L’economia siciliana travolta dalla ‘Giustizia’ delle aste giudiziarie

7 giugno 2017

I Tribunali siciliani si stanno trasformando in ‘ottime’ e ‘molto convenienti’ agenzie immobiliari con un business da far tremare le vene ai polsi: un giro d’affari di diverse centinaia di milioni di euro. Solo a Ragusa e provincia sono in corso 2 mila e 400 aste giudiziarie. In tutta la Sicilia le aste giudiziarie sono decine di migliaia. Insomma: mezza Sicilia all’asta con sconti del 90%... Avevano torto i Forconi, nel 2012, a lanciare l’allarme? 

da Mariano Ferro
leader dei Forconi siciliani
riceviamo e volentieri pubblichiamo

Per fortuna in Sicilia ci si indigna ancora se una sentenza della Cassazione vuole una morte dignitosa per Totò Riina, o ci si indigna se Rosario Crocetta riesce da cinque anni a tollerare la Regione siciliana commissariata. Ci arrabbiamo quando su certi argomenti ci appioppano l’immagine dei peggiori d’Italia, ci indigniamo se qualcuno associa genericamente la Sicilia alla mafia, ma non riusciamo ad indignarci se per una legge demenziale gran parte della nostra economia va in fumo passando di mano allo sciacallaggio della speculazione.

In questo momento mezza Sicilia si vende all’asta o è in procinto di essere venduta con lo sconto del 90% nel silenzio assoluto di tanta magistratura che non si indigna minimamente quando firma quei trasferimenti facili a usurai, prestanome, nonnine multiproprietarie. Duemila e 400 aste giudiziarie sono già in corso di esecuzione solo in quel di Ragusa: quella Ragusa, isola nell’isola, che era la parte più ricca della Sicilia. In tutta la Sicilia le aste giudiziarie sono qualche decina di migliaia.

Sono numeri che oggi ne fanno una delle zone più ‘esecutate’ d’Italia grazie ad un’agricoltura dalla concorrenza sleale voluta dall’Europa e mai contrastata dalla nostra classe dirigente, grazie a una industria che non c’è più, ad un commercio che ha scelto più cinese che siciliano. Il tutto per fare dei Tribunali delle ottime e molto convenienti agenzie immobiliari con un business da far tremare le vene ai polsi, un giro d’affari di diverse centinaia di milioni di euro che, purtroppo per l’isola come anche per tutta l’Italia, grazie ad una globalizzazione priva di regole, è diffuso ovunque senza distinzione di territori.

Intanto questa è la nostra poverissima Sicilia che soffre in silenzio, vittima della speculazione, delle cricche che orbitano attorno ai palazzi di “Giustizia”, delle coop del malaffare, delle lavatrici di denaro sporco e che, come uno tsunami, dopo un’interminabile periodo di economia in declino, subisce l’onda lunga e gli effetti di un disastro ampiamente annunciato già anni fa, che nessuna forza politica presente all’Assemblea regionale siciliana ha voluto affrontare seriamente, abbandonando al loro destino migliaia di imprese, famiglie, persone, tutte travolte da quell’economia del libero mercato che ci raccontavano come la soluzioni di tutti i mali.

Cosa è stato fatto in concreto dal Legislatore per cercare di salvare questa parte di mondo produttivo dall’estinzione? Cosa ha posto in essere l’opposizione per fare pressione al governo e spingerlo a trovare una più giusta soluzione per chi ha in questi anni incontrato il tritacarne della crisi? Nulla, niente, nada, zero o quasi. Proclami, chiacchiere, buone intenzioni.

E pensare che non siamo davanti ad un argomento che dipende dall’Europa, ma anche qui – soluzione all’italiana – si è scelto di lavarsi la coscienza semplicemente votando all’unanimità un disegno di legge voto sulla prima casa per poi lasciarlo li ad invecchiare in un cassetto al Senato; poi il deserto, nessuna iniziativa.

Eppure sarebbero state poche le cose che potevano servire a far tirare un sospiro di sollievo in un contesto politico che comunque sappiamo essere corrotto:

1) una moratoria per un periodo di tempo congruo, sei mesi, un anno, o almeno il tempo di portare in aula e votare una legge più adeguata ai tempi che viviamo, più morbida, meno punitiva;

2) il rispetto di quelle norme di salvaguardia sottoscritte da tutti nei trattari di libero scambio col Magreb;

3) controlli sanitari seri sui prodotti alimentari importati di provenienza straniera;

4) un rapporto diverso, territoriale, di tutela tra il mondo produttivo del made in Italy e la Grande distribuzione organizzata (Gdo);

5) l’intervento di mediazione dello Stato per un ricomponimento bonario diluito negli anni delle controversie.

Tutte proposte scritte, fatte, rifatte, sempre condivise ma mai attuate. Misure condivise da uomini di governo e di opposizione per i quali è stato tanto facile concordare a parole quanto disattendere impegni presi e che oggi, bontà loro, pretendono ancora di essere creduti e possibilmente rieletti.

Ed è così che una gran parte del mondo produttivo siciliano senza distinzione di settori continua a sopravvivere o a non vivere più. Da una parte una massa enorme di persone, di imprese, di famiglie in gravissime difficoltà, depresse, umiliate; dall’altra parte un’Assemblea regionale siciliana che sa, conosce benissimo il dramma e che non si è sforzata più di tanto per fare pressione al governo nazionale, l’unico competente in materia.

Forse oggi parleremmo di argomenti diversi se, grazie alla mediocrità conclamata di governanti al servizio dei poteri forti da decenni, non avessimo già quasi perso la forza di quella che ormai fu l’Autonomia di uno Statuto siciliano mai applicato.

Dovrebbe poter bastare solo questo per affermare che i Siciliani dovrebbero imporsi una totale sostituzione di questa classe dirigente di facciata con uomini nuovi che abbiano dentro tanta forza di ripartire dalle attuali macerie, zero retorica e che abbiano voglia di scrivere la storia cominciando a ricomporre l’orgoglio della Sicilia di una volta.

Possiamo dirlo che i Forconi furono premonitori quando lanciarono l’allarme nel 2012? Oggi la situazione è solo peggiorata da qualunque punto di vista la si voglia valutare, saranno pronti i siciliani a ribellarsi almeno nelle urne o vogliono ancora pensare di risolvere col voto di scambio di sempre?

Vedremo.

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