L’Unità d’Italia ha depredato il Sud. Eravamo ricchi e i Savoia ci derubarono

30 maggio 2017

Ignazio Coppola ricostruisce per noi un’amara verità descritta da pensatori, economisti, politici italiani e anche inglesi. Erano in tanti a sapere che i piemontesi che ‘conquistarono’ il Sud erano criminali e ladri. Che i contadini del Mezzogiorno non erano “briganti”, ma uomini e donne che difendevano la propria cultura e la propria storia. La cosa incredibile è che ancora oggi nelle scuole e nelle università d’Italia non sono state eliminate le tesi di quelli che Gramsci definiva gli “scrittori salariati”

di Ignazio Coppola

Per non perdere la memoria di quella che rappresentò per il Sud la mala-unità d’Italia con la nascita della questione meridionale e siciliana e l’impoverimento del Mezzogiorno, vi propongo le testimonianze e quello che ne pensavano illustri economisti, uomini politici e storici del passato, che certo non possono definirsi filo-borbonici, come Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini, Giuseppe Ferrara, Beniamino Disraeli, Milan Kundera, Franco Proto Carafa,lo stesso Giuseppe Garibaldi, Antonio Gramsci, Carlo Levi, Carlo Giulio Altan e Luigi Einaudi.

Giustino Fortunato (1848-1932), economista uno dei più accreditati storici italiani, senatore del Regno d’Italia per numerose legislature ed uno dei più importanti rappresentanti del meridionalismo, in una lettera inviata il 2 settembre del 1899 a Pasquale Villari così tra l’altro testualmente ebbe scrivere:

“L’Unità d’Italia è stata purtroppo la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’Unità ci ha perduti. E come se non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali”.

Gaetano Salvemini (1873-1957), politico antifascista, socialista federalista, meridionalista e deputato del Regno così si esprimeva a proposito dei benefici che l’Unità ebbe a dare al Sud:

“Se dall’Unità d’Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata. E’ caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone”.

Giuseppe Garibaldi (1807-1882) l’invasore spacciatosi per liberatore della Sicilia che molto tempo dopo l’occupazione del Sud per conto dei Savoia, in un rigurgito di verità e di tardivo pentimento, così ebbe a scrivere in una lettera inviata ad Adelaide Cairoli:

“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, avendo colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio”. E se lo diceva lui ci possiamo credere.

Francesco Proto Carafa Pallavicino, duca di Maddaloni (1815-1892), politico e deputato del Regno d’Italia, a proposito delle condizioni in cui era ridotto il Meridione con l’Unità e delle cui condizioni fece oggetto di vibrate protesta in Parlamento così scriveva:

“Intere famiglie veggonsi accettare l’elemosina, diminuito anzi annullato il commercio, serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venire dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e le pubbliche manifestazioni. Non vi è alcuna faccenda nella quale un onest’uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. Ai mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose, burocrati del Piemonte occupano tutti i pubblici uffici. Gente spesso più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Ai facchini della dogana a camerieri, a birri vengono uomini del Piemonte: questa è invasione, non unione non annessione. Questo è volere sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo del Piemonte vuole trattare le province meridionali come il Cortez e il Pizzarro fecero nel Perù e gli inglesi nel regno del Bengala”.

Luigi Einaudi (1874-1961 ), politico, economista, uno dei padri della Repubblica e secondo presidente della Repubblica italiana. Anche lui sui guasti prodotti al Mezzogiorno dall’Unità così ebbe a dire:

“Sì, è vero, noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato italiano. Peccammo di egoismo quando il Settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio ed ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale”.

E sul così detto brigantaggio, che fu una vera e propria guerra partigiana combattuta dalle popolazioni meridionali contro l’invasore piemontese, e sulle bugie e sulle denigrazioni fatte al riguardo dalla storiografia ufficiale è interessante, a questo punto, sapere per non dimenticare quello che ne pensavano e scrivevano politici e storici non asserviti al regime di casa Savoia.

Antonio Gramsci (1891-1937 ), politico, antifascista e uno dei fondatori del Partito comunista italiano, pensatore, filosofo e fondatore di Ordine Nuovo, sul quale giornale, a proposito del brigantaggio post-unitario, così scrisse:

“Lo Stato italiano è stata una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti”.

Giuseppe Ferrari (1811-1876 ), filosofo, storico, politico, deputato della sinistra al Parlamento italiano e federalista, a proposito del brigantaggio ebbe a dire:

“Potete chiamarli briganti, ma combatterono sotto la loro bandiera nazionale. Potete chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borbone sul trono di Napoli. E’ possibile, come il malgoverno vuole fare credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa ad un esercito regolare di 120 mila uomini? Ho visto una città di 5000 abitanti completamente rasa al suolo dai piemontesi e non dai briganti”.

Benjamin Disraeli (1804-1881 ), già primo ministro del Regno Unito, in un dibattito in pieno Parlamento inglese, rivolto ai deputati così si esprimeva a proposito del brigantaggio in Italia e in Polonia:

“Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulla condizioni della Polonia e non ci è permesso su quelle del Meridione italiano. E’ vero che in un Paese (Sud Italia) gli insorti sono chiamati briganti e nell’altro (Polonia) patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcuna differenza”.

Carlo Levi (1902-1976 ), scrittore, pittore e politico autore di Cristo si e fermato ad Eboli, a dimostrazione che il brigantaggio non fu assolutamente un fenomeno criminale, come lo si voleva far intendere e come lo si descrissero dagli scrittori salariati così bene definiti da Gramsci, ma bensì una rivolta di gente umile e diseredata che si battè per il riscatto e la libertà della propria terra e per il proprio elementare diritto all’esistenza, a proposito del brigantaggio meridionale così scriveva:

“Il brigantaggio non fu altro che un acceso di eroica follia, un desiderio di morte e distruzione senza speranza di vittoria, in cui la civiltà contadina meridionale difese la propria natura e la propria identità contro quell’altra civiltà che le stava contro e che senza comprenderla eternamente l’assoggettava”.

Carlo Tullio Altan (1916-2015 ), antropologo, sociologo e filosofo così, a sua volta, definì il brigantaggio degli anni successivi alla ‘presunta’ unità d’Italia:

“Il brigantaggio post-unitario non fu altro che una reazione di rigetto della società meridionale nei confronti di una realtà storica diversa. In buona sostanza, un fenomeno composito di lotta di classe e conflitto di civiltà diverse”.

Abbiamo voluto ricordare e citare i pensieri di tanti illustri personaggi a proposito della mala unità d’Italia e della lotta al brigantaggio meridionale che fece e continua a far pagare al Mezzogiorno ed alla Sicilia un prezzo altissimo trattandole da sempre come colonie. E per non perdere questo diritto alla memoria val bene ricordare quanto, a proposito della memoria dei popoli, scrive il poeta, saggista e drammaturgo ceco, Milan Kundera:

“Per liquidare i popoli si comincia con il privarli della memoria, si distruggono i loro libri, le loro culture, la loro storia, e qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura e inventa per loro un’altra storia”.

Ed è un lavaggio del cervello che in questi lunghi 156 anni della storia della nostra mala-unità d’Italia hanno cercato di fare la storiografia di regime scolastica e gli scrittori salariati così puntualmente ben definiti da Antonio Gramsci. Ma per loro sfortuna da un po’ di tempo a questa parte il revisionismo storico sta avendo il sopravvento inchiodandoli alle loro bugie.

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