Possibile che in Sicilia panifici e pizzerie inquinano di più delle automobili?

18 maggio 2017

Ricordate il Piano per la qualità dell’aria della Regione siciliana del 2006? Quello in parte copiato dalla Regione Veneto? Ebbene, la vicenda – che finì anche su Striscia la notizia – non è ancora chiusa. Stando a quanto c’è scritto in questo Piano, le polveri sottili (PM10 e PM2,5), ovvero l’invisibile killer quotidiano, nei maggiori centri urbani (Palermo e Catania in testa) sono dovute ai caminetti delle abitazioni, ai panifici ed alle pizzerie in misura fino quasi a 3 volte in più rispetto al traffico autoveicolare…  

L’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) della Sicilia predispone il nuovo Piano e sembra che negli agglomerati urbani le polveri sottili provenienti dalla combustione della legna nel settore domestico (stufe, caminetti) e non industriale (panifici, pizzerie), superano di quasi 3 volte quelle del traffico autoveicolare. Siamo sicuri di essere ancora in Sicilia?

Marine Le Pen ha copiato in campagna elettorale il discorso di Fillon? Poca roba. Ha rimediato una figuraccia, ma rimane pur sempre una dilettante al confronto della Regione siciliana che, nell’arte non edificante del copia e incolla resta, purtroppo, un’antesignana che non teme confronti, tanto da averci lasciato alla fine finanche le pen…ne.

Chi non ricorda il Piano contro l’inquinamento atmosferico copiato in buona parte da quello del Veneto circa 10 anni addietro? Tornano alla mente “il sistema aerologico padano” della Sicilia, l’incremento delle “piste ciclabili sugli argini dei fiumi e dei canali che si immettono nei centri storici”, la limitazione degli “orari di riscaldamento degli impianti termici civili”, “l’intero territorio pianeggiante” dell’Isola ed altre amenità del genere, assurte a risate nazionali anche per un esilarante servizio di Striscia la notizia.

Vicenda finita? Macché! Il famoso o, meglio, famigerato Piano siculo-padano continua a produrre ancora i suoi effetti giudiziari, poiché da poco è arrivata l’ennesima condanna del Tribunale civile di Palermo, la quarta per la cronaca, a carico del dirigente regionale, Salvatore Anzà, coordinatore di quello che la stessa Amministrazione siciliana ha sempre giustificato goffamente come “canovaccio” veneto, con la novità aggravante che questa volta è stata chiamata a pagare, in concorso, la somma di oltre 20 mila euro di risarcimento (spese legali comprese) anche l’assessorato Territorio e Ambiente.

E’ quanto ha stabilito la sentenza del Tribunale di Palermo, Sezione Civile, (n. 2034/2017), giudice Salvatore Trombetta, nella causa promossa dall’ex segretario regionale di Legambiente, Domenico Fontana, contro Salvatore Anzà e l’assessorato Territorio e Ambiente.

I fatti sono noti e risalgono al 2007. Nel corso di una conferenza stampa, Legambiente aveva denunciato che numerose parti del Piano di Coordinamento della qualità dell’aria della Regione siciliana, approvato con un decreto dell’allora assessore del Governo regionale di Raffaele Lombardo, Rossana Interlandi, erano state testualmente copiate dall’omologo Piano della Regione Veneto, senza neppure tenere in conto che si trattava di un Piano antecedente di 7 anni e che era stato già bocciato dalla Commissione Europea.

Per esorcizzare la smascherata padanità sicula i vertici dell’assessorato al Territorio e Ambiente non avevano esitato a sovvertire persino la lingua italiana, sostenendo con un decreto assessoriale che si trattava solo di refusi, in barba al significato stesso della parola “refuso” e, ovviamente, senza spiegare di che cosa fossero refusi le padanità copiate.

Una perizia del Tribunale ha successivamente accertato che quasi 1800 righe del Piano siciliano erano identiche a quello del Veneto. Insomma, 1800 righe di refusi!

Invece di prendere atto dell’evidenza (o dell’indecenza?), il coordinatore del “canovaccio”, Salvatore Anzà, si era scagliato con tre note iperesagitate, con tanto di protocollo e carta intestata dell’assessorato Territorio e Ambiente, contro i responsabili di Legambiente, Giuseppe Messina e Domenico Fontana, e del dirigente regionale Gioacchino Genchi, rei, a suo dire, di avere denunciato la scopiazzatura, definendoli “banda di lestofanti”, “banda di canaglie”, “banda di cialtroni, incompetenti ed in malafede”, “cricca di mascalzoni”, “gruppo di manigoldi “, “emeriti cialtroni “e via con altre contumelie diffamatorie dello stesso tenore, in numero tale da riempire complessivamente, se messe assieme, quasi una pagina.

Tutto con l’inspiegabile e silente acquiescenza dei vertici dell’assessorato di allora e di quanti si sono avvicendati nel tempo, sia riguardo ai termini inauditi e sprezzanti adoperati, sia riguardo all’uso improprio ed abusivo della carta intestata e del protocollo dell’Amministrazione.

Da allora Salvatore Anzà è stato soccombente in 4 diverse cause civili per diffamazione promosse contro di lui dai diffamati Messina, Genchi, Legambiente Sicilia e, da ultimo, Fontana, con il ristoro complessivo di alcune decine di migliaia di euro a loro favore.

La vicenda ha avuto anche un risvolto penale, con Anzà condannato in primo grado a 1 anno e 8 mesi, assolto in appello, ma con l’assoluzione annullata dalla Corte di Cassazione.

