Com’era prevedibile, il Nord Italia vuole rubare i grani antichi alla Sicilia! Si comincia con la Tumminìa…

7 luglio 2017

I Nuovi Vespri hanno lanciato l’allarme nel luglio dello scorso anno. E la stessa cosa hanno fatto i protagonisti di ‘Simenza’. I grani antichi siciliani fanno troppa gola al Nord Italia e alle multinazionali. E’ per questo che stanno in tutti i modi provando a fare fallire i produttori di grano della nostra Isola per scippargli i terreni: perché questi grani antichi si possono coltivare solo nel Sud e, in particolare, in Sicilia! 

Il Nord Italia sta rubando alla Sicilia i grani antichi? Sembra proprio di sì. Su facebook Salvo Scuderi, Paolo Guarnaccia e altre quaranta persone scrivono:

“Ci hanno rubato i grani antichi: fermiamoli. Un’azienda del Nord con origini siciliane ha depositato i nomi dei grani antichi e diffida le piccole aziende siciliane a non usare più la parola Timilia. Siciliani: uniamoci contro le logiche dei brevetti del cibo. Siamo custodi da millenni di questo patrimonio di tutti”.

Possibile che qualcuno, nel Nord Italia, abbia brevettato il nome di uno dei più famosi grani antichi della Sicilia – la Timilia o Tumminìa – e adesso impedisca ai Siciliani di utilizzarlo? Purtroppo è così. E noi non siamo stupiti. Per noi non è una novità. Un anno fa I Nuovi Vespri pubblicava un articolo proprio sul futuro dei grani antichi della Sicilia.

Era il 22 luglio del 2016. La speculazione internazionale, governata dal Chicago Board of Trade, punto di riferimento mondiale del commercio di prodotti agricoli, aveva fatto precipitare il prezzo del grano duro a 14-16 euro al quintale (per i produttori agricoli del Sud Italia vendere il grano duro a un prezzo inferiore a 22 euro al quintale significa andare in perdita).

A nostro modesto avviso, l’obiettivo non poteva che essere uno: affamare i produttori di grano duro del Mezzogiorno d’Italia per prendersi i terreni e impossessarsi delle varietà di grano antiche, a cominciare da quelle siciliane.

Un anno fa non avevamo dubbi sul fatto che avrebbero iniziato proprio dalla varietà Tumminìa.

Osservando quello che stava succedendo ci chiedevamo:

“Se lo scenario è questo chi avrebbe interesse ad accaparrarsi le aree cerealicole della Sicilia Risposta: forse l’interesse potrebbe risiedere nei grani antichi, che potrebbero diventare un grande affare. Potrebbero esserlo anche oggi, un affare, per i produttori siciliani. Perché, oggi, non mancano gli agricoltori – soprattutto giovani – che vorrebbero scommettere e che scommettono sui grani antichi della Sicilia. Ma ci vorrebbe la politica. Facciamo l’esempio della cultivar Tumminìa (o Timlia). Il pane di Tumminìa (chi è che non conosce il ‘Pane nero di Castelvetrano?), già oggi costa più del pane normale”.

E ancora:

“Arriveremo a dover comprare il pane fatto con il nostro grano da multinazionali che rileveranno una parte, se non tutte, le aree cerealicole della Sicilia? Magari per farcelo pagare a prezzi elevati? La cosa non ci stupirebbe. Grazie ai Governi Lombardo e Crocetta, oggi, la Nestlè ci vende la nostra acqua: parliamo dell’Acqua Vera, l’acqua dei monti Sicani finita alla multinazionale svizzera”.

E ancora (tratto sempre dal nostro articolo di un anno fa):

“Il paradosso di questa storia è che, se andiamo a verificare cosa succede nella filiera del grano, ci accorgiamo che, passando dal grano alla pasta, i prezzi aumentano del 500% circa; mentre passando dal grano al pane, i prezzi crescono, addirittura, del 1400%. I margini per restituire reddito agli agricoltori ci sono: ma su questo punto dovrebbero intervenire i governi: il governo nazionale, attraverso il Ministero delle Politiche agricole; e i governi regionali”.

(Qui potete leggere tutto l’articolo sui grani antichi siciliani che abbiamo pubblicato lo scorso anno).

Un anno fa abbiamo raccontato perché era in atto un’operazione a tenaglia per impossessarsi dei grani antichi della Sicilia. “I Siciliani hanno l’oro per le mani e non se ne rendono conto”, ci spiegava un siciliano ‘milanesizzato’. Il discorso è semplice: passando dal grano alla pasta, ragionavamo lo scorso anno, i prezzi aumentano del 500%. Questo con il grano duro siciliano tradizionale.

