Sicilia sempre più indigesta per Berlusconi e Renzi

2 agosto 2017

L’ex Cavaliere sa che vincere le elezioni in Sicilia significa vincere le elezioni politiche in Italia. Ma, nonostante gli sforzi, lui e il suo fido Gianfranco Miccichè non riescono a trovare la ‘quadra’ nell’Isola. Dovrebbero convincere Nello Musumeci a ritirarsi (in campagna, tra arance e pomodori?). E, adesso, c’è anche Salvini che non vuole Alfano e Cuffaro. Non va meglio a Renzi, che con Baccei ha ‘incaprettato’ cinque milioni di Siciliani dai quali, adesso, vorrebbe i voti…

La meta sembra a portata di mano. Ma è solo una sensazione, perché ogni volta che prova a trovare la soluzione giusta… zact!, scatta il nulla di fatto. La soluzione giusta, per la Sicilia anni ’90 sognata da Silvio Berlusconi, è il ritiro di Nello Musumeci per posizionare un candidato azzurro nella corsa alla presidenza della Regione siciliana. Ma Musumeci, di ritirarsi, non ne vuole proprio sapere. E così ogni volta, da nove mesi a questa parte, si torna al punto di partenza. E Renzi, invece? Arriva oggi in Sicilia. A Palermo. Sarà di certo circondato dai celerini, perché i Siciliani il leader del PD, non lo sopportano proprio.

Berlusconi e Renzi. Un po’ alleati, un po’ nemici. Sembravano destinati a governare insieme. Sospinti dai poteri forti che dettano legge nell’Unione Europea dell’Euro. Insieme, del resto, Forza Italia e PD, da Strasburgo a Bruxelles, fino a Roma, sostengono il CETA, l’accordo commerciale internazionale tra UE e Canada che finirà di ‘incaprettare’ l’agricoltura italiana (e, soprattutto, il grano duro del Sud Italia).

Ma oggi, per governare la Sicilia – insieme o divisi – essere ‘camerieri’ dell’Europa dell’euro non basta più.

Berlusconi sa che vincere le elezioni in Sicilia significa vincere poi in Italia. Le sta provando tutte per proporre all’Isola lo spirito del 1994. Ha rimesso Gianfranco Miccichè al vertice di Forza Italia dell’Isola. Promette di qua e si impegna di là. Dicono che potrebbe sfoderare almeno due candidati-giuristi di grido. Uno potrebbe essere Giovanni Pitruzzella (ne abbiamo già parlato). L’altro potrebbe essere Gaetano Armao. Ma…

Ma il passato, almeno fino ad oggi, stenta a tornare. Semmai ci sono le ombre del passato, tra stallieri e amici siciliani oggi assenti perché condannati da pesanti sentenze passate in giudicato.

A complicare tutto – oltre al ‘cuneo’ di Musumeci – ci si mette pure Salvini. Dice il leader della Lega che, piaccia o no, sta mettendo radici anche in Sicilia, radici ancora fragili, ma pur sempre radici:

“Dove ci sono Angelino Alfano e Totò Cuffaro non ci siamo noi”.

Salvini è alleato di Musumeci in Sicilia e indispensabile, a Roma, per far vincere le elezioni nazionali al centrodestra.

Così l’ex Cavaliere non deve solo convincere Musumeci a ritirarsi: deve anche far ‘digerire’ a Salvini il sempre presente Cuffaro e, soprattutto, Alfano.

E Renzi? In Sicilia procede di disastro in disastro. La Procura generale della Corte dei Conti non ne vuole sapere di far passare il Bilancio della Regione. Direte: che c’entra Renzi?

C’entra, c’entra: il ‘siluro’ la magistratura contabile non l’ha lanciato a Rosario Crocetta, presidente della Regione di facciata (una facciata peraltro mal riuscita), ma ad Alessandro Baccei, commissario della Regione siciliana per conto di Renzi.

Se oggi il Bilancio della Regione siciliana targato Baccei somiglia ai sommergibili che Mussolini mostrava a Hitler (sempre gli stessi sommergibili che venivano riverniciati e ripresentati in luoghi diversi, così come i fondi per coprire otto o dieci poste del Bilancio regionale sono sempre le stesse somme che Baccei, come un consumato prestigiatore, fa comparire di qua e di là), ebbene, il ‘merito’ è dello stesso Baccei, che ha svuotato le ‘casse’ regionali per foraggiare le clientele romane di Renzi.

Se la cosa va bene agli ascari del PD siciliano e, in generale, del centrosinistra che è maggioranza all’Assemblea regionale siciliana, non va bene, invece, ai giudici della Corte dei Conti, che alla fine – sembra incredibile! – si sono sostituiti agli ascari per difendere la Sicilia.

Così oggi Renzi torna in Sicilia. A Catania le arancine si chiamano arancini. E a Palermo i lupini si chiamano ‘luppini’ (con due p). A Catania i lupini possono essere legumi o piccoli frutti di mare. A Palermo “iri a chogghiri ‘i luppini” significa soffiare nel vento (volendo è una variante di una celebre canzone di Bob Dylan…).

Renzi arriva a Palermo per fare che? Inseguire i luppini (con due p)?

Dicono che anche lui deve trovare il candidato. Con Leoluca Orlando, con i bersaniani di Articolo 1 e con Sinistra Italiana.

Ma anche qui le cose si complicano. Renzi, dopo il flop delle riforme costituzionali (in Sicilia tre siciliani su dieci hanno votato contro le riforme costituzionali renziane e, soprattutto, contro di lui), e dopo aver massacrato la Regione con Baccei, vorrebbe sapere su quanti voti può ancora contare nell’Isola.

Ma per contare i propri voti, il PD siciliano deve presentare un proprio candidato e, soprattutto, le proprie liste. E come la metterà con il sindaco di Palermo, Orlando, che gli propone di nascondere il simbolo del Partito Democratico?

Non solo. Renzi sa che i bersaniani saranno con lui. Ma le voci parlano dei bersaniani siciliani divisi tra chi vuole andare con il PD e chi con il PD non vuole avere a che fare.

Lo stesso discorso vale per Sinistra Italiana.

Vai a mettere d’accordo tutti questi.

 

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