Devastante per l’Italia cedere sovranità all’Ue. Parola del Financial Times

12 luglio 2017

Ci viene spesso detto che nel “mondo globalizzato di oggi” la sovranità nazionale è priva di significato. E’ vero il contrario. Solo ridando poteri agli Stati si potrà porre rimedio ai danni del capitalismo finanziario che impone austerity e povertà . Se lo dice il Financial Times …

Ormai non è più un tabù. Prova ne è che ne parla anche il Financial Times, giornale solitamente più attento agli argomenti della finanza che della democrazia. Parliamo della necessità, ormai improcrastinabile, di un ritorno alla sovranità nazionale degli Stati, unica via per arginare il potere delle lobby economiche che stanno affamando i popoli imponendo regole che mal si conciliano con il benessere comune.

Anche in Italia ci sono i ‘sovranisti’ e sono coloro i quali anche si battono per ridare potere democratico al nostro Paese e liberarlo dalla morsa del capitalismo finanziario- difeso dai partiti tradizionali- padre dell’austerity e della povertà. Qui potete leggere un articolo su una confederazione  il cui obiettivo è liberare l’Italia dalla dittatura della finanza globale. Vi abbiamo fatto conoscere più da vicino due esponenti del movimento sovranista italiano: qui Nino Galloni e qui Ernesto Screpanti. Entrambi keynesiani, entrambi molto critici con l’Ue quale istituzione che più di ogni altra ha ceduto democrazia alla finanza sovrapponendo gli interessi di pochi a quelli dei popoli che avrebbe dovuto rappresentare.

In questo contesto, va da sé che nessuna regione ha speranze di risollevarsi all’interno di uno Stato che risponde alle lobby finanziarie: hanno devastato la sovranità nazionale, e con essa, quella delle regioni. Che, infatti, non contano più nulla e possono solo subire i diktat dei poteri economici che pensano solo al loro profitto.

Intanto, leggiamo questo articolo pubblicato sul giornale finanziario britannico a firma di Robert Tombs:

“Molto tempo fa la sovranità nazionale è stata consegnata alla pattumiera della storia. “È tempo di grandi imperi, e non di piccoli Stati”, proclamò nel 1902 Joseph Chamberlain, ministro per le colonie del Regno Unito. Oggi ciascuno di quei grandi imperi è crollato, mentre i piccoli Stati rimangono. Tuttavia la convinzione di Chamberlain si è rivelata tenace. Alcuni dei giovani accoliti imperialisti di Chamberlain hanno continuato a predicare il messaggio, usato per sostenere il federalismo europeo.

I piccoli Stati davano fastidio a tutti quelli che ragionavano in termini di razionalità, ordine e potere, piuttosto che di una democrazia turbolenta e disordinata: tra questi vi erano diplomatici, amministratori, economisti e accademici di destra e di sinistra. Alla sovranità nazionale venne attribuita la responsabilità della guerra mondiale. I sistemi sovranazionali, invece, avrebbero mantenuto la pace. La realtà era diversa. Entrambe le guerre mondiali sono state causate dalle dinamiche interne degli imperi autoritari, non dal nazionalismo popolare: la guerra era profondamente impopolare, anche nel Reich di Hitler.

I tentativi utopici di creare un ordine mondiale sovranazionale non hanno dato frutti. Nonostante questo, la visione si è mantenuta nel tempo. I difensori dell’UE insistono nell’affermare che l’UE ha custodito la pace e che la sua rottura riporterebbe il nostro continente alle turbolenze nazionaliste degli anni Trenta. In realtà l’UE è il risultato, non la causa, di una pace creata dagli Stati-nazione democratici che hanno sconfitto la Germania nazista e fondato la NATO.

I progetti imperialisti e federalisti si sono scontrati con la sovranità nazionale e con la democrazia, le due facce della stessa medaglia politica. Chamberlain senza dubbio credeva che il popolo sarebbe stato meglio in un sistema sovranazionale diretto da una élite di menti superiori. Ma anche se avesse avuto ragione, nella maggior parte del mondo questo argomento è da tempo andato perduto.

L’impero britannico può anche essere stato il creatore del “mondo moderno”, ma le popolazioni che ne facevano parte l’hanno abbandonato non appena ne hanno avuto la possibilità. Il più notevole risultato politico dell’Unione europea è stato di convincere la maggior parte degli europei – che in alcuni casi avevano combattuto per la loro sovranità nazionale – che questa sovranità non importava più, che era un’illusione, che potesse essere “riunita” all’interno dell’Unione europea e che comunque continuare ad esercitarla potesse portare al disastro. L’anno scorso, il popolo della Gran Bretagna ha deciso, con un piccolo margine di maggioranza, di correre il rischio.

Sono state poste diverse domande riguardo alla loro riaffermazione della sovranità. Come viene esercitata, e da chi? I nazionalisti scozzesi sostengono il loro diritto alla sovranità. Gli oppositori della Brexit sposano una versione estremista della sovranità del parlamento. I suoi sostenitori considerano il voto popolare diretto la massima espressione della sovranità. Le origini lontane della sovranità nazionale sono vaghe e indefinibili; ma la maggior parte di noi probabilmente condivide l’idea che il suo nucleo sta nel consenso popolare.

Ma questa sovranità nebulosa è semplicemente un mito politico obsoleto? Ci viene spesso detto che nel “mondo globalizzato di oggi” la sovranità nazionale è priva di significato, perché i confini diventano irrilevanti e i poteri si spostano verso entità internazionali e non statali. Questo è sicuramente un dogma ideologico, più che un’osservazione spassionata. Il potere che gli Stati possono esercitare anche nei confronti di forze economiche importanti è considerevole, e certamente molto più grande che in passato.

Nella maggior parte dei paesi lo Stato rappresenta quasi la metà del prodotto interno lordo e il quantitative easing ha dimostrato l’importanza della sovranità monetaria. I piccoli Stati stanno fiorendo: sono i grandi attori che affrontano problemi fondamentali. Anche facendo una stima minima, i poteri residui degli Stati sovrani sono di enorme importanza.

Si afferma che l’UE ha risolto i problemi della sovranità e del potere nazionali mettendo insieme le sovranità per aumentare il potere. Ma la soluzione evidentemente non funziona. Per molti paesi membri, e ovviamente per la Grecia, la Spagna e l’Italia, la condivisione della sovranità nazionale ha comportato conseguenze sociali, economiche e politiche devastanti. Come un buco nero politico, l’Unione europea risucchia la sovranità dai suoi Stati membri, ma la sovranità messa in comune si esaurisce. Se la sovranità conferisce il diritto riconosciuto di prendere una decisione definitiva, chi è che ha questo diritto nella UE?

Come ha osservato Thomas Hobbes, “l’autorità sovrana non è tanto dannosa quanto la sua mancanza”; e niente di ciò che l’UE fa è dannoso come le cose che non riesce a fare. Non può risolvere i problemi creati dall’euro. Non può controllare i movimenti o indirizzare un’equa distribuzione della popolazione né dall’esterno né dall’interno.

L’impero britannico è noto per essere stato definito “un brontosauro con arti enormi e vulnerabili che il sistema nervoso centrale aveva scarsa capacità di proteggere, dirigere o controllare“. Lo stesso vale per l’UE, che può essere distrutta dalle sue debolezze.

L’antico impero austro-ungarico poteva soltanto sperare di mantenere i suoi popoli in uno Stato gestibile di insoddisfazione. L’UE oggi si trova di fronte a una prospettiva simile. Dobbiamo sperare che il parallelo si fermi lì. Forse tra pochi anni le élite europee riconosceranno che il federalismo si è rivelato un vicolo cieco e che la migliore speranza per l’Europa è un’associazione di Stati nazionali democratici tenuti insieme non dalle “direttive”, ma dalla solidarietà tra vicini. Ma non speriamoci troppo”.

* Pubblicato sul Financial Times il 4 Luglio 2017
tradotto da sollevazione.blogspot.it

foto tratta da mamurio.it

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