14 agosto 1861: strage di Pontelandolfo e Casalduni, mille e più meridionali scannati dai Savoia

14 agosto 2017

Il protagonista di questo eccidio fu il generale Enrico Cialdini, un assassino al quale, ancora oggi, sono dedicate vie e statue. Una strage che gli storici – o, se si preferisce, gli “scrittori salariati”, come li definiva Antonio Gramsci – continuano ad ignorare. Eppure è ormai provato che, nel Sud, i generali di casa Savoia si comportarono peggio dei nazisti a Marzabotto. Perché i quotidiani ‘Libero’ e Il ‘Giornale’ non vogliono parlare di questi fatti?  

Il 14 agosto del 1861, esattamente 156 anni fa, all’alba dell’Unità d’Italia viene perpetrato a danno degli abitanti di due paesi in provincia di Benevento, Pontelandolfo e Casalduni, una strage che mai mente criminale avrebbe potuto concepire. I protagonisti di questa strage sono i “liberatori” italo-piemontesi, con in testa il generale Enrico Cialdini.

Alle prime ore del giorno di quel 14 agosto viene, infatti, scritta una delle pagine più nere del risorgimento, puntualmente ignorata dalla storiografia ufficiale e dai testi scolastici, quando su ordine del generale Enrico Cialdini viene inviata, per una operazione di rappresaglia (poiché erano stati uccisi dai briganti alcuni soldati del regio esercito), al comando del colonnello Pier Eleonoro Negri, una colonna di 500 bersaglieri con la disposizione di massacrare tutti gli abitanti, ritenuti complici dei briganti, e per vendetta radere al suolo i due paesi.

Enrico Cialdini è il mandante del massacro di Pontelandolfo e Casalduni. In virtù dei più ampi e criminali poteri che arbitrariamente si attribuiva, in dispregio delle leggi e delle più elementari norme umanitarie, fa fucilare sul posto, senza processo, intere famiglie, mette a ferro e fuoco interi paesi e villaggi del Meridione e fa arrestare e deportare tutti coloro che danno solidarietà e un minimo di sussistenza ai cosiddetti briganti.

Negli ordini scritti ai suoi sottoposti, Cialdini solito raccomandare di “non usare misericordia ad alcuno, uccidere senza fare prigionieri, tutti quanti se ne avessero tra le mani”. Ed è esattamente quello che avviene ad opera di questo criminale a Pontelandolfo e Casalduni. E dire che a questo esecrabile personaggio nel nostro Paese sono dedicate numerose vie e piazze che sarebbe ora di cancellare.

Nel 1920 Antonio Gramsci, su ‘Ordine Nuovo’, a proposito di questi genocidi e di queste vere e proprie pulizie etniche perpetrate dei “civilizzatori e liberatori” italo-piemontesi a danno delle popolazioni meridionali così scrive:

“Lo Stato italiano si è caratterizzato come una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti”.

Ma per restare nello specifico degli eccidi di Pontelandolfo e Casalduni, ecco quanto riporta dettagliatamente e testualmente nel suo diario Carlo Margolfo, uno dei 500 Bersaglieri entrati, all’alba di quel maledetto 14 agosto in paese a compiere la strage:

“Al mattino del mercoledì, giorno 14, riceviamo l’ordine superiore di entrare nel Comune di Pontelandolfo, fucilare gli abitanti ed incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava ed infine abbiamo dato l’incendio al paese, di circa 4500 abitanti. Quale desolazione non si poteva stare d’intorno per il gran calore e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti e chi sotto le rovine delle case”.

Questa la raccapricciante testimonianza del bersagliere Margolfo che è attivo protagonista di tale eccidio. L’ordine è perentorio: radere al suolo i due paesi, non farne rimanere in piedi una sola pietra.

Vengo prese d’assalto le chiese, le case, al grido di “piastra- piastra”, saccheggiate prima di appiccarvi il fuoco. Il “diritto di rappresaglia” consente a queste belve di uccidere, in un orgia di sangue, anche vecchi e bambini e stuprare le donne senza prima avere loro strappato gli orecchini. Concettina Biondi, una ragazzina appena sedicenne, viene violentata malgrado l’ordine fosse quello di risparmiare almeno i bambini.

Ecco i genocidi e le pulizie etniche che venivano perpetrate agli albori dell’Unità d’Italia dai liberatori piemontesi nei confronti delle popolazioni meridionali. Si può senz’altro dire che la ferocia, per “diritto di rappresaglia” dimostrata in quel maledetto 14 agosto del 1861 dagli italo piemontesi nei confronti degli abitanti di Pontelandolfo e Casalduni fu senza dubbio superiore a quella dimostrata, sempre per “diritto di rappresaglia”, dai nazisti esattamente 83 anni dopo nell’agosto del 1944 a Marzabotto e a Sant’Anna di Stazzema, dove gli abitanti furono anch’essi fucilati senza saccheggi e stupri e le case dei due paesi non furono bruciate, al contrario di quelle di Pontelandolfo e Caslduni di cui i piemontesi ne lasciarono intatte solamente tre.

Eppure i nostri libri di storia e le enciclopedie non fanno altro che ricordare opportunamente perché non se ne perda la memoria le vittime dei nazisti dell’agosto del 1944. Ma è anche giusto ritrovare la memoria di quegli eccidi e di quelle pulizie etniche di cui furono vittime le popolazioni meridionali ad opera di altri italiani che si spacciarono per “liberatori e civilizzatori”. Assassini le cui gesta criminali vengono ancora oggi puntualmente ignorate dalla storiografia ufficiale e scolastica.

Le passate celebrazioni del 150 anniversario dell’Unità d’Italia sarebbero state una buona occasione per ricordare e ritrovare una memoria condivisa. E lo sono state in parte quando, nell’ambito delle manifestazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, Giuliano Amato, presidente del comitato dei garanti delle celebrazioni, ha dichiarato agli abitanti di Pontelandolfo:

“A nome del presidente della Repubblica Italiana vi chiedo scusa per quanto qui è successo e che è stato relegato ai margini dei libri di scuola”. Scuse tardive, ma che confermano che questi fatti non sono mai stati riportati nei libri di storia.

E’ di questi giorni la polemica scaturita da una iniziativa del Movimento 5 Stelle con una serie di mozioni presentate ai Consigli regionali di Campania, Puglia, Molise, Basilicata ed Abruzzo nella quali si richiede la istituzione di un giorno della memoria per le vittime del risorgimento datato 13 febbraio (ricorrenza della caduta di Gaeta) e nelle quali si ribadisce che “Il tempo è maturo per fare una riflessione ed analizzare cosa accadde alle popolazioni civili meridionali e quanto ancora ci costa nel presente. Nei testi scolastici si fa appena un accenno. Chiediamo solo la verità”.

Iniziativa che ha suscitato la dura reazione dei quotidiani Libero e Il Giornale e dei risorgimentalisti di mestiere e di regime che non vogliono accettare l’idea che si faccia finalmente luce su fatti ed avvenimenti della nostra storia per troppo tempo nascosti e dimenticati.

Diceva Leonardo Sciascia:

“Questo è un paese senza memoria e io non voglio dimenticare”.

E per non dimenticare crediamo sia giusto e doveroso ricordare e celebrare oggi, a distanza di 156 anni, quelle vittime innocenti dell’eccidio di quel lontano 14 agosto del 1861 a Pontelandolfo e Casalduni in cui più di mille italiani furono massacrati da altri italiani e che la coscienza sporca di altri italiani ha cercato, per tutto questo tempo, di passare sotto silenzio.

foto tratta da briganti.info

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