ad un passato tutto funzionale ai grandi interessi capitalistici delle mega-imprese. In altri termini bisogna puntare all’eolico diffuso legato alle aziende agricole e al fotovoltaico pubblico legato alla valorizzazione di tutti gli edifici pubblici (si pensi alle scuole). Una manovra che vale in prospettiva almeno 5 miliardi di PIl.

Ancora. Occorre cambiare prospettiva con riferimento alla sanità che da un lato ha un costo enorme e , dall’altro, è un canale di uscita di base monetaria connesso ai viaggi della speranza. Bisogna, infatti, puntare con determinazione ad invertire il flusso dei pazienti avviando la creazione di “aree sanitarie” di eccellenza mondiale con le risorse risparmiate nei viaggi della speranza. All’uopo basti pensare che con 300 milioni (tanto versiamo alla sanità nazionale) per vent’anni si potrebbero attivare investimenti nel settore per 5 miliardi.

Così come nella ricerca e nella formazione universitaria. Dove i recenti dati “sull’emigrazione universitaria” di 50.000 ragazzi hanno dimenticato di dare conto del danno in termini di distruzione di base monetaria (almeno 600 milioni annui) con una riduzione del PIL di almeno 4 miliardi annui! (Un motivo in più per valutare severamente qualche prestigiosa candidatura in campo!)

Conclusivamente senza un cambio di visione la Sicilia, che ha tutto per essere una terra ricca, continuerà a registrare un declino economico, demografico e ambientale senza precedenti.

L’auspicio è che qualcuna delle aggregazioni politiche formatesi in proiezione elettorale, oltre gli ‘autonomisti’, batta un colpo.

tratto da www.ildomaniditalia.eu

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