La sentenza Fontana ha aggiunto un fatto nuovo, poiché nella condanna per diffamazione è stato chiamato a correo l’assessorato Territorio e Ambiente che, quindi, ha finito anche lui con lasciarci le pen…ne nel copia e incolla.

Adesso c’è da sperare che la Procura della Corte dei Conti faccia sì che a pagare siano i responsabili e non già l’Amministrazione in astratto, che ha tollerato fino ad oggi l’indecorosa vicenda con danno della sua stessa immagine, oltre ad evitare la beffa che il danno procurato finiscano per pagarlo i cittadini siciliani!

Il Giudice, infatti, ha ritenuto sussistente la responsabilità della Pubblica Amministrazione poiché il fatto lesivo posto in essere dal suo dipendente si è manifestato come esplicazione dell’attività dell’ente pubblico e, cioè, pur se con abuso di potere, nell’ambito delle attribuzioni dell’ufficio o del servizio cui il dipendente era addetto.

“Le note a firma di Salvatore Anzà, infatti, sono state redatte su carta intestata dell’assessorato, con spendita della qualifica di dirigente, munite di numerazione di protocollo ed indirizzate a vari organi ed enti per la difesa di un’attività dell’ufficio ed al fine di sollecitare provvedimenti punitivi a carico dell’associazione ambientalista regionale… con effettiva commissione di una condotta contra ius”.

Ebbene, nonostante le condanne, ancor oggi il “canovaccio” veneto – cose da non crederci – continua a rimanere, imperterrito, un documento ufficiale dell’Assessorato Territorio e Ambiente, mai ritirato dal sito web (come potete leggere qui), emendato sì delle padanità più pacchiane, ma mantenendo pur sempre i riferimenti al “Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale”, alla “Sperimentazione di intonaci decorativi e rivestimenti stradali fotocatalitici” oggetto di una deliberazione della Giunta della Lombardia (che non è veneta, ma sempre padana è!), alla Giunta regionale “tenuta ad effettuare uno studio di verifica della situazione viabilistica in corrispondenza di tutti i caselli autostradali e a proporre interventi di miglioramento” e ad altre simili amenità.

A febbraio del 2015 l’attuale assessore regionale al Territorio e Ambiente, Maurizio Croce, senza disconoscere affatto il “canovaccio”, contesta all’ufficio del Dipartimento Ambiente deputato alla redazione del Piano – notate bene, non al Dirigente Generale, come gerarchicamente dovuto, e quindi facendone salve le responsabilità – di essere rimasto inerte ed inadempiente al suo aggiornamento e nomina il direttore dell’ARPA, Licata di Baucina, commissario ad acta per predisporre il piano.

Cultore, come il presidente della Regione, Rosario Crocetta, dell’amministrazione creativa, Croce ispirandosi al celebre rigoletto verdiano “questa o quella per me pari sono” gli conferisce l’incarico con una semplice nota, mentre un anno dopo provvede alla proroga con un decreto.

Ma non è tutto. L’ARPA, infatti, è un ente strumentale dell’assessorato Territorio e Ambiente, sottoposto a sua vigilanza e controllo. Croce, pertanto, commissaria un ufficio del Dipartimento Ambiente con il direttore dell’ARPA che, a sua volta, è vigilato e controllato dal Dipartimento commissariato. Ed il commissario Licata di Baucina, a chi affida il compito di redigere il Piano? All’ARPA, cioè all’ente di cui è direttore e che è vigilato e controllato dal Dipartimento commissariato. Al confronto il gioco delle tre carte è uno scherzo da bambini!

E il dirigente generale del Dipartimento Ambiente in questo bailamme amministrativo che fa? Ovviamente sta a guardare, tace ed acconsente.

A febbraio 2017 il commissario Licata di Baucina ha consegnato la proposta di Piano. Non si sa se qualcuno in assessorato e, ancor più, in Giunta regionale abbia dato anche una rapida lettura delle oltre 1700 pagine di cui è composto il documento, oppure lo si è apprezzato in fede ed a scatola chiusa prima di avviare la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS).

Di certo, un Piano che indica ancora a riferimento normativo regionale il “canovaccio” veneto-siculo del 2007 ed i refusi padani definiti modifiche non sostanziali qualche disorientamento lo crea. La vistosa assenza di qualche impianto industriale di grandi dimensioni non è da meno, come pure non si trova spiegazione di che fine abbiano fatto ed in che cosa si siano materializzati le decine e decine di milioni di euro stanziati tra la metà degli anni ’90 ed il 2002 per gli interventi di risanamento delle tre Aree ad elevato rischio di crisi ambientale (Siracusa, Gela e Milazzo).

Su di un punto il Piano non sembra avere dubbi. Le polveri sottili (PM10 e PM2,5), ovvero l’invisibile killer quotidiano, nei maggiori centri urbani (Palermo e Catania in testa) sono dovute ai caminetti delle abitazioni, ai panifici ed alle pizzerie in misura fino quasi a 3 volte in più rispetto al traffico autoveicolare.

Almeno per quanto riguarda i caminetti ci sarà stata un’escalation di installazioni e cambiamenti meteoclimatici che probabilmente ci sono sfuggiti. I Sindaci dei Comuni siciliani ora sapranno come regolarsi.

Prima ancora delle ZTL dovranno pensare alle ZCL (Zone a Caminetti Limitati) ed alle ZPPL (Zone a Panifici e Pizzerie limitati).

I candidati sindaci di Palermo sono avvisati. A rassicurarci ci pensa l’allegato 13 del Piano:

“Regione Toscana – Linee guida per la redazione dei Piani di Azione Comunali (PAC)”. Lo sguardo non è più alla Padania, ma alla toscana.

Siamo sicuri di essere sempre in Sicilia, o no?

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