La pasta prodotta con i grani antichi della Sicilia costa, invece, quattro-cinque volte più della pasta industriale, come vi abbiamo raccontato nel nostro ‘Viaggio’ tra i pastifici siciliani che producono pasta con i grani antichi della nostra Isola (QUI POTETE LEGGERE LE SEI PUNTATE DEL NOSTRO ‘VIAGGIO’, OVVERO LA STORIA DI SEI PASTIFICI SICILIANI CHE PRODUCONO PASTA CON GRANI ANTICHI DELLA NOSTRA ISOLA).

Insomma: già lo scorso anno non era difficile ipotizzare quello che sarebbe potuto succedere.

L’11 aprile di quest’anno, nel centro commerciale La Conca d’oro di Palermo, abbiamo scoperto che due aziende del Nord Italia producono pasta con i grani antichi siciliani e ce la vengono a rivendere utilizzando la Grande distribuzione organizzata. Ecco un passaggio dell’articolo di tre mesi fa pubblicato da questo blog:

“La prima marca è di Milano e produce penne integrali con con la varietà Timilia, cioè la nostra Tumminìa. Ci chiediamo e chiediamo: a Milano dov’è che può essere coltivata la varietà di grano duro Tumminìa o Timilia? Non meno stupefacente la marca di Torino, che produce pasta con la varietà di grano duro Senatore Cappelli. Stessa domanda: a Torino dove si dovrebbe coltivare la varietà di grano duro Senatore Cappelli? Sulle Alpi?”.

Da qui il nostro commento:

“Con molta probabilità, le aziende del Centro Nord Italia hanno scoperto che i grani duri antichi del Sud Italia – e in particolare di Sicilia e Puglia – sono il grande affare dell’agricoltura. Gli unici a non averlo scoperto sono gli amministratori delle Regioni Puglia e Sicilia che, fino ad oggi, non hanno fatto nulla per valorizzare i grani duri antichi”.

(QUI TROVATE L’ARTICOLO PER ESTESO CHE RACCONTA DI MILANESI E TORINESI CHE PRODUCONO PASTA CON I GRANDI ANTICHI DELLA SICILIA E CE LA VENDONO!).

Siamo arrivati ai nostri giorni. Scrivono Salvo Scuderi, Paolo Guarnaccia:

“Carissimi come da copione e come da ogni previsione logica fatta in tempi non sospetti il saccheggio è in corso. Dopo tutti i dubbi su dove finisse la nostra Timilia rastrellata campo per campo adesso abbiamo la certezza che il danno è stato fatto contro tutto il popolo siciliano e all’oscuro di ciò che stava avvenendo si è fidato dell’uno o dell’altro profeta per poi ritrovarsi con i diritti innati e naturali tolti ,strappati e calpestati dalle aziende del nord. Abbiamo ricevuto una PEC da uno studio legale per intimarci la sospensione dell’uso della parola TIMILIA dai nostri prodotti.
Per un attimo si pensava fosse uno scherzo, visto che la Timilia, essendo un cereale esistente da migliaia di anni non potesse essere registrata ma, ci vengono indicati addirittura i numeri di deposito e si diffida la mia azienda a non usare più la parola Timilia intimandoci la sospensione della produzione di tutti i prodotti con la dicitura Timilia anche negli ingredienti”.

“Crediamo che vi sia stato un errore (anche di distrazione) da parte del funzionario dell’ufficio registri ad accettare tale richiesta e soprattutto credendo nella professionalità dello studio che ci ha scritto pensiamo anche gli stessi siano stati raggirati dall’azienda che ha creato e crede di creare una sorta di privatizzazione di un prodotto che da sempre è appartenuto ai Siciliani e all’umanità intera. La mia azienda produce prodotti fatti con Timilia, compro Timilia da produttori siciliani e lavoriamo in biologico ed in progetti di filiera a corto raggio perché, prima del prodotto e delle economie prettamente sterili di mercato, vengono i valori di rispetto dei produttori agricoli e dei consumatori”.

“Ci sarebbe molto da scrivere, ma pensiamo alle infinite aziende siciliane che saranno costrette a chiudere a causa delle pressioni di chi senza scrupoli prova a monopolizzare i mercati che noi abbiamo creato parlando con i consumatori uno ad uno per invogliarli a consumare prodotti siciliani, sani biologici ed etici. La mia azienda da sola, ad esempio, non avrebbe le forze per combattere una battaglia legale verso un colosso come chi ci ricatta e umilia, ma faremo di tutto assieme a tutti i Siciliani onesti per evitare che questi creino un precedente per mettere in ginocchio l’economia siciliana e tutte le aziende che hanno deciso di restare in Sicilia e far crescere le nuove generazioni in una terra sana, libera e fuori dalla logica del saccheggio e delle mafie”.

