Dieci regioni in campo contro l’accordo con il Canada: manca la Sicilia, terra di ascari…

4 settembre 2017

Dopo il Veneto, che ha fatto da apripista, altre nove Regioni si sono schierate contro il CETA per salvare il sistema agroalimentare italiano. Il Senato tornerà ad occuparsene il 12 Settembre. Ovviamente, manca la Sicilia…

Dopo il Veneto, che ha fatto da apripista, altre nove Regioni, si sono schierate contro il CETA, chiedendo che il Parlamento italiano fermi il percorso di ratifica dell’accordo. Parliamo, come ormai noto, del famigerato accordo di libero scambio tra l’Unione Europea con il Canada che rischia di distruggere il sistema agroalimentare italiano e tutte le norme che garantiscono la sicurezza alimentare dei nostri prodotti. Non solo. Come vi abbiamo detto qui, l’accordo rischia di avere un impatto devastante anche sull’occupazione.

Le regioni che si sono ufficialmente schierate contro questo trattato, oltre al già citato Veneto, sono: Lombardia, Marche, Lazio, Valle D’Aosta, Calabria, Puglia, Umbria, Molise e Toscana.

Sappiamo che il Senato aveva provato ad accelerare l’iter che dovrebbe portare alla sua ratifica e che, forse a causa delle proteste (in piazza Montecitorio hanno protestato esponenti di tante regioni insieme con Cgil, Legambiente, Adusbef, Federconsumatori, Movimento Consumatori, Greenpeace ed altre organizzazioni) ha rimandato tutto a dopo la pausa estiva. Ed, infatti, nel calendario dei lavori di Palazzo Madama troviamo la data del 12 Settembre, giorno in cui la Commissione Affari Esteri e la Commissione per le Politiche dell’Ue discuteranno della mozione arrivata da Campobasso.

“Questa sembra la storia della banda Bassotti, tornano sempre loro- ha detto il Presidente del Veneto, Luca Zaia- . I fautori dell’accordo Ue-Canada sono quelli che in Europa hanno fatto le battaglie per far sì i fondi comunitari non vengano dati agli agricoltori veri, ma a coloro che non vivono di agricoltura. Sono gli stessi che al tavolo delle trattative sostenevano che gli Ogm sarebbero stati la salvezza dell’agricoltura. Noi invece, insieme ai nostri produttori, diciamo no agli Ogm, così come diciamo no all’accordo Ceta, che nega l’identità produttiva delle nostre regioni”.

Per la Val d’Aosta ha parlato l’assessore regionale all’Agricoltura, Laurent Viérin: “Non siamo contro il libero scambio, ma abbiamo già difficoltà a difendere i nostri prodotti oltre i confini europei e con questo trattato apriremo le porte a prodotti contraffatti che faranno concorrenza a quelli nostrani. Il quale ha ricordato che l’accordo implica “una graduale eliminazione delle regole nei settori della sanità pubblica, della sicurezza degli alimenti, della protezione dei consumatori e dell’ambiente”.

La Regione Puglia non ha avuto dubbi: “Il comparto agroalimentare made in Italy – universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva che contribuisce alla coesione sociale, attraverso lo sviluppo di impresa ed il miglioramento delle condizioni di lavoro – ne subirebbe un rilevante danno. La Regione Puglia, seguendo quanto proposto anche dalla Coldiretti, è impegnata, con una coalizione di altri portatori di interesse, in un’azione tesa ad informare e sensibilizzare il Governo ed i Parlamentari italiani chiedendo loro di non votare a favore della ratifica dell’Accordo e di impedirne l’entrata in vigore in via provvisoria, nella direzione di ragioni di scambio improntate alla democrazia economica e alla salvaguardia dei diritti dei consumatori e delle imprese”.

C’è anche la Toscana che nella prima seduta post-vacanze dal Consiglio Regionale, e dopo che 120 Comuni si erano già espressi, ha approvato una mozione che impegna la Giunta regionale a chiedere a Governo e Parlamento di fermare la ratifica: “Questo accordo è un regalo alle grandi lobby industriali dell’alimentare che colpisce il vero Made in Italy e favorisce la delocalizzazione, con riflessi pesantissimi sul tema della trasparenza, delle ricadute sanitarie e ambientali, oltre che occupazionali” ha detto Tulio Marcelli, predidente di Coldiretti Toscana.

“Sebbene l’accordo autorizzi l’accesso al mercato canadese di 171 prodotti ad indicazione geografica dell’UE tra cui figurano 41 nomi italiani (rispetto alle 289 denominazioni Made in Italy registrate), queste dovranno coesistere con i marchi canadesi registrati. Ad esempio, il nostro Prosciutto Toscano – sottolinea Antonio De Concilio, direttore di Coldiretti Toscana- potrà entrare nel mercato canadese con il suo nome ma sarà venduto assieme ai prodotti d’imitazione canadese. Come del resto il vino Chianti made in Italy che dovrà stare fianco a fianco al Chianti Made in Canada”.

“Poi- ha aggiunto De Concilio- ci preoccupa in modo particolare la situazione del grano duro italiano, che rischia ulteriori penalizzazioni perché con il Ceta si favorisce l’azzeramento strutturale dei dazi e si aumenta il contingente importato in Italia dal Canada, dove peraltro viene fatto un uso intensivo di glifosate nella fase di pre-raccolta, vietato in Italia perché accusato di essere cancerogeno”. 

Quest’ultimo riferimento ci riporta dritto in Sicilia e ad un argomento che ormai i nostri lettori conoscono benissimo: il grano canadese e il suo impiego da parte delle multinazionali della pasta. Ricordiamo che questo blog, insieme con il comitato GranoSalus, sono stati oggetto di querela da parte delle più famose industrie della pasta per avere dato notizia delle sostanze contaminanti presenti nel grano canadese che l’Italia già importa in enormi quantità. Il Tribunale di Roma ha dato loro torto e sono tornate all’attacco. 

C’è poi l’aspetto politico dell’intera questione: come avrete certamente notato, dalla lista delle regioni che si stanno battendo per proteggere le loro produzioni agroalimentari, manca la Sicilia, la patria del grano, la regione che più di altre avrebbe interesse ad impedire l’ulteriore via libera al grano canadese. La solita Sicilia. E non è nemmeno un fatto di partiti perché le mozioni approvate dalle altre regioni comprendono firme di ogni colore. 

Questa considerazione non può che portarci ad una amara, anche se già nota, conclusione: la Sicilia resta il regno degli ascari, di una classe politica di mercenari pronti a tutto pur di non contraddire le segreterie romane.

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