“Si richiede a tutti il parere in merito alla vicenda e se possibile anche un sostegno di tipo legale per fermare queste logiche del brevetto del cibo che ci porterebbe in un medioevo senza ritorno. Al di la degli interessi di una o altra azienda, il cibo è di tutti ,la salute è di tutti ,la Timilia e tutti i nostri grani antichi sono di tutti. Abbiamo già scritto ai consorzi di ricerca pagati con denari pubblici, alle associazioni di categoria e all’Assessorato regionale per l’Agricoltura. Adesso bisogna unirsi tutti affinché dal Ministero dell’Economia, dall’antitrast e dalla Presidenza della Repubblica venga decretato il ritiro immediato di tali brevetti e vengano puniti i malfattori”.

“In questi giorni alcuni legali che hanno preso a cuore stanno già lavorando per capire tramite pubbliche visure chi ha deciso di brevettarsi i nostri frumenti e chi, a fine anno, si spartisce gli utili aziendali di questo scippo al popolo siciliano. Tutti i cittadini e tutte le aziende che vogliono unirsi alla lotta comune sono invitati a partecipare. Presto verrà organizzata un’assise dei beni comuni per far partire l’iniziativa popolare per fermare questo scempio”.

La storia la racconta anche il quotidiano on line Cronache di gusto citando un articolo del Giornale di Sicilia:

“Nei giorni scorsi Filippo Drago, mugnaio di Castelvetrano e grande esperto di grani antichi, si è visto recapitare una lettera da uno studio legale di Merano che difende la società Terre e Tradizioni, che prima era siciliana e poi è stata acquistata da un imprenditore veronese. Nella lettera i legali diffidano Drago e colleghi ad utilizzare la parola Tumminìa o Timilia sui prodotti in vendita, sul grano sfuso e anche nei documenti di trasporto. ‘La denominazione Tumminia è un marchio registrato dalla società da noi assistita nel marzo del 2014’, scrivono gli avvocati. Ciò significa che, tutti coloro che utilizzano queste parole violano il Codice della proprietà industriale. A registrare i due nomi furono gli imprenditori Giuseppe Li Rosi e Angelo Suffia, i fondatori della Terra e tradizioni srl. Poi la società è stata venduta a una società oggi presieduta da Felice La Salvia”.

Nell’articolo di Cronache di gusto si parla anche della Commissione sulle varietà da conservazione dei grani antichi di cui il nostro blog ha scritto in questo articolo:

“L’Assessorato regionale all’Agricoltura sta facendo un lavoro encomiabile per registrare le varietà locali da conservazione in Sicilia – spiega Giuseppe Russo, dirigente del Consorzio “G.P.Ballatore” – che ci consentirà di tutelare maggiormente i nostri agricoltori. Come Commissione, presso l’Assessorato stiamo rassicurando tutti i produttori e continueremo affinché il lavoro vada avanti”. In realtà al momento c’è tanta preoccupazione fra produttori e agricoltori siciliani. Drago aggiunge: “Se oggi qualcuno che coltiva o produce grani antichi e mi chiede di poter utilizzare la parola “Tumminia” mica mi oppongo. Posso tranquillamente concedere a vita e senza nulla pretendere l’utilizzo del nome, proprio per l’obiettivo di promuovere la Sicilia e i suoi magnifici prodotti della terra. Chi agisce in altro modo dimostra di non voler davvero bene alla Sicilia e a tutti i siciliani”.

(QUI L’ARTICOLO PER ESTESO DI CRONACHE DI GUSTO)

Non era difficile capire che sarebbe finita con questo papocchio. Troppo grosso, l’affare dei grani antichi siciliani, per essere lasciato nelle mani dei Siciliani. Lo ha raccontato al nostro blog in questo articolo Giuseppe Li Rosi, spiegando che, a fronte di un prezzo pari a 18-20 euro al quintale di grano duro siciliano normale, un quintale di grano duro antico della Sicilia viene venduto a un prezzo che oscilla da 70 a 90 euro al quintale (e in alcuni casi anche a prezzi più elevati).

E’ normale che gli ‘sciacalli’ del Nord Italia, aiutati dagli ‘ascari’ della Sicilia, stiano provando a rubarci anche i grani antichi!

